Sotto il Tuo Manto

Sabato, 7 giugno 2025 - Sant' Andronico di Perm (Letture di oggi)

E' soprattutto la fiducia che Dio ci chiede. Quando Egli è incaricato di tutti i nostri interessi, ne va della sua giustizia e della sua bontà  nell'aiutarci e nel soccorrerci. (Santo Curato d'Ars (San Giovanni Maria Vianney))

CAPO VII. L'AVVENTO ED IL NATALE. VIAGGI IN VISIONE VERSO UNA CITTÀ EBREA NELL'ABISSINIA E VERSO IL COSÌ DETTO MONTE DEI PROFETI NEL TIBET. LAVORI IN PRO DI POVERI FANCIULLI. SOLENNITÀ DI QUEI SANTI GIORNI. PATIMENTI MISTICI.


1. Nella prima Domenica dell'Avvento una povera e vecchia ebrea di Dülmen si fece annunziare ad Anna Caterina, onde pregarla di un'elemosina per suo marito gravemente infermo. Essa accolse quella povera afflitta con molta benevolenza, le regalò alcune monetuzze di argento, e la congedò commossa e consolata di amorevoli parole. Quella ebrea era già stata per l'innanzi da lei a lagnarsi del suo stato bisognoso, e quindi erasi presa di gran fiducia per Anna Caterina. La medesima era stata da quella misera supplicante mossa a tal compassione pei poveri giudei, che si era rivolta a Dio colle più fervide preci in pro della loro eterna salute. Cotesto suo orare ottenne un meraviglioso esaudimento. Dopo alcuni giorni raccontò al Pellegrino la seguente visione, che sul bel principio ritenne per un puro sogno, dal quale non sapeva ritrarre senso alcuno; ma bentosto apparve che con esso erale stata partecipata una grave missione di preghiere e suppliche per l'incominciamento del nuovo anno ecclesiastico, e che quella ebrea era a lei venuta, siccome un messaggiero di Dio, a ricevere l'aiuto della eletta vergine non solo in suo pro, ma a vantaggio della intera sua razza. La carità sperimentata aveva aperto il cuore di quella povera abbandonata donna a ricevere la verità; essa aspirava all'eterna salute, e la misericordia di Dio dischiudeva ora la via straordinaria, per la quale dovea giungere a parteciparne.

« Sembravami come se a me venisse l'anima della vecchia ebrea Meyr, alla quale ho fatto alcune volte l'elemosina, e come se cotesta donna fosse già defunta e si trovasse nel purgatorio, ed ora a me venisse per ringraziarmi, essendo per mio mezzo pervenuta alla fede in Gesù Cristo. Aveva in sè riflettuto che io così spesso le aveva fatta elemosina, e che del resto niuno ne fa'ai poveri ebrei, e tutto ad un tempo erasi sentita prendere di un vivace desiderio di morir per Gesù, se la fede in Gesù era la vera fede. Per altro, il di lei cuore era stato commosso per mezzo mio. Ciò apparivami come se fosse già successo, o dovesse succedere, giacchè doveva produrmi l'effetto di un invito a ringraziare ed a pregare. La vecchia Meyr non era morta, ma la di lei anima era stata in sogno come disciolta dal corpo, onde servirmi di guida, e perchè ov'ella venisse a morire in cotesta disposizione di spirito, pervenire potesse nel purgatorio. Sua madre (mi disse) aveva anch'essa avuto prima della morte un presentimento della verità del Cristianesimo, e sicuramente non era andata perduta. Vidi anche l'anima di cotesta sua madre starsi come murata in luogo doloroso ed oscuro, ove per lei non eravi verun soccorso di alcuna sorta, senza alcun mezzo di aiutare sè stessa o di essere in qualsiasi modo aiutata; ed accanto, sopra e sotto di lei, stavansi innumerevoli anime nel medesimo stato. Provai il lieto presentimento che niuna anima era interamente perduta di quelle che soltanto per ignoranza non conoscevano Gesù, e nemmeno provavano un indistinto desiderio di conoscerlo, e non vivevano in gravi peccati. L'anima di quella ebrea disse inoltre di volermi portare in un luogo, da cui derivava la di lei famiglia e da cui i di lei materni antenati, per cagione forse di qualche inumana crudeltà, erano stati scacciati. Mi disse pure di volermi condurre laddove viveva gente della sua fede, e che fra quella trovavansi anime molto pie; ma siccome non ricevevan mai nè ammonizioni, nè insegnamenti, così dovevan sempre restare nei loro errori; e ch'io dovessi almeno tentare di commuovere il loro cuore. La seguii di molto buon grado. Quell'anima appariva molto più bella, di quel che nol sia la povera vecchia che vive anche adesso. La mia guida celeste erami accanto, ed ogniqualvolta l'ebrea dicevami per errore cosa alcuna, che non fosse esattamente vera, io vedeva la mia guida risplendere maggiormente ed udiva dirmi l'esatta verità. Sembrava che anch'essa avesse osservato la presenza della mia guida, giacchè sempre mi dimandava con avida curiosità: Chi ti ha detto ciò; è stato forse il Messia?

Noi ci mettemmo in moto nella direzione del mare, passando per sopra Roma; e quindi traversammo l'Egitto. Quivi io non vidi copia di acque, ma soltanto scorrere per mezzo al paese un largo fiume biancheggiante, che spesso straripa; e là dove l'acqua giunge, quella contrada diviene feconda. Altrimenti tutta quell'estensione apparisce per la più parte esser sabbiosa ed arida, e ricoperta di monticelli d'arena, che dal vento vengono or qua or là sospinti. Anche nel mezzo del deserto si ergono grandi edifizi sì larghi e pesanti ed alti, che non se ne trovano altrove, e son formati di grosse e gravissime pietre. Non son propriamente case, ma internamente sono ripieni di gran sotterranei e corridoi, ove si trova immensa quantità di corpi morti. Tutto ciò, per altro, differisce interamente dai sotterranei sepolcrali di Roma. I cadaveri son costà in Egitto interamente inviluppati come bambini nelle fascie, e sono rigidi affatto e duri, e di color bruno scuro, e sopra vi è dipinta ogni sorta di cose. Sui muri di cotesti edifizi veggonsi qua e là scolpite figure di rigide forme e di rozzo lavoro. Fui condotta per entro uno di cotesti edificii e vidi moltissimi di cotesti cadaveri; ma fra loro non ve ne era neppure un solo che risplendesse. Noi ci inoltrammo sempre più lungi nella direzione del mezzogiorno per lunghi deserti di arena, ove spessissimo vidi in rapida corsa animali maculati di diversi colori, e simili a grossi gatti. Vidi pure qua e là, sopra alcuni monticelli, certe fabbriche alte e di forma rotonda, ricoperte di paglia, con torri qua e là d'attorno. Prose guimmo anche allora in direzione sempre più alta per sopra arena biancastra, ed in quella giacevano pietre verdiccie e liscie come cristallo. Allora poi pervenimmo in una regione montuosa, severamente frastagliata ed erta, che sollevavasi sempre più in alto. Mi maravigliai nel vedere come fosse qua e là tanto fruttifera in mezzo a quelle rupi. Sempre montando, venimmo finalmente a giungere in una vasta ed affatto straordinaria città, piena di ebrei. Cotesta città non è comparabile a nulla di quanto ho per l'innanzi veduto, per l'angustia, l'oscurità, il numero, la bizzarria e l'imbrogliata distribuzione delle vie e delle case. Non è possibile di percorrere verun punto di cotesta città con vetture o cocchi. Per entro veggonsi qua e là sorgere immense cime di monti e scogli imminenti in modo, come se fossero per precipitare sulle sottoposte fabbriche; e tutta è piena di spelonche, e cave, ed abituri scavati nel duro scoglio. Ad ogni istante convien curvarsi ed arrampicarsi. Piuttostochè una città, può dirsi un'immensa montagna zeppa di caverne, ricca di torri, di sotterranei e di abitazioni quadrangolari scavate nel sasso, e disposte sopra e sotto la superficie del suolo. Vi penetrammo senza toccare precisamente il terreno, ma nemmeno senza passare al disopra delle abitazioni, ma piuttosto percorrendo uno spazio intermediario lungo le vie, eppur sempre montando.

Mi sembrava come se il tutto fosse per disotto e internamente vuoto, e dovesse ad un tratto spezzarsi e simultaneamente sprofondare. Sembra che colassù non vi fosse alcun cristiano; soltanto in un angolo situato all'estremità del monte, parevami che abitasse certa quantità di uomini che non eran giudei. Vidi da un lato un edifizio in pietra costrutto, lungo, alto, quadrato, per sopra circondato da rotonde aperture guarnite da sbarre di ferro. Ritenni che fosse un tempio dei giudei. Qua e là, sopra le case o ai loro piedi, vedevansi giardini distesi sulla superficie degli scogli. L'anima della Meyr mi aveva già raccontato per via esser vero che i giudei anticamente, anche fra noi, avevano trucidato molti cristiani e specialmente fanciulli, poichè impiegavano il loro sangue in ogni sorta di superstizioni e di stregonerie. Essa pure aveva creduto che ciò fosse necessario; ora però sapeva non esser ciò altro che vergognosa superstizione e vero assassinio. Qui da noi nel paese, ed in altre remote contrade, gli ebrei lo praticano anche adesso, ma colla maggior segretezza, perchè devon necessariamente aver commercio coi cristiani. Appena penetrati in cotesta città, tosto presso la porta entrammo in un lungo e stretto gruppo di abitazioni, per dove era assai periglioso il passare, giacchè si sarebbe creduto che fosse una strada, dalla quale alla fine si uscirebbe, ma invece terminava chiudendosi in un angolo pieno di forami e di caverne, che conducevano addentro gli scogli. All'intorno di coteste aperture vedevasi scolpita quantità di figure. Sentii in me stessa esser qui stata assassinata per l'innanzi più di una creatura umana, e che pochi viandanti potevano di costà uscire in vita. Non penetrai addentro in quelle caverne; provava in me un senso di orrore, e non saprei dir nemmeno come siamo usciti da cotesta vicinanza.

« L'anima dell'ebrea Meyr mi disse, che volea con durmi presso una famiglia molto pia, che quasi viveva vita di santi. Mi disse che tutti gli abitanti di quella città ebrea, riguardavano cotesta famiglia come la loro speranza, e che da essa sarebbe uscito in pro loro un protettore, anzi forse il Messia. Cotesta famiglia esser piissima, come pure tutti coloro che più intimamente l'avvicinavano, e che me la farebbe conoscere. Allora ci avanzammo per quella montuosa città, in cui eravamo penetrati dal lato di settentrione, e ci avviammo verso l'alto, volgendo a levante. Giungemmo quindi sopra una pianura, la quale dilatavasi rivolta ad oriente. Sorgeva costà una linea di abitazioni, alla cui estremità meridionale la piazza era limitata da un edifizio amplissimo e di apparenza straordinariamente forte, al disopra del quale innalzavansi di nuovo cime di monti e giardini. L'anima della ebrea mi disse che costi abitavano sette sorelle. Discendevano da Giuditta, e la maggiore di coteste sorelle ancor nubile, chiamavasi pure Giuditta, e mi disse che la città intera aspettavasi che essa una volta diverrebbe ciò che Giuditta era stata pei loro antenati. Costei abitava in quel grande e fortificato palagio che dominava e chiudeva la piazza. L'anima mi pregò a voler essere benevola verso coteste pie persone, che nulla sapevano del Messia, ed a commuovere il loro cuore, come già aveva a lei commosso il suo. Ho dimenticato il dire che era notte quando noi così traversammo quella città, e che in tutte quelle caverne ed angoli vidi creature umane dormenti. Vidi peraltro molti del popolo essere semplici e pii, e molto diversi dai giudei che vivono tra noi. Essi apparivano molto più liberi e nobili, ed in parte sembravano, al paragone, siccome oro a confronto del rame e del piombo. Ciò nondimeno scorgevasi in mezzo a loro molta superstizione, nefandità e spaventevole sucidume ed immondezza, come pure stregoneria.

« Dopo che fummo giunti sulla piazza, penetrammo dapprima in casa di una delle sette sorelle. Era situata in un angolo, e traversando un cortile rotondo, penetrammo in uno spazio quadrato, ove quella donna aveva la sua camera da letto. Aveva un naso ricurvo. L'anima dell'ebrea mi parlò di bel nuovo della gran perfezione morale di cotesta persona. Ogniqualvolta peraltro dicevami alcuna cosa d'inesatto, la mia Guida celeste mi si faceva più prossima, cioè mi appariva e correggeva il suo detto. Sembrava anch'essa vedere quell'apparizione, ed allorchè io le esponeva l'errore in cui era incorsa, domandavami con curiosità, mostrandosi ad un tempo ignorante e desiosa del bene: Era egli il Messia che ti ha ciò detto ? Ed io le rispondeva: No, non il Messia, ma il suo servo. Quand'io guardai quella dormente sorella di Giuditta, tosto mi accorsi non essere una buona donna. Vidi che era una maliziosa adultera, che occultamente accoglieva altri uomini. Essa provò, come apparve, un certo senso della nostra presenza, giacchè si sollevò e guardossi dintorno spaventata. Si alzò dipoi interamente, e si aggirò qua e là pel palazzo. Dissi all'anima dell'ebrea che dovea vedere. in che mala situazione si trovasse cotesta persona; e quando l'ebbe notato, dimostrò la sua meraviglia e domandò se anche questo me lo avesse detto il Messia. Andammo quindi nelle prossime case delle altre sei sorelle, che avevan pure nasi ricurvi, ma l'una sempre meno dell'altra. Tutte erano a grado diverso migliori della precedente, la quale era la peggiore di tutte. Non rammento più con precisione come le trovassi singolarmente e separatamente; rammento soltanto che tutte erano maritate, ed alcune avevano molti figliuoli. Non mancavano della minima cosa. Le loro stanze eran ricoperte di buoni tappeti e ricche di conveniente mobilia, e belle e splendide lampade pendevano dall'alto nelle loro stanze. Tutte, peraltro, vivevano di ciò che forniva loro la maggiore sorella Giuditta abitante nel gran palazzo. La sesta sorella che visitammo non era in casa, ma trovavasi presso la madre comune di tutte, che abitava in piccola magione accanto al palazzo di Giuditta. Penetrammo in quella magione per un piccolo cortile rotondo, ed io da una finestra vidi entro una stanza la madre, vecchia giudea, che altamente ed in modo aspro si lagnava con la sesta figliuola, querelandosi della figlia Giuditta, che elargiva più assai alle altre che a lei, e più dava alla figlia la più dissoluta, e lei madre aveva cacciato di casa. Era una disgustosa vista il vedere quella vecchia ebrea così violentemente agitata mentre parlava e garriva.

« Lasciammo coteste donne litiganti e ci accingemmo a penetrare nel gran palagio presso Giuditta. Ma fra noi e l'immenso e fortissimo palagio di pietra, era frapposto un larghissimo e profondo abisso, che cagionava vertigini a vederlo; o piuttosto un largo precipizio sprofondantesi fra gli scogli, ove chi guardava ne perdeva i sensi e la testa.

Si passava per sopra un ponte chiuso da un ferreo cancello. Il suolo stesso di quel ponte non era altro che una inferriata, ed attraverso quelle sbarre che la componevano vedevasi in giù un profondo e pericoloso abisso, ove venivan precipitate tutte le immondezze, ed ogni rifiuto, ed ossa e sfasciume. Voleva passarvi sopra, ma non poteva muovermi su quell'inferriata. Alcunchè mi sospingeva ad dietro: sembrava come se non dovessi giungere sino a Giuditta. Doveva aspettarla costì, perchè tale era il mio destino. Intanto il mattino cominciava ad approssimarsi, e mi accorsi che tutto quel lato del monte sul quale posavamo, mostravasi di natura meno austera ed appariva fertile e fecondo. Il lato settentrionale dal quale eravamo venuti, era molto più selvaggio e deserto. Osservai che la porta del castello era chiusa con un grosso trave in forma di croce, perlocchè ne provai meraviglia. Giuditta, la maggiore di tutte coteste sorelle, comparve allora all'improvviso a noi dinanzi sul ponte. Ella non veniva già da quel lato da cui eravamo venute. Era uscita fuori del suo palagio a distribuire segretamente elemosine nella città, ed in quel momento ne ritornava. È circa dell'età di trent'anni, e di una straordinaria presenza e maestà. Non ho mai veduta donna di simile forte e tranquilla apparenza. Ha un'aria di dominio e di ferma risoluzione. Ha volto e sembianze di molta nobiltà: peraltro, il di lei naso è pure alquanto ricurvo, ma in modo appena notabile. L'intero suo modo di essere e tutti i di lei movimenti hanno alcunchè di straordinario e di eroico. Ha inoltre un animo franco, semplice, puro ed ardimentoso. Dovei accordarle a prima vista tutta la mia simpatica inclinazione. Era avvolta in un mantello. Il di lei vestimento dal collo sino ai fianchi appariva assai stretto alle membra, e come allacciato e sembrava fortemente e rigidamente chiuso sopra il di lei seno, come se ella portasse un forte e largo busto. Aveva intorno al collo pendente un'aurea catena o altro simile ornamento, e grosse perle le pendevan pure dalle orecchie. Le maniche del di lei vestimento erano ampie, e qua e là rilegate con catenelle o fermagli. La sopravveste, per altro, era lunga, e tutte le di lei vestimenta eran di una stoffa rigata a larghe striscie di varii colori. Intorno al capo aveva avvolto un variopinto turbante: portava inoltre un velo. Dal braccio le pendeva un cestello piuttosto grande e trasparente, i di cui vinchi eran neri ed i cerchi dell'orlo bianchi. Cotesta donna era sul punto di rientrare in sua casa ritornando dalla sua notturna escursione, quando si accorse della mia presenza all'ingresso del ponte. Sembrò fortemente spaventata e si ritrasse addietro, però senza darsi alla fuga: sclamò presso a poco così: Dio mio ! Che vuoi da me? Che significa questo ? A che ciò mi succede ? Ben presto, peraltro, si riebbe e mi domandò chi fossi e come fossi costà venuta.

Le dissi ch'io era cristiana ed una vergine a Dio consacrata, e che costà era stata condotta perchè ivi dovean trovarsi buone creature umane, desiose dell'eterna salute, ma che mancavano degli opportuni insegnamenti. Quand'ella udì esser io una cristiana, diè a divedere la più gran meraviglia circa il come per sì pericolose strade io fossi costà pervenuta, giacchè nessun cristiano poteva con sicurezza pervenirvi vivente. Le risposi non esser io venuta per pura curiosità, ma che quell'anima che presso di me si trovava, mi aveva colassù condotta a commuoverle il cuore. Correre adesso l'epoca della venuta di Cristo il Messia, e cotest'epoca ritornare ogni anno. Le dissi che doveva por mente alle miserie del suo popolo, rivolgersi al Salvatore, e cose simili. La Giuditta apparve dai suoi discorsi sempre più commossa, e sempre più si persuase ch'io le parlava in spirito e non già corporalmente; e mi pareva come se dicesse o pensasse di voler far prova s'io fossi ente naturale o soprannaturale. Ed allora mi prese per mano guidandomi per sopra quel ponte. Vi era aperto soltanto un angusto passaggio, ma quel ponte potevasi, peraltro, dilatare molto di più. Non ebbe d'uopo che di sollevare alcun poco quel grosso trave in forma di croce che stava sulla porta, ed essa tosto si aprì. Dapprima entrammo in un cortile, sul quale si aprivano molte porte. Qua e là vedevasi ogni sorta di sculture e teste intagliate, giallastre ed antiche. Mi condusse prima in una stanza ove stavano molte donne sedute a gambe incrociate per terra, lungo una stretta e lunga tavola alta come uno sgabello, e prendevano alcun cibo. Giuditta aveva in mente di pormi costi alla prova. Dopochè mi ebbe fatta entrare in quella stanza, me ne andai a pormi dietro quelle donne che sedevano a mensa. Ma quando Giuditta entrò, esse si alzarono, le andarono incontro e si inchinarono alcun poco per onorarla: ma di me non si accorsero affatto. Avevano dinanzi certe tazze da cui bevevano, e Giuditta ne prese una, girò attorno a quelle donne e si diresse verso di me con quella tazza in mano, volendo pur conoscere s'io fossi cosa spirituale o corporea. Ma allorchè vide ch'io rifiutava ogni sua offerta, e che niuna di quelle donne erasi fatta accorta della mia presenza, divenne molto seria e meco si ritrasse nella propria sua stanza. Si comportò peraltro sempre come alcuno che sa di essere solo e che si vorrebbe convincere di esser così, ma che pure nel medesimo tempo è persuaso di non esserlo. Parlò con me timidamente, ma non perciò con paura. Era una vera Giuditta, cioè coraggiosissima. La di lei stanza era semplice assai. All'intorno posavano molti cuscini e nei muri vedevansi busti scolpiti come quelli per lo innanzi indicati. Costà si trattenne meco a lungo. Le parlai di una delle sue sorelle, che conduceva mala vita. Se ne rammaricò e disse voler fare ogni possi bile cosa per correggerla. Le parlai pur della madre, che aveva intesa sì fortemente querelarsi e svillaneggiare. Mi disse che a causa dell'inquieto umore di costei, era stata costretta a fabbricarle la piccola abitazione annessa al castello. Perciò appunto essa erasi lamentata come se fosse stata malamente scacciata, e come se la figlia beneficasse più agli altri che a lei; giacchè tutte vivevano delle sue elargizioni, mentre non tollerava che si dessero all'usura. Di notte portava loro danaro, ed inoltre molte persone di cotesta città vivevano dei suoi doni. Disse inoltre che il di lei estinto genitore le aveva lasciato un gran tesoro, la di cui esistenza da tutti era ignorata fuor che da lei. Il padre l'aveva molto amata e di tutto l'aveva fatta erede.

Era vero che gli abitanti di cotesta città a lei rannodavano speranze di grandi avvenimenti, e che essa a loro appariva un essere quasi soprannaturale, a causa delle segrete sue beneficenze, perchè ignoravano l'esistenza del tesoro da lei posseduto. Il di lei popolo era stato già una volta costà oppresso e molto danneggiato da dura guerra.

Essa sentivasi disposta e pronta a fare tutto per lui, ed appunto per ciò erale stato lasciato quel tesoro dall'estinto (così chiamava suo padre). Tutti desideravano che si maritasse, sperando che da lei nascerebbe per loro un Salvatore; ma erasi sempre sentita rattenere dal maritarsi da un certo intimo sentimento che provava. Disse non avere mai sperimentato cosa simile a quella che ora provava per la mia apparizione, e presentire che il Messia poteva bene esser già venuto nel mondo nella persona di Cristo. Avere intenzione di esaminare le cose più a fondo, e quando riuscisse ad essere pienamente convinta, a voler fare ogni sforzo per condurre il suo popolo a salute. Saper benissimo che tutti ne seguirebbero l'esempio, e forse esser questa la salvezza che da lei si aspettavano. Simili cose mi disse, e quindi per una porta nascosa nel pavimento della sua stanza, mi condusse in una specie di sotterraneo. Teneva in mano una lampada e mi mostrò il di lei smisurato tesoro. Non ho mai veduto riunito tanto oro. Il pavimento ed i muri sembravano fabbricati con oro; eravi pure una incommensurabile quantità di pietre preziose. Quando ne voleva ritogliere alcuna cosa, doveva, per così dire, strapparlo con violenza dal cumulo. Mi condusse dipoi per tutta quella magione ed anche in una stanza, ove sedevano uomini col capo guarnito di bende e di turbanti e vesti orlate di pelli, che fumavano da lunghe pipe: appunto come nella prima stanza le donne sedevano bevendo. Fra loro vedevansi anche dei mori. In un'altra stanza eranvi insieme uomini e donne. Giunti al secondo piano, mi condusse entro una stanza molto vasta e meravigliosamente acconciata. All'intorno nelle mura ed al disopra delle porte, erano scolpite teste di antichissimi uomini barbuti. Erano di colore quasi giallo, ed avevano alcunchè di venerabile nei lineamenti. In cotesta camera vedevansi molte mobiglie di foggia meravigliosa, tutte antiche e con molta arte intarsiate e scolpite. Mi venne in mente la chiesa dei gesuiti in Köesfeld, ma qui tutto appariva fatto con arte più perfetta e maggiore. Nel centro pendeva anche una grossa lampada ed all'intorno vedevansi, io credo, altre sette lampade. Eravi pure un arnese somigliante ad un altare, con rotoli che sovra vi posavano; era luogo veramente meraviglioso. Affatto vicino a cotesta stanza eravene un' altra, ove giacevano uomini arcivecchi ed affievoliti dall'età, come se costà venissero curati e custoditi. Di costà potevasi salire e camminare sul tetto dell'intera magione. Dietro quel palazzo estendevasi per sovrapposte terrazze un giardino, che saliva con ogni sorta di compartimenti su per l'alto del monte. Vedevansi là dentro grandi alberi ad arte tagliati e dilatati. Giuditta mi condusse per quel lato fuor del palazzo, e successivamente salimmo sempre più in alto. Mi indicò anche in lontananza delle vecchie mura in rovine e con torri distrutte, e mi disse che sin là per lo innanzi estendevansi i confini di quel popolo, ma che da una vicina gente era stato vinto e respinto, e che il suo popolo sempre temeva che ciò gli succederebbe una seconda volta e così quelle rovine gli servivano di avvertimento. Vidi coteste mura ed anche in lontananza uno spazio coperto di acqua. Proseguimmo sempre a montare passando per anguste vie e meravigliosi edifizi. Spesso gli scogli ci sovrastavano in guisa come se le case e gli alberi che posavano sul loro orlo estremo dovessero caderci addosso. Venimmo pure in un'altra parte della città e colà vedevasi un largo ed erto scoglio fatto a foggia di alta muraglia, pel quale salivano gradi incavati a guisa di scala. Qua e là nel centro sgorgavano sorgenti di acque chiarissime, Giuditta mi disse come narravasi che cotesta città molto soffrendo per mancanza di acque, un uomo meraviglioso, un cristiano che nei tempi antichi avea vissuto in cotesto paese, era da quello scoglio disceso, lo aveva percosso colla sua verga, e che n'era scaturita quella sorgente, aiutando così quel misero popolo nei suoi estremi bisogni. Quella sorgente poi era stata per diversi canali da per tutto condotta ad uso universale; ora per altro quei rigagnoli erano venuti a mancare e solo il primo getto sgorgava ancora.

Costi presso quella sorgente, mi lasciò la Giuditta. Essa tornò addietro ed io viaggiai più oltre. Non ci congedammo punto l'una dall'altra. Essa aveva l'apparenza come se si movesse e camminasse sognando, e si divise da me come se non mi vedesse più oltre. La mia strada seguitò ancora per lungo tempo a montare. Vidi qua e là degli alberi, ai piedi dei quali giacevano grossi frutti giallastri, e vidi pure molti campi fecondi, e bei fiori, ed anche di molte api, ma alveari diversi dai nostri, cioè casse quadrate, acute peraltro verso la sommità, di color nero, e come se fossero unte con qualche sostanza. Mi trovai allora giunta fuori di quel monte dei giudei, e vidi qua e là uomini che vivevano sotto grandi e larghi alberi, come sotto i tetti delle case. Avevano seco pochi utensili. Li vidi filare, e in qua e in là avevano certa sorta di ordegni coi quali sembravano tessere. I loro armenti, fra i quali vedevansi certi animali come quelli dei Magi dell'Oriente, erravano qua e là per la campagna. Eranvi pure degli asini grossi e nerborúti. Gli animali mostravansi affatto addomesticati cogli uomini. Cotesti popoli alloggiavano in parte sotto certi tugurii ricoperti da còltrici sospese. Non rimanevano a lungo nel medesimo luogo, e da per tutto estendèvansi pascolando. Pervenni pure, passando per sassi e cespugli, in un vasto spazio sotterraneo situato non so dove, somigliante ad una cantina, benissimo conservato e poggiante sopra molte basse colonne quadrate, sulle quali era scolpita ogni sorta di immagini e di iscrizioni. Era pure là dentro cosa che si rassomigliava ad un altare, cioè una grossa pietra ove eran sopra ed all'intorno scavati grandi forami simili a forni, e mi meravigliai altamente che la gente non si servisse punto di cotesto bello spazio. I popoli che vi abitavano attorno eran molto buoni e semplici, e meravigliosamente credevano in ciò che ritenevano per vera fede. Finalmente pervenni in riva al mare, e passai al disopra di quello, e me ne tornai a casa. »

2. Nella seconda settimana dell'Avvento Anna Caterina venne dal suo angelo trasportata sulla più alta punta di un monte situato nel Tibet, e d'altronde pienamente inaccessibile. Costà vide custoditi da Elia i tesori di tutte le sacre cognizioni trasmesse agli uomini dagli angeli e dai profeti sin dal principio dei tempi, ed internamente sentì che di là pur derivava quel misterioso libro di profezia a lei accordato. Non era la prima volta che perveniva a cotesto luogo meraviglioso, giacchè nel corso di ogni anno ecclesiastico, veniva ripetutamente dal suo angelo costà sopra trasportata, come pure nel paradiso terrestre che le appariva essere non molto di là lontano. Ella trovò la natura di quei due luoghi essere strettamente affine, ed in ambedue soleva scontrare gli stessi santi guardiani. Essa vi pervenne, perchè in forza del lume di profezìa in lei infuso e della missione espiatôria che per mezzo di cotesta profetica luce le era imposta a compirsi, possedeva un diritto a partecipare ai tesori colassù conservati, ed inoltre perchè abbisognava delle forze soprannaturali e dei doni che colà potevano ottenersi e raccogliersi, onde soddisfare alla sua difficile e larghissima vocazione.

Come più volte ripetutamente lo confessò, essa poteva soltanto portar seco sulla terra una sensazione generale di ciò che in quei luoghi aveva veduto, e solo poteva con deboli e pallidi delineamenti descriver quel quadro, nel quale avea veduto l'attività profetica di quell ' uomo di Dio, Elia; attività perdurante senza interruzione sino alla pienezza dei tempi, come pure la sua propria personal relazione con lui e col suo profetico ministero.

« 9 e 10 dicembre 1819. Nella scorsa notte ho traversato in molte direzioni diverse la Terra promessa tal quale era ai tempi del Signore. Prima di tutto venni in Betlemme come se andassi incontro alla Sacra Famiglia. Dopo però percorsi tutte le vie già da me conosciute passando da un luogo all' altro, e vidi visioni della predicazione evangelica del Signore. Così lo vidi pure, anche prima del suo pubblico comparire nel mondo, distribuire pane al popolo radunato per mezzo di due individui che presso di lui si trovavano, e dopo cotesta distribuzione raccontare una parabola. Quella gente sedeva sulla costa di una collina, all'ombra di alberi alti e sottili, che solo nell' alto avevano corone di foglie. Sotto quegli alberi crescevano folti cespugli da cui pendevano ogni sorta di bacche rosse e gialle, rassomiglianti alle more dei rovi. Dei rigagnoli d'acqua scorrevano separati in giù da quell'altura. Eravi un tappeto di erbette molli e fine come la seta, cui sottostava uno strato di folto musco. Toccai alcun poco quell'erbetta; ma se mi rivolgeva agli altri oggetti presenti, essi si allontanavano dalla mia mano, e riconobbi esser quello soltanto un quadro dei tempi passati. Quelle erbette peraltro le toccai e ne sentii il contatto. Il Signore vestiva, come sempre, una lunga tunica di lana giallastra; i capelli apparivano sulla fronte divisi, e lunghi scendevano sopra le sue spalle.

L'aspetto suo era serio, tranquillo, luminoso; la sua fronte bianchissima e rilucente. I due che dividevano il pane, lo dividevano spezzandolo. La turba accorreva. Uomini, donne e fanciulli si ristoravano e quindi sedevansi. Dietro il Signore eravi uno stagno. Così vidi molti quadri di quel genere, e passai rapidamente da un luogo ad un altro. Di poi mi rimisi in viaggio, partendo da Gerusalemme inverso Oriente. Più volte venni in prossimità di grandi estensioni di acque, e passai per sopra montagne, per le quali pure erano passati i Magi, che dall'Oriente venivano. Traversai pure contrade abitate da molte popolazioni; ma punto mi fermai in cotesti luoghi; per lo più si presentavano deserti, per sopra i quali io passava. Dopo di ciò venni in una contrada, ove provavasi gran freddo, e venni condotta in regioni sempre più alte. La superficie del suolo era costà estremamente elevata. Lungo quella catena di monti estendevasi poi dall'occaso verso l'ostro una grande e largastrada, sulla quale vidi muoversi e progredire grandi turbe di uomini. Una specie di cotesti uomini era piccola di statura, ma molto agile e veloce, e portava aste con piccole bandiere; l'altra specie poi era di grandissime e sviluppate forme; fra tutti loro non eravi alcun cristiano. Cotesta strada dirigevasi giù nel basso; la via che io percorreva al contrario era diretta nell'alto, verso una regione straordinariamente bella. Colassù la temperatura era calda, e tutto vi appariva verde e fruttifero: e vi erano fiori indicibilmente belli, e molti vaghi cespugli e boschetti. Gran quantità di animali aggiravasi qua e là come scherzando, e cotesti animali non sembravano punto feroci. Niuna creatura umana abitava quella regione, nè poteva nemmeno giungervi e penetrarvi; giacchè dalla grande strada di cui ho parlato guardando in sù, non vedevasi altro che nuvole. Osservai turbe di animaletti simili a piccoli caprioli, con gambe al sommo snelle e sottili, ?enza corna, di pelle bruno-chiara, e macolati di macchie alquanto più scure. Mostravansi agilissimi. Vidi pure una bestia di corte dimensioni, di color nero, e somigliante quasi ad un porcello. Vidi inoltre bestie grosse come le capre, ma pure più rassomiglianti ai caprioli, molto domestiche, con occhi limpidi e chiari ed agilissime. Vidi animali che sembra vano pecore, larghi molto di schiena, con gran ciuffo di lana, e con grasse e larghe code. Eranvi pure animali simili all'asino, ma di pelle maculata. Eranvi greggi come di piccole capre di color giallastro, e di piccoli cavalli.

Vedevansi grossi volatili di lunghe gambe, che veloce mente correvano. Eranvi pure volatili somiglianti alle galline, ben graziosamente colorati nelle penne, ed eravi d'altronde gran quantità di vaghi, variopinti e piccolissimi uccelli. Tutti cotesti animali costà si rimanevano lieti, scherzosi e senza alcun disturbo, come se affatto ignorassero l'esistenza degli uomini. Da questa regione di paradiso dovetti salire ancora più in alto, e sembrommi come se fossi un'altra volta trasportata attraverso le nuvole; e così venni sull'estrema cima di quell'alta regione montana, ove vidi cose mirabilissime. Sulla cima del monte estendevasi una gran pianura, ed in questa scorgevasi un lago. Sul lago poi vedevasi una verde isola, riunita a quella pianura da verde lingua di terra. Quell'isola era circondata da alberi alti come cedri. Fui sollevata sopra ad uno di cotesti alberi, e mi sostenni afferrando uno dei suoi rami, e sogguardai l'isola intera. Si elevavano nel suo seno diverse torri di forma svelta e sottile. Ciascuna di queste torri aveva per dinanzi un piccolo edifizio, come se al disopra della porta di ciascuna di esse fosse stata elevata una piccola cappella. Cotesti edifizi erano del tutto ricoperti da sempre verdi arbusti, da musco o da edera; pareva di vederli crescere e vegetare, ed eravi in quel verde alcunchè di vivente. Quelle torri erano alte presso a poco come lo è comunemente un campanile, ma moltosvelte e sottili; talmentechè mi rammentavano quelle alte colonne, che durante il viaggio aveva osservate nelle antiche distrutte città. Apparivano diverse nella forma; vene erano di rotonde ed anche di ottagone. Le rotonde avevano tetti consimili alla forma della cipolla; le ottagone poi erano difese da larghe ed estese tettoie. Le torri rotonde erano fabbricate di grosse pietre ridotte a lucido pulimento e screziate di variopinte vene. Le altre poi presentavano ogni sorta di risalti e di nicchie in pietra, rappresentanti immagini di profonda significanza. Per mezzo di quelle pietre che dal contorno delle torri sporgevano in fuori, potevasi agevolmente salire in alto. Coteste pietre apparivano di differenti colori: ve ne erano di brune, di rosse, di nere, ed erano state messe in opera con ogni foggia di disegno. Quelle torri non si elevavano però al disopra degli alberi straordinariamente alti, sulla cima dell'uno dei quali io mi stava. Secondo un mio intimo presentimento dovevanvi essere sopra quell'isola altrettante torri, quanti erano gli alberi che la circondavano. Cotesti alberi somigliavano in certa guisa agli abeti, ed avevano foglie acuminate. Dai loro rami pendevand frutti gialli di colore e squamosi, non così lunghi come le pine degli abeti, ma più consimili alla forma delle mele. Cotesti alberi nel basso del tronco erano molto forti e punto lisci, ma si mostravano più lisci fra i rami, i quali si estendevano intorno al tronco in forma di circolo estremamente regolare, e soprattutto quegli alberi avevano alcunchè di molto simmetrico ed ergevansi dritti come cedri. Non erano già situati vicini gli uni agli altri, e ben molto spazio si frapponeva a che si potessero toccare scambievolmente con le loro corone. Tutto il suolo di quell'isola era tappezzato di un verde folto, corto e finissimo, che non era già erba, ma piuttosto un vegetabile a foglie finissime ed arricciate somigliante al musco, talmente folto e molle che ne disgradava il più vago e molle cuscino. Non iscorgevasi nemmeno la minima traccia di alcuna via o sentiero, nè in quell'isola, nè in tutta la vicinanza. Presso ogni torre vedevasi un piccolo giardino ricco di ridenti fiori distribuiti in circolo o in altra forma, e partito in aiuole da differenti arboscelli e cespugli. Ma anche in quei giardini tutto era verde; e quanto alla forma, essi variavano secondo la diversità delle torri. Quand'io dal mio albero guardava più lungi per disopra quell'isola, poteva ben vedere all'altra estremità le acque del lago, ma non poteva scorgere in giù le cime del monte. Cotesto lago era vivace nei moti e straordinariamente limpido e chiaro. Le di lui acque traversavano l'isola per diverse vene, e poi si precipitavano per molti larghi e sottili correnti in sotterraneo abisso.

« In faccia a quella lingua esigua di terra, che riuniva l'isola al continente, ergevasi sul verde prato una grandissima tenda che si estendeva per lungo spazio, e che sembrava formata di grigia stoffa, e che nelle interne pareti era decorata di larghe variopinte bande, e ricamata o dipinta di ogni sorta di figure. Intorno alla tavola situata nel suo centro erano distribuiti seggi marmorei senza appoggio, raffigurati in forma di cuscini, ed anch'essi apparivano ricoperti di sostanza vegetabile e sempre verde. Sul seggio distinto, situato nel bel mezzo, sedeva presso la bassa ed ovale tavola di pietra una figura d'uomo raggiante di santità. Egli posava alla foggia orientale colle gambe incrociate, e scriveva in un gran rotolo con un calamo o penna di canna. Quella penna somigliava ad un piccolo ramoscello. A dritta e a sinistra posavano molti grossi volumi e rotoli avvolti a bastoni, terminanti in bocciuoli; e presso la tenda eravi aperto nel terreno un forame che pareva all'intorno murato, dove ardeva un fuoco che però non oltrepassava l'orlo estremo colle sue fiamme.

Tutta la contrada poi aveva per lo intero sembianza di una bella e verde isola, circondata da nuvoli. Al di sopra di me il cielo stendevasi indescrivibilmente chiaro. Io non vedeva che una forma semicircolare di raggi scaturire dal sole attraverso le nuvole. Cotesto semicircolo appariva far parte di un disco molto più grande di quel che nol sembri fra noi. Tutta quella vista aveva alcunchè d'ineffabilmente sacro, solitario, e nondimeno pieno di letizia. Quand'io la considerai, mi sembrò pure come se ben potessi sapere e comprendere ciò che tutto questo fosse e significasse. Ma non potei peraltro trasportar meco quaggiù cotesta cognizione. La mia Guida celeste era rimasta presso di me fin lassù, ma presso quella tenda mi divenne invisibile.

« Quando vidi tutto ciò, pensai entro me stessa: Che debbo farmi io qui ? E perchè io, povera creatura, debbo veder tutto questo ? Allora quella forma umana parlando dalla tenda, mi disse: Ciò avviene, perchè tu qui hai una parte che ti appartiene. Ciò mi destò anche maggiore meraviglia; ed io discesi o fui trasportata verso di lui nella tenda ove sedeva. Era vestito nel modo in cui soglio vedere vestiti gli spiriti. La di lui apparenza o modo di essere somigliava a quello di Giovanni Battista o d'Elia.

I molti volumi e rotoli che accanto a lui posavano, erano antichissimi e preziosi. Sopra alcuni di quei volumi vedevansi rilevati ornamenti e figure di metallo, come, esempli grazia, un uomo con un volume in mano. Quella apparizione mi disse, ovvero mi sentii internamente dire da lei, che cotesti volumi contenevano quanto vi ha di più santo per gli uomini, e che li esaminava tutti e li comparava, ed abbruciava tutto il falso nel fuoco ardente presso la tenda. Mi disse trovarsi colà, onde impedire ad ogni creatura umana di pervenirvi; dover custodire e difendere tutto ciò, finchè venisse il tempo da doverlo porre in uso. Quel tempo avrebbe potuto venire già alcune volte, ma ancora si frapponevano gravi ostacoli. Gli addomandai se non sentiva la lunghezza del tempo ed il peso del dover cotanto aspettare; mi rispose che in Dio non eravi tempo. Mi disse pure che io doveva costì vedere il tutto, e mi condusse fuori della tenda, ed il tutto mi fece vedere all'intorno. Mi disse pure che gli uomini non meritavano per anco tutto ciò che ivi era custodito. Andai quindi percorrendo l'isola intera. La tenda era circa dell'altezza di due uomini e così lunga come di qui alla chiesa di città; ed in larghezza era la metà dell'altezza.

« Il coperchio della medesima era alquanto ristretto verso il centro, e come sospeso ad una corda che andava in alto e si perdeva nell'aria; talmentechè in me stessa ricercava, meravigliando, a che mai quella corda fosse rilegata. I quattro angoli della tenda erano formati da colonne, che quasi potevano abbracciarsi con ambo le mani.

Erano pure in apparenza venate come le lucide e liscie porte, ed in cima avevano verdi bocciuoli. La tenda era aperta sul dinanzi e dai lati. In mezzo alla tavola posava un volume straordinariamente grosso, e potevasi aprire e chiudere. Sembrava per altro che fosse fermamente legato alla tavola medesima. In cotesto volume quell'uomo leggeva, e tutto osservava per vedere se era in regola ed esatto. Mi sembra come sotto la tavola vi fosse una porta, e che là dentro venisse custodito un grande e sacro tesoro, una cosa santa. Quei seggi ricoperti di verdi vegetabili erano disposti in modo intorno alla tavola, che si poteva circolare fra loro. I molti volumi erano disposti all'indietro di quei seggi a dritta e a sinistra. I sinistri erano quelli che dovevano esser bruciati. Mi condusse intorno a quei libri. Sulle coperte vedevasi ogni sorta di figure: uomini che portavano scale, o libri, o piccole chiese, o torri, o tavole. Mi disse che egli tutto ciò esaminava e comparava, che abbruciava tutto il superfluo ed il falso, ma che gli uomini non potevano ancora ricevere cotesti tesori; doveva prima venire un altro. Tutto ciò che rigettava, lo posava a sinistra. Egli allora mi mostrò tutto all'intorno, e pervenni sino all'estremo lembo del lago, il di cui livello è precisamente alto quanto quello dell'isola. Sentii benissimo sotto ai miei piedi come quelle acque si versassero per molte correnti giù al disotto del monte, e poi venissero molto più in basso alla luce in più grandi o più piccole sorgenti; e mi sembrava come se tutta cotesta parte del mondo ricevesse da quelle acque salute e benedizione. Sopra nell'alto non straripano mai. Dal lato d'oriente e di mezzogiorno tutto appariva verde e ricco di bei fiori; dal lato poi dell'occaso e del settentrione tutto era pur verde, ma senza fiori. Venni sull'isola per la parte posteriore, passando sopra quelle acque senza alcun ponte, e poi errai all'intorno fra tutte le torri. Sembrava come se tutto quel suolo fosse soltanto un forte e denso strato di musco; sembrava come se tutto al disotto fosse vacuo e pienamente vuoto.

« Tutte quelle torri si inalzavano come scaturendo dal musco, ed alla base di ogni torre stava un giardino, pel quale scorrendo varii ruscelli andavano a versarsi nel lago, o forse scaturivano dal lago in quei giardini; il che non ho potuto notare con assai precisione. Anche in cotesti giardini non vi era alcun sentiero, ma eranvi alberi ordinatamente distribuiti, e cespugli, e fiori. Vidi delle rose, ma molto più grandi e più grosse delle nostre. Ne vidi di rosse, di bianche, di gialle ed oscure. Vidi dei fiori somiglianti ai gigli nella forma, ma molto alti; e fra quelli ne vidi di azzurri striati di bianco, e vidi pure uno stelo alto quasi al pari di un albero, guarnito di foglie larghe e simili a quelle della palma, sulle estremità superiori del quale posava un fiore largo come un gran piatto. Sentii intimamente come se in quelle torri venissero conservati i più grandi tesori dell'umanità, e provava un senso come se costì riposassero corpi santi. Fra alcune di quelle torri vidi stare un cocchio di strana forma, con quattro basse ruote; quattro persone avrebbero potuto benissimo posarvi dentro. Ed eranvi internamente due banchi, ed inoltre sul dinanzi un piccolo seggio. Cotesto cocchio era tutto rivestito o guarnito di verde, come tutto lo è là dentro. Era senza timone ed interamente ornato di figure scolpite; talmentechè a prima vista credei che dentro vi fossero uomini assisi. La cassa di quel cocchio era formata da quelle medesime figure; era sottile e lucida come metallo: le ruote erano grosse e larghe come nei carri romani.

Giudicai che fosse leggiero abbastanza per poter essere tratto da uomini. Osservai tutto ciò con tanta precisione, perchè quell'uomo mi aveva detto: Tu hai la tua porzione in tutto ciò che è qui, e puoi tosto prenderne possesso. Io non poteva affatto comprendere qual porzione mi potesse appartenere e potessi avere costà. Che mi debb'io fare con quel curioso cocchio, pensava in me stessa, e con quelle torri e coi volumi ? Provava peraltro un intimo profondo senso della santità di quel luogo. Sembravami che insieme a quelle acque fosse scorsa giù nelle valli commista la salute di molti tempi, e come se anche gli stessi uomini fossero discesi da quei monti, e quanto più calati nel basso, tanto più profondamente decaduti. Così pure io sentiva come se costì fossero in pro degli uomini conservati, custoditi, purificati, preparati, doni divini. Di tutto ciò provava un chiarissimo senso, ma sembravami come se non potessi meco portare tale chiarezza quaggiù; conservai soltanto quella impressione in modo generale. « Allorchè di bel nuovo fui entrata nella tenda, quell'uomo mi disse un'altra volta la stessa cosa: Tu hai qui una porzione che ti appartiene e ne puoi subito entrare in possesso. Ed allorchè dichiarai la mia incapacità ed inettitudine a farlo, mi rispose con tranquilla convinzione e certezza: Tu ritornerai presto presso di me. Non uscì mai dalla tenda mentre io mi vi trovava; ma solo movevasi continuamente come sospeso in aria intorno alla tavola ed ai volumi. Cotesta tavola non era tanto ricoperta in verde come lo erano i seggi, i quali per altro apparivano meno verdi di quel che nol fossero le cose situate sotto le torri; giacchè presso la tenda non vi era altrettanta umidità. Nondimeno anche qui ed attorno alla cella tutto il suolo era coperto di musco. La tavola, come pure i seggi, sembravano esser costà nati o cresciuti. Il piè della tavola era formato a guisa di un'arca quadrata, e pareva che dentro vi si contenesse alcunchè di santo. Entro quella tenda io provava un senso come se un corpo santo fosse ivi sepolto. Parevami sentire che per disotto tutto era vuoto, e come se spirasse un prezioso profumo da una sacra tomba. Ebbi una specie di intimo senso che quell'uomo non sempre restava con quei volumi entro la tenda. Mi aveva ricevuto e meco aveva parlato come se mi conoscesse ed avesse risaputo il mio venire. Con ugual certezza mi predisse il ritorno presso di lui, e m'indicò la via che in giù conduceva. Mi avviai nella direzione del mezzo giorno, e venni dapprima di bel nuovo sull'erta costa del monte, e traversando le nuvole, scesi in giù in quella lieta contrada ove albergavano tanti animali. Su in alto ove era stata, non eravi nemmeno un solo animale. Vidi molte correnti di acqua sgorgare dal monte e precipitarsi in cascata, e proseguire un corso frettoloso. Vidi anche volatili della grossezza di un'oca, coi piedi muniti di tre artigli dinanzi e di uno all'indietro, del color presso a poco delle pernici, con coda alquanto cadente e lungo collo. Vidi anche uccelli quasi simili allo struzzo, per altro più piccoli e di penne piuttosto azzurre; e vidi tutti gli altri animali.

Durante questo secondo viaggio, vidi di bel nuovo molti più uomini che nel primo. Venni una volta presso un piccolo fiume, che, come nel mio intimo conobbi, derivava pure dal lago da me veduto sul monte. In seguito proseguii il cammino lungo le sue sponde, e poi lo perdetti di vista. Pervenni quindi in un luogo ove poveri popoli di diverso colore abitavano in capanne. Sembravami che fossero cristiani prigionieri. Vidi a loro venire altri uomini di bruno colore con bianche bende intorno al capo.Essi portavano a quei cristiani cibi in ceste intrecciate, ma li porgevano timidamente, stendendo innanzi le mani quasi a difesa, e quindi fuggivano con timore, come se avessero arrisicato cosa pericolosa. Coteste genti vivevano sotto meschine capanne in una città distrutta. Vidi anche un corso di acque ove crescevano canne molto forti e d'incredibile grossezza. Poi ritornai di bel nuovo sulle sponde del fiume; e nel punto dove lo rividi era molto largo, conteneva molti scogli ed isole di sabbia, e bei verdi cespugli fra i quali scherzavano le onde. Era quello stesso fiume che derivava dall'altissima montagna e che lassù, ove era tenue e piccolo, aveva traversato. Gran moltitudine di gente bruna di colore, uomini, donne, e fanciulli, in diverso abbigliamento, stavansi per quelle isole e sugli scogli, occupate a ber di quelle acque ed a lavarsi. Sembrava che fossero costà venuti di ben lontano. Era cotesto un modo di essere e di agire come già l'aveva veduto sul Giordano in Terra santa. Eravi pure qui un gran personaggio che sembrava essere il loro sacerdote, e che riempiva coll'acqua dei vasi che quella gente portavano. Molte più cose ho vedute, e mi trovava non molto lungi da quella contrada, ove fu S. Francesco Saverio; e poi passando per sopra il mare, vidi isole in maravigliosa quantità.

« 22 dicembre. So perchè fossi trasportata su quel monte. Anche il mio libro stassi tra quei volumi che son sulla tavola; mi sarà reso di bel nuovo onde possa leggere le ultime cinque pagine. L'uomo che è assiso presso la tavola, tornerà nuovamente a suo tempo. Il suo cocchio è collocato lassù ad eterna memoria. Su quello egli fu trasportato nell'alto, e gli uomini lo vedranno a loro gran sorpresa ritornare quaggiù su quel medesimo cocchio. Costassù, su quel monte il più alto del mondo, ove niuno d'altronde può mai giungere, furono portati e salvati i più sacri e segreti tesori, onde sottrarli alla crescente perversità degli uomini. Quelle acque, l'isola, e le torri, sono i mezzi coi quali cotesti tesori vengono fortemente guardati e sicuramente conservati. Da quelle acque di lassù, tutto verrà refrigerato e rinnovato. Quel fiume che di là sopra discende e le di cui acque tanto venerano i popoli, ha realmente in sè una forza, e rinvigorisce quegli uomini; perciò lo tengono molto più in pregio che il loro vino. Ogni bene è sceso di lassù agli uomini, e tutto è lassù riposto in salvo ciò che esser doveva preservato dalla devastazione.

« L'uomo sul monte mi ha conosciuto perchè lassù posseggo la mia porzione. Tutti ci conosciamo; tutti gli uni agli altri apparteniamo. Non posso esprimerlo come vorrei, ma siamo come un sol seme che si estende per tutto l'intero mondo. Il Paradiso terrestre non è lontano da quel monte. Aveva già per l'innanzi veduto come Elia vivesse in un giardino dinanzi al paradiso. »

25 Decembre. Ho veduto di bel nuovo il monte dei profeti. L'uomo della tenda porse ad una apparizione che a lui dal cielo era venuta e stava sospesa nell'etra, fogli e volumi, e ne ricevè altri in vece. Quello spirito a lui comparso, era nel suo modo di essere da lui diverso. Cotesto sorvolante spirito mi fece vivamente rammentare S. Giovanni. Appariva molto più mobile, pronto, amabile, leggiero di quel che nol fosse l'uomo della tenda, che aveva in sè alcunchè di più fermo, severo, irrigidito, ed immobile.Colui era rispetto all'uomo della tenda, come il Nuovo Testamento rispetto al Vecchio, e quindi mi fu possibile il riconoscere nell'uno Giovanni e nell'altro Elia. Sembrava che Elia porgesse a Giovanni delle rivelazioni già compiute, ed invece ne ricevesse delle nuove. Vidi dipoi subitaneamente sgorgare da quel limpido lago una sorgente simile al getto di un fonte, ed elevarsi perpendicolarmente in alto nella foggia di uno strale puro come il cristallo; e giunto in alto dividersi e disperdersi in infiniti zampilli e goccie di acqua, che ricadevano per larghe curve nei più svariati luoghi della terra; e vidi da quelli molti uomini illuminati e refrigerati in case, in capanne, in città, in diverse parti del mondo. Vidi pure anche alcuni dei protestanti i più addentro immersi nelle loro credenze, da quelle stille illuminati. Un certo commuovimento principia nel loro cuore, ed un certo fermento comincia a germogliarvi, e dopo grave tempesta si svilupperà in tutta la sua pienezza. ».

3. Ai 27 di dicembre, festa di S. Giovanni evangelista, essa vide «la Chiesa romana risplendente come sole. Da essa scaturivano a torrenti raggi che si dilatavano sul mondo intero. Mi fu detto che ciò si riferiva alla rivelazione di S. Giovanni, circa la quale alcuni appartenenti alla Chiesa dovevan ricevere alcun lume, e che cotesto lume ricadrebbe tutto in pro della Chiesa. Ho veduto di ciò un quadro precisissimo, ma non lo posso con parole esprimere. »

Durante tutta la ottava di quella festa vide continui quadri relativi alla Chiesa, ma non potè con qualche precisione raccontare che i seguenti. Non potè esporre con maggiore esattezza la intima correlazione, nella quale coteste visioni stavano con quella del monte dei profeti. Pure dalle brevi indicazioni che abbiamo, può desumersi che il Pellegrino ha in ciò salvato almeno frammenti di cotesto grandiosissimo ciclo di visioni.

Ho veduto la Chiesa di S. Pietro ed una immensa moltitudine di uomini occupati ad abbatterla; ma ne ho visti pure altri che la riedificavano. Ho veduto linee di lavoratori che si davan la mano e si estendevano pel mondo intero, ed io mi meravigliava per la simultanea correlazione delle opere loro. I distruttori buttavan giù grossi frammenti, e fra loro contavansi specialmente molti settarii ed apostati. Vi erano per altro individui che lavoravano, distruggendo con ordine, regola, e misura, e costoro portavano grembiuli a tasca rilegati con fascie azzurre, ed avevan cazzuole ficcate nella cintura. Eran d'altronde vestiti d'ogni sorta di vestimenti, ed eranvi fra loro grossi e grassi personaggi di distinzione, con uniformi e croci a stella. Costoro per altro non lavoravano colle loro mani, ma soltanto colla cazzuola indicavano certi punti delle mura, e come e per dove si dovesse irrompere e rovinare.

A mio gran spavento, vi eran fra loro anche degli ecclesia stici cattolici. Talvolta, però, allorchè subito non si rinvenivano del come e dove distruggere, per proceder più alla sicura, si rivolgevano ad uno dei loro, che teneva in mano un grosso volume, nel quale sembrava fosse descritta l'intera fabbrica ed il modo di rovinarla. E dopo quel consulto di bel nuovo incominciavano, e indicavano colla cazzuola precisamente il luogo ove doveva operarsi e distruggere, e bentosto quel pezzo di fabbrica giaceva distrutto sul suolo. Coteste persone distruggevano colla maggior tranquillità e sicurezza, ma con timidità, segretamente, e stando come in aguato. Vidi il Papa in orazione, circondato da falsi amici, che sovente facevano l'opposto di quanto egli aveva ordinato. Vidi un birbaccione di secolare, piccolo e nero di pelle, agire con piena attività contro la Chiesa.

« Mentre quella Chiesa veniva da un lato così rovinata, veniva dall'altro lato di bel nuovo costrutta, ma però affatto senza zelo ed energia. Vidi molti ecclesiastici a me cogniti. La vista del Vicario generale mi cagionò molta gioia. Senza punto turbarsi, se ne andava dritto per mezzo ai distruttori, e dava gli ordini opportuni a conservare e ristaurare. Vidi pure il mio confessore trascinare una grossa pietra, pigliandola alla larga e con molti circuiti. Ne vidi altri recitar con pigrizia il loro breviario, e nei frattempi talora apportare, come grossa rarità, una pietruzza sotto il loro mantello, ovvero porgerla ad altri. Tutti sembravano non aver fiducia alcuna, non provar veruna gioia, niun impulso, e non sapere nemmeno di che si trattasse. Era proprio una desolazione. Digià tutta la parte anteriore della chiesa era per terra, e rimaneva solo il santuario. Io era molto conturbata, e pensava sempre entro di me: ov'è dunque mai quell'uomo che per l'innanzi ho veduto, vestito di rosse vesti e con bianca bandiera, star sopra la chiesa e salvarla ? Ma allora vidi una maestosa signora aggirarsi sulla gran piazza dinanzi a quella chiesa. Aveva sulle due braccia raccolto l'ampio suo manto, ed incedeva sollevandosi lieve verso l'alto. Così pervenne in cima alla cupola, ed allora dilatò sull'intero spazio della chiesa il di lei manto, che riluceva come l'oro. I distruttori avevano appunto allora dato un poco di tregua, ma si accingevano per altro di bel nuovo al lavoro, senza potere però in verun modo approssimarsi al lembo di quel mantello. Dall'altro lato poi sorgeva straordinaria attività fra i costruttori. Accedevano uomini vecchissimi, storpiati, dimenticati, e poi molti forti giovani, donne e fanciulli, ecclesiastici e secolari, e l'edifizio appariva bentosto di bel nuovo restaurato. Allora vidi venire un nuovo Papa con una processione. Era più giovine e più austero del precedente. Fu ricevuto con grande solennità. Sembrava, che dovesse consacrar quella chiesa, ma intesi una voce a dire che non abbisognava di nuova consecrazione, giacchè il santuario era rimasto intatto. Dovea per altro aver luogo una duplice e gran festività ecclesiastica; un giubileo universale, e la ristaurazione della chiesa. Prima che il Papa incominciasse la festa, aveva già disposto e dati gli ordini opportuni ai suoi circostanti, che senza niuna resistenza rimossero ed allontanarono da quella riunione una quantità di ecclesiastici di alto e di basso grado. E vidi che essi lasciaron quella riunione mormorando ed in collera. Il Papa poi prese persone affatto diverse al suo servizio, tanto ecclesiastiche, quanto secolari. Allora principiò la grande festività nella chiesa di S. Pietro. Coloro però che eran vestiti di bianchi grembiuli, lavoravano sempre in silenzio e con precauzione, timidi e spianti in aguato quando gli altri non vedevano.

4. 30 dicembre. « Ho veduto di bel nuovo la Chiesa di S. Pietro coll'alta sua cupola. S. Michele stava sulla sua vetta, risplendente in ammanto color di sangue, e stringente in mano una grande insegna di guerra. Eravi grande lotta e combattimento sulla terra. I verdi ed i turchini combattevano contro i soldati bianchi, e cotesti bianchi sui quali pendeva una grossa spada di fuoco, sembrava dovessero affatto soccombere. Tutti poi ignoravano perchè mai combattessero. La Chiesa appariva tutta di un color rosso sanguigno al pari dell'angelo, e mi fu detto:

Essa crescerà vegetando nel sangue. Quanto più a lungo durava il combattimento, tanto più si dileguava il color rosso sanguigno dalla Chiesa, e diveniva sempre più trasparente. L'Angelo poi giù discese e si avanzò verso i bianchi, e lo vidi come fatto molteplice, star dinanzi a tutte le squadre. Esse furono allora comprese da meraviglioso coraggio, e non sapevano d'onde nascesse. Era l'angelo che attaccò e percosse i nemici, ed essi fuggirono da tutti i lati. Erasi allora dileguata quella spada infuocata che pendeva sui bianchi. Durante la lotta, continuamente squadre intere di nemici venivano a riunirsi ai bianchi, ed una volta ne sopravvenne anche una gran moltitudine. Al disopra della battaglia apparivano pure nell'etere squadre di santi, che mostravano prendervi parte, e colle mani indicavano ed accennavano; tutti apparivan diversi fra loro, e pur tutti animati da un medesimo spirito.

Quando l'angelo fu disceso dal culmine della chiesa, vidi al disopra di essa nel cielo stare una grande e luminosa croce, dalla quale pendeva il Salvatore, dalle cui piaghe fasci di luminosi raggi scaturivano e si diffonde vano sul mondo. Quelle piaghe eran rosse come porte luminose, il cui centro fosse del color d'oro del sole. Nonportava corona di spine, ma da tutte le ferite del capo sgorgavano orizzontalmente raggi sul mondo intero. Gli strali sgorganti dalle mani, dal costato e dai piedi, apparivano tinti dei colori dell'iride, e si dividevano fini come capelli, e molti anche si dirigevano raccolti in fasci verso villaggi, città, case del mondo intero. Li vidi qua e là, da lungi e da presso, cadere sopra ogni sorta di moribondi, e vidi le anime assorbirli e poi strisciarsi per un di que' colori sin nelle piaghe del Signore. Gli strali derivanti dalla piaga del costato sgorgavano in largo e ricco torrente sulla sottoposta chiesa. Essa ne appariva tutta luminosa, e per mezzo di quell'effusione di raggi vidi la maggior parte delle anime penetrar nel seno del Signore.

« Vidi pure anche un rubicondo e risplendente cuore librato in alto nel cielo, e da lui derivare una candida via formata da luminosi raggi che conduceva alla piaga del costato del Signore, mentre ne derivava un' altra seconda via luminosa discendente sulla chiesa, e dilatandosi si dirigeva a molte altre contrade; e molte anime assorbivano cotesti strali luminosi, che poi traversando quel cuore e quella via aerea, andavano a penetrare nel costato di Gesù. Mi fu detto che quello era il cuore di Maria. Oltre cotesti strali, vidi da tutte le sacre Piaghe discendere scale ed abbassarsi verso la terra; alcune di coteste peraltro non giungevano sino sul suolo. Coteste scale erano in diverse foggie formate: ve ne eran di strette, di larghe, ve ne erano alcune che si distendevan lontane, ve ne erano altre brevi e vicine. Ve ne erano di isolate, ed anche di riunite. Possono essere state circa trenta. Eran del colore del purgatorio, scure e di un grigio chiaro, finchè progredendo in alto sempre più divenissero luminose. Sopra coteste scale vidi molte anime penosamente arrampicandosi salire. Alcune montavan più presto e come se avessero aiuto, ascendendo in continuo progresso; altre salivano con imbarazzo e quindi cadevano di nuovo sui più bassi gradini; ed alcune piombavano affatto nel profondo dell' oscurità. Era cosa commovente il contemplare quel penoso arrampicarsi, in confronto del gioioso assorbimento delle altre nella luce.

Sembrava come se le anime di coloro che continuamente soccorse d' aiuti montavano, fossero più intimamente affiliate alla Chiesa, di quel che nol fossero le anime degli impediti, dei soffermati, dei ritardati, degli abbandonati, dei cadenti. Vidi pure molte di quelle anime, i cui corpi eran caduti nella battaglia, prender ciascuna la sua via verso il corpo del Signore. Dietro la croce poi, lassù nel più profondo del cielo, vidi intere serie, sempre più l'una dall' altra lontane, di quadri rappresentanti successive opere della Redenzione, ma non posso esprimere nè narrare con parole cotesti quadri. Pareva come se fossero le varie stazioni della via percorsa dalla grazia divina nella storia del mondo, sino al suo fine e compimento nella Redenzione. Non mi fermai in un punto solo. Mi mossi frammezzo a quegli strali di luce in qua e in là e tutto vidi. Oh vidi cose infinite, ineffabili ! Vidi pure una volta come se il monte dei profeti si fosse avanzato presso la croce: avanzato molto più vicino, e pur nondimeno radicava ancora nella terra, ed era pur sempre unito con essa. Ebbi la visione di quel monte come nelle prime immagini, e più alto e dietro di esso vidi luminosi mirabili giardini, ove vidi animali e piante risplendenti, e sentii in me che quello era il paradiso.

Allorchè fu finito il combattimento sopra la terra, la chiesa e l'Angelo, che allora disparve, eran divenuti raggianti di un candido splendore. Anche la croce scomparve, ed in sua vece comparve un' alta e luminosa donna al di sopra della chiesa, e di lassù distese l' aureo suo luminoso ammanto in modo ampio ed esteso sopra di lei. Giù nella chiesa apparvero atti di umiltà e di riconciliazione reciproci. Vidi vescovi e pastori avvicinarsi e far cambio dei loro libri, e le sêtte riconobbero la Chiesa a causa del meraviglioso suo trionfo, e dei mirabili lumi della rivelazione che dalla Chiesa medesima avevan veduto versare in numerosi torrenti nel loro seno. Cotesti lumi derivavano dagli strali della sorgente del lago del monte dei profeti, sorgente che derivava da Giovanni. Allorchè vidi cotesta ricongiunzione delle sètte colla Chiesa, nacque in me un profondo senso dell' avvicinarsi del regno di Dio. Mi feci accorta di un nuovo splendore e di una più alta vita in tutta la natura, e di un santo eccitamento e moto in tutti gli uomini, siccome fu all' avvicinarsi del tempo della nascita del Signore; e sentii così vivacemente l'approssimarsi del regno di Dio, che ne fui costretta a corrergli incontro e gioiosamente sclamare ( 1 ).

(1) Ciò fece durante la visione, orando ad alta voce.

Io aveva già in passato avuto un senso intimo della venuta di Maria, nei suoi più antichi antenati. Vidi il di lei genealogico ceppo sempre più nobilitarsi progressivamente, onde giungere a portare questo bel fiore e niun altro. Vidi Maria venire in un modo che non posso esprimere; e nella stessa guisa provo ognora un senso somigliante del sempre maggiore avvicinarsi del regno di Dio. Non posso paragonare cotesto senso con altro fuorchè con quello. Vidi cotesto regno avvicinarsi in forza delle aspirazioni di molti umili, amanti e credenti cristiani. Quel loro ardente desiderio lo attira e lo fa avvicinare. Vidi sulla terra molte piccole luminose gregge di agnelli guidate al pascolo dai loro pastori; e vidi tutti costoro essere veri pastori di Colui che come agnello ha dato il suo sangue per noi; ed un infinito amore e forza divina regnava negli uomini. Vidi peraltro pastori che conosceva e che mi erano vicini, ma che non avevano il minimo presentimento di tutto ciò, ed io possentemente desiderava di destarli dal loro sonno. Mi rallegrava concotanta gioia filiale di aver la Chiesa per madre, che mi si appresentò al guardo una vivacissima immagine degli anni della mia infanzia: l'immagine del nostro maestro di scuola che spesso suoleva dire: Colui che non ritiene la Chiesa per madre, non ritiene Iddio per padre! - Sembravami esser ridivenuta bambina, e pensava in me come allora la chiesa è pur fatta di pietra, e come mai può esser mia madre ? eppure è vero ! essa è tua madre ! E così allora credeva sinceramente di andarmene dentro mia madre, allorchè entrava in chiesa. Perciò anche in questa visione sclamai ad alta voce: Sì, essa è certamente tua madre ! Ed allora vidi ad un tratto la Chiesa sotto la forma di una bella e magnifica donna, e le rimproverai come si lasciasse così negligere e maltrattare da coloro che la servono. La pregai di darmi il di lei figlio, ed essa mi pose fra le braccia il bambino Gesù, col quale a lungo parlai. Allora ottenni in me una dolce e bella certezza del come Maria sia la Chiesa, e la Chiesa la nostra madre, e Dio il nostro padre, e Gesù il nostro fratello. Ed allora provai gran gioia per l'essere entrata come bambina nella ma madre di pietra, cioè nella Chiesa, e di avere per grazia di Dio pensato in me: Ecco che io entro in grembo alla mia santa madre.

« Vidi allora nella Chiesa che per la superata lotta raggiava siccome un sole, una gran festività. Vidi penetrarvi molte processioni. Vidi un nuovo Papa molto austero e rigido. Vidi prima del principio di quella festa solenne, da lui respingere molti Vescovi e pastori perchè eran cattivi. Vidi in quella chiesa concorrere in modo speciale a celebrare la festa i santi apostoli. Allora vidi che il Signore veniva e che il suo regno era molto vicino. Mi pareva di vedere celesti e risplendenti giardini abbassarsi dall'alto, e riunirsi con punti ardenti della superficie terrestre, e il tutto quaggiù immergere nell' ineffabile luce primitiva. I nemici che eran fuggiti dal campo di battaglia non vennero perseguitati, ma si separarono e si dispersero. »

5. Cotesti quadri simbolici della Chiesa passarono allora e si fusero in una gran visione della Gerusalemme celeste. Io immersi lo sguardo nelle vie della città di Dio, piene di luminosi palagi e giardini, ove aggiravansi infinite schiere di santi laudanti Iddio, ed esercitanti beneficaazione quaggiù' in pro della Chiesa. Nella Gerusalemme celeste non havvi chiesa alcuna: Cristo medesimo è la Chiesa. Maria regna in trono sopra la città di Dio, ed al disopra di lei Gesù Cristo e la santissima Trinità. Da questa cade come una rugiada di luce sopra Maria, che poi da lei si diffonde sopra la città intera. Al disotto della Città di Dio vidi la chiesa di S. Pietro, e giubilai nel vedere che essa, malgrado tutta la trascuranza degli uomini, riceve sempre in sè la vera luce dall' alto. Vidi le vie che conducono alla Gerusalemme celeste, e vidi i santi Pastori che conducono per quelle vie le anime le più perfette fra il loro gregge. Coteste vie non eran peraltro molto ingombre.

« Vidi pure la via per cui cammino verso la Città di Dio, e da essa come dal centro di un largo circolo vidi tutti coloro, cui in qualche modo ho giovato ed aiutato. Di colà vidi tutti i bambini ed i poveri pei quali ho preparato e compiuto oggetti di vestiario e di abbigliamento, e specialmente mi meravigliai e mi rallegrai dei modi varii e molteplici nei quali aveva fatto la sarta. Vidi poi anche molti quadri dei momenti della mia vita, nei quali aveva giovato ad alcun individuo, o col consiglio, o coll'esempio, o col soccorso, o coll'orazione, o coi patimenti; e vidi i vantaggi che ne avevano ritratto, rappresentati sotto la forma di giardini che ne erano in pro loro come nati e scaturiti. Essi avevano in diversi modi conservato cotesti giardinetti, e continuato a piantarli ed abbellirli, ovvero li avevano trascurati e lasciati perdere. E vidi ognuno di coloro, nei quali altre volte avea cagionato una qualche impressione, e vidi che fosse da ciò derivato. »

6. È veramente notabile come a prova caratteristica della infantile semplicità di quell'anima sì ricca di grazia ed eroica nei suoi patimenti, che fra le grandi visioni del suo viaggio alla Gerusalemme celeste rammentasse quelle azioni, che anche nella vita abituale suolevano cagionarle la gioia la più commuovente: cioè i suoi lavori manuali in pro dei poveri infermi e dei fanciulli. Essa era occupata di simili opere di carità giorno e notte, desta o in istato di visione, senza alcuno interrompimento; e forse la pura semplicità del suo cuore scevro di ogni pretensione e che nulla valutava sè stesso, mai si manifestava più amabilmente che nol fosse in quella dolce letizia di cui sentivasi colma, ogni qualvolta aveva pronto un piccol corredo di oggetti di vestiario colle sue stesse mani approntati e cuciti per poveri bambini. Il diario del Pellegrino contiene intorno a ciò molte note trascritte nella prima e fresca impressione, che qui si riportano abbreviate.

18 novembre. « La trovai racconciando certe vecchie e grossolane calze di lana, di cui voleva far dono. Credei che verrebbe a trascurare qualche altra cosa di maggior rilievo con cotesto non necessario lavoro. Ella nel più bel modo peraltro mi illuminò e mi dimostrò come quella lana si trasformasse in vera carità.

13 dicembre. Questa mattina era straordinaria mente serena. Lavorava diligentemente intorno ai berrettini ed alle così dette bindsen, e ad ogni genere di vesticciuole e cenciarelli, per fanciulli e povere donne in occasione del Natale. Era molto lieta del suo lavoro, sorridente ad un tempo e luminosa. Il di lei volto era limpido e puro, ed aveva un'espressione benevola, sagace, conscia di sè stessa, simile a quella di alcuno che vuol sorprendere altri con una gioia ancora nascosa. Disse che si sentiva sempre così allegra, quando preparava alcuna cosa pei bambini; ma nello stesso tempo provava alcunchè di curioso e di straordinario, essendo sempre collo spirito assente, e vedendo contro ogni volontà tante cose. Era costretta ad ogni momento a fare sforzo onde rientrare in sè stessa, e guardare all'intorno la sua stanzetta e quanto la circondava, onde convincersi che pur si trovava costì. Ben presto peraltro tutto apparivale di bel nuovo, e trovavasi trasportata in altri dintorni e circostanze.

14 dicembre. Iersera (così narrò) vidi una donna di qui che è prossima al parto, confidare ad un'altra donna di esser sì povera, e di non aver cosa alcuna, onde inviluppare il suo bambino quando verrebbe al mondo. Pensai entro me stessa: Ah se volesse pur venire da me ! Allora le rispose quell' altra donna: Voglio vedere se posso aver qualcosa. Ed oggi cotesta donna è venuta da me, mi ha esposto l'estremo bisogno in cui l'altra trovasi, ed ho avuto la gioia di provvederla di tutto.

15 dicembre. « Anch' oggi l'ho trovata molto lieta. Lavorava sempre da sarta pei fanciulli poveri. È piena di gioia per vecchi vestiti e cenci che riceve in dono per rappezzarli e rilavorarli. Aveva pure trovata un'altra meravigliosa moltiplicazione di danaro. Due giorni prima non sapeva come andare innanzi; non aveva più che soli quattro talleri. Ne lasciò la cura a Dio e si ritrovò avere dieci talleri in piccola moneta. Giudicò di averli ottenuti per tosto distribuirli, e si meravigliò del quanto avesse già pronto ed all'ordine. Cotesti stracci le son più cari che i più magnifici tesori. Durante cotesti lavori è sempre talmente immersa in visioni, che vede le forbici scorrere e tagliare come se sognasse, ed alcuna volta si crede di tagliare a dritto e a rovescio negli oggetti che nella visione la circondano.

18 dicembre. La trovai discorrendo colla di lei nepote, che le parlava di certi poveri bambini. Anche in mezzo ai suoi dolori mostravasi molto allegra e disse alla fanciulla:
Ho veduto questa notte un bambino, che aveva una nuova giubbetta, ma a cotesta giubbetta mancavano le maniche. -- Sì, sì, rispose la nepote, quella fanciullina è la Gertrude, cui hai dato la stoffa per farsi una giubbetta e ve ne manca per un'intera manica: me lo ha detto quest'oggi a scuola. ? La inferma fu da ciò commossa sino alle lagrime, e mi confessò dipoi che durante quella breve conversazione colla innocente fanciulletta, avea provato tal gioia, da quasi doverne sclamare e gridare ad alta voce, e che alcune volte avea dovuto mandarla via onde non se ne accorgesse.

20 dicembre. Ha dato fine per oggi, con fatica e ricco frutto di benedizioni, ai suoi lavori e disposto tutto nel miglior ordine.

Ho, disse ella, quasi interamente preparati i miei donativi pel cuor del verno; poi in seguito ricomincieremo di bel nuovo. Non ho punto ritegno nel mendicare pei poveri: la giovane Liduina (S. Liduina) ha fatto lo stesso. L'ho veduta nella sua stanza a pian terreno, che era ben due volte grande quanto la mia. Le pareti erano di povera argilla ed il tutto affatto misero. Quando si entrava dalla porta, il di lei giaciglio vedevasi a dritta, e sopra vi pendeva dal tetto una tela nera a guisa di cortinaggio. In faccia al letto stavano due piccole finestre quadrate con vetri tondi, per le quali aveva vista sopra una corte. Alla parete, fra le due finestruzze, sorgeva come un piccolo altare con una croce e qualche ornamento. La buona Liduina giaceva con gran pazienza in uno spazio affatto oscuro. Non aveva alcun piumaccio ma una nera e folta coltrice qua e là trapuntata, la ricopriva. Portava un mantelletto nero che le scendeva fin sopra le mani. Mi ritornò ultimamente in memoria, allorchè il Pellegrino me ne volea far fare uno consimile. Essa aveva apparenza di soffrir assai ed avea molte macchie di un rosso infuocato nel volto. Vidi pure la di lei nipotina starle dappresso. Era una bambina indescrivibilmente buona ed amabile, alta forse quanto la mia nipote. L'assisteva con tanta compassione. Liduina la inviò ad un uomo a domandare carne pei poveri. Portò anche una spalla di maiale e con essa piselli. Vidi come cucinasse tutto ciò in un angolo situato a sinistra della porta di quella stanza, ove trovavasi il focolare, e lo apprestasse in una larga pentola o caldaia. Dipoi vidi un altro quadro, e come quella vergine con potente aspirazione desiderasse il suo Sposo, e lo vidi anche a lei venire. Lo vidi, ed era precisamente simile al mio. Ma un uomo erasi nascosto fra la porta ed il di lei letto, e da ciò venne essa frastornata nel momento dell'approssimarsi dello Sposo, e ne rimase straordinariamente turbata e ne pianse. Dovei ridere, giacchè bene spesso mi succede la cosa medesima. Vidi anche le di lei labbra esser molto gonfie.21 dicembre.

« Quando durante la notte sentii gran freddo, pensai ai poveri che debbono intirizzire. Allora -vidi il mio Sposo che mi disse: Tu non hai la vera fiducia in me. Ti ho mai lasciata intirizzire ? Non ti ho forse dato tutto ciò di cui abbisogni ? Perchè non doni i letti superflui ai poveri ? Quando ne abbisognerai, te li darò di bel nuovo. - Allora mi vergognai e mi proposi, malgrado mia sorella, di regalare i letti superflui. Essa ciò fece effettivamente in quella sera e disse: Quando i parenti mi vorran visitare, potran dormire sui pagliaricci, ovvero rimanersene a casa.-21 dicembre. « Essa sclamò in visione: Ecco ch'io veggo costà tutti i fanciulli pei quali ho fatto qualcosa. Son tanto allegri, e son rivestiti di tutte le lor coserelle, e tutte quelle vesticciuole risplendono, ed anche il mio Sposo è presente ! Vien qui, caro giovane, siediti qui !Essa gli indicò un luogo. «Oh qual sete io provo del Salvatore ! É una sete possente ma dolce. Ogni altra sete è nauseabonda. Oh qual sete deve aver provato Maria del suo bambino ! Essa lo ha avuto soltanto per nove mesi sotto il suo cuore, ed io posso riceverlo sì spesso nel Santissimo Sacramento ! Un tal nutrimento che davvero sazia è pur sulla terra ! e non dimeno molti muoiono di fame e di sete ! e quel paese ove cotesta gran salvezza è discesa dal cielo per gli uomini, è così deserto e sossopra come lo è ora il mondo intero ! Ma i santi non lascian andar nulla in piena perdita: ove una volta era una chiesa, vi è sempre anche adesso ! Oh quante mai chiese veggo io e qui in Betlemme, e nel mondo intero, sospese su nell'etere al disopra di quei luoghi, ove altre volte quelle chiese sorgevano: ed in quelle aeree chiese vengon celebrate le grandi solennità ! Costà è ancora la chiesa ove fu celebrata in sì bel modo l'immacolata Concezione di Maria. In ciò poi consiste l'immacolato Concepimento, che essa non aveva in sè niun peccato, niuna passione, e che il di lei santo corpo mai pati alcuna infermità. Del resto ella non ebbe niuna grazia senza sua cooperazione, fuor quella di aver concepito Nostro Signore Gesù Cristo. »

7. Ebbe dipoi la visione del come durante tutta l'intera vita, fosse stata accompagnata dal celeste giovinetto sino a questo giorno. Quel che ora io veggo per immagine (disse ella raccontando cotesta visione) mi è precisamente e in realtà accaduto a suo tempo. Quand' io era ancora bambina quel giovinetto lavorava con me (1).

(1) Le particolarità di cotesta visione si trovano nel primo volume.

« Quand' io fui in età di dieci anni quel giovinetto mi disse: Non vogliam noi una volta vedere cosa n'è di quel presepietto, che da anni ed anni abbiamo fabbricato ?Che ne sarà mai succeduto ? dissi io; ma il giovinetto soggiunse ch'io doveva soltanto seguitarlo, e che l'avremmo tosto trovato. E quando l'ebbimo trovato, vedemmo quei fiori (2) coi quali l'avevamo ornato, essere divenuti serti e corone.

(2) Immagine simbolica dei patimenti.

Alcune però non erano che a mezzo formate, ed il giovinetto disse: Vi mancano ancora delle perle ! Una piccola corona di perle era affatto compita, ed io me la misi al dito. Provai però inquietudine ed ansietà, perchè non la poteva più ritogliere dal dito. Pregai quel giovanetto a volermela levare, giacchè temeva con quella corona al dito di non poter più lavorare. Lo fece, e ricoprimmo il tutto come lo era per l'innanzi. Credo che questo fosse un quadro simbolico; non mi ricordo certo di aver mai veduto questa immagine compirsi come effettivo avvenimento. In seguito mi ammalai, essendo già adulta, e desiderai ardentemente entrare in convento; e siccome non aveva alcun danaro e ne era molto turbata, mi disse il giovinetto che ciò non importava, che suo padre aveva più che assai, e che anche Gesù Bambino non aveva avuto nulla, e che ben presto entrerei in convento. E vi entrai, ed ebber luogo le nozze. Quando in seguito da monaca infermai, ed era molto turbata perchè mancava di tutto, e diceva sempre: « Sì, sì, ora ci siamo ! Tu hai detto che avresti cura di tutto, che avrei sempre avuto abbastanza, ed ora te ne sei tratto fuora; tu non vieni ed io non ho nulla ! allora quel giovanetto venne a me di notte e mi portò da naro, e perle, e fiori, ed ogni sorta di cose preziose, talmentechè io era sempre in grande ansietà circa quel che farei di tante ricchezze. Più volte invero ho ricevuto altrettanto in varie visioni. Ma non saprei dire che ne sia stato. Credo che coteste elargizioni eran simboli dei donativi che effettivamente ricevei, e che meravigliosamente si moltiplicarono, siccome il danaro ed il caffè regalatimi nel giorno festivo di S. Caterina. Continuai ad essere a lungo inferma, e poi stetti bene per un paio di giorni. Ebbi in cotesto stato varie visioni di Gesù bambino e di molte guarigioni. Dipoi mi trovai in altro stato, fuor di convento, molto ammalata e spesso in grande angoscia e bisogno, e sempre quel giovinetto a me veniva, e mi consigliava ed aiutava. Finalmente vidi come in un quadro il futuro. Quel giovinetto mi condusse di nuovo presso le corone ed i fiori del fanciullesco presepio, in una specie di sagrestia. Costà li vidi conservati in un armadio siccome corone ed ornamenti d'oro, e quel giovane mi ripetè: Conviene aggiungervi delle perle che mancano, e quindi il tutto verrà usato in chiesa. - Riseppi che allora morrei (cioè a dire tostochè quelle perle sarebbero state interamente approntate).

8. Col sopravvenire dell' Avvento ella ebbe, siccome suoleva sin dai giorni della prima sua infanzia, le annuali e sempre simili visioni del viaggio di Maria e di S. Giuseppe da Nazareth a Betlemme.

27 novembre. « Giunsi in Betlemme, di là me ne andai per un buon tratto di cammino incontro alla Madre di Dio ed a Giuseppe. Sapeva che dovrebber giungere in un albergo di pastori, ed allegramente mossi alla lor volta, aspettando i santi viaggiatori. Li vidi di bel nuovo procedere così sereni, e tranquilli, ed amabili, col loro asinello, come sempre li ho veduti, e mi rallegrai di veder tutto ciò di bel nuovo, siccome sempre sin dalla prima mia gioventù.

Quando ebbi percorso un buon tratto di strada, trovai quella casa pastorale. Passai oltre, e vidi a gran distanza Giuseppe e Maria splendenti di luce, avanzarsi nel sen della notte col loro somiere. Sembrava come se un disco luminoso, nel cui seno si moveva la santa famiglia, percorresse con loro le tenebre della notte, e dove giungevano, la via si illuminava sotto i loro passi, come pei raggi di una lanterna. Anna e Gioacchino avevano preparato in abbondanza e con cura per la Santissima Vergine tutto il necessario pel suo prossimo parto. Essi speravano che prima del medesimo sarebbe già presso di loro ritornata. Maria peraltro presentiva che non partorirebbe presso i suoi genitori, e con meravigliosa interna umiltà prese soltanto seco due oggetti, fra quelli che erano stati preparati. Provava un ineffabile intimo sentimento di poter soltanto e dover esser povera. Non potea aver nulla di esterno, perchè tutto avea entro di sè. Sapeva, o sentiva, ovvero ondeggiava inconsapevole nella scienza, che noi per mezzo di una donna venuti nel mondo in peccato, così pure per opera di una donna dovevamo rinascere al perdono, ed è con cotesto senso che ella aveva pronunziato le parole: Io sono una ancella del Signore ! E così ella seguiva sempre quella interna voce, che in simili casi di direzione della grazia, irresistibilmente chiama e sospinge. Cotesta voce ha chiamato me pure, e sospinta per lunghe vie, e mai invano.

13 dicembre. Nella trascorsa notte io mi trovava in vicinanza di Betlemme in un albergo di pastori basso e quadrangolare. Vi era là dentro una vecchia coppia. Avevano separato la stanza che abitavano con una parete d'argilla nerastra, posta a sghembo sulla sinistra. Eravi un focolare, e al di sopra di quello pendevano verghe pastorizie, ed eranvi alcuni piatti sospesi al muro. Il pastore uscì di quella stanza e me ne indicò un' altra che era situata in faccia. Costà sedevano Maria e Giuseppe sul suolo, appoggiati al muro, con le gambe incrociate, e stavano silenziosi. Maria teneva pure le mani incrociate sul petto. Portava un vestimento biancastro ed un velo. Rimasi alcun tempo presso di lei a venerarla, e quindi la lasciai. Dietro la casa eravi un boschetto.

14 dicembre. « Io mi partii da Flamske come se fossi ancor bambina, e me ne andai in Terra santa. Corsi incontro a Maria. Era sì frettolosa e sì ansiosa della venuta di Gesù bambino, che me ne corsi coi capelli disciolti attraverso Gerusalemme e Betlemme. Voleva cercar per loro il miglior albergo possibile per quella notte. Dalla casa precedente a questa nuova che trovai, non correva gran distanza; eranvi peraltro frammezzo molte altre case. Entrai in un grosso albergo di pastori, al cui lato anteriore sorgeva la stalla delle pecore. Il pastore la moglie eran pure giovani. Vidi anche qui giungere la Sacra Famiglia: era già notte avanzata. Il pastore rimproverò amichevolmente S. Giuseppe perchè così tardi con Maria viaggiasse. Maria sedeva di traverso sul somiere: eravi però disposto un seggio, ed al di sotto eravi pure alcunchè per potervi posare i piedi. Dalle forme esterne di Maria appariva che la nascita del bambino Gesù doveva essere molto prossima. Lasciaron l'animale alla porta, ed il pastore lo condusse, io credo, nella stalla delle pecore. Furon molto amichevolmente ricevuti, e venner condotti in separate stanze, ove comodamente si adagiarono. Non li ho veduti mai mangiar molto; avevano seco loro piccoli pani e sottili. Parlai poi con la Madre di Dio affatto alla buona e semplicemente, e siccome aveva meco il mio lavoro le dissi: So bene che tu non abbisogni di nulla da me; vorrei peraltro far qualcosa pei poveri bambini; sii dunque buona verso di me, e mostrami coloro che più ne abbisognano. Essa mi disse di seguitar pure a lavorare tranquillamente, e che mi indicherebbe coloro che più ne abbisognavano. Allora m ' assisi in un oscuro angolo formato da uno scrigno, dove niuno mi vide: e lavorai a tutta possa, e riuscii a preparar finite molte cose. Vidi la Sacra Famiglia prepararsi alla partenza.

16 dicembre. « Andai alla volta di Betlemme e percorsi la via con fatica al certo, ma pure prestissimo. Quindi di là me ne andai verso la casa dei pastori, ove sapeva che Maria arriverebbe a notte. La vidi a distanza seduta sul somiere, avanzarsi in compagnia di Giuseppe e circondata di luce. Questo si era uno dei migliori alberghi pastorizii, e potevasi già di costà veder Betlemme. Internamente era disposto come tutti gli altri. Da un lato il focolare con ogni sorta di vasi e di utensili da pastori. Dall'altro lato altre stanze, ove io pensava che Maria e Giuseppe verrebbero alloggiati. Eravi pure un pomario presso la casa, e dietro la medesima si ergeva la stalla delle pecore, che qui non era murata, ma posava su quattro pali. Gli abitanti di cotesta casa erano un giovane e sua moglie, ed erano persone affatto cortesi. Sul bel principio quando arrivai, mi domandarono che volessi. Dissi che volevo aspettare Giuseppe e Maria, che oggi stesso costi dovevano arrivare. Mi dissero che ciò era già avvenuto e che ora non succederebbe più, è si mostrarono alquanto ritrosi. Io peraltro ripresi che ciò succedeva di bel nuovo ogni anno, poichè sempre veniva festeggiato. cotesto avvenimento Essi si mostrarono di bel nuovo affatto amiche voli e di buona voglia, ed allorchè mi assisi in un angolo con tutti i miei arnesi da cucire, e che essi dovettero passarmi davanti, mi vollero dare un lume per lavorare. Dissi per altro che non abbisognava di lucerna, e mi misi a la vorare ed a tagliare nelle tenebre, giacchè ci vedeva benissimo. La cagione per cui quelle persone mi avevano detto che ciò tutto era avvenuto per l'innanzi e che ora non succederebbe più oltre, derivava da questo che io, entrando in quella casa, fra di me pensava; come mai ciò succede ? Queste persone gran tempo fa eran qui, e sono qui anche adesso; eppure allora non è adesso ! Ma poi dissi a me stessa: Ebbene, che vuoi tu stare così a lungo sottilizzando ? prendi quel ti si appresenta e quel che hai. Allora divenni tranquilla e sicura, ma il mio dubbio mi era stato appunto per ciò riaffacciato da quelle due persone. Era come uno specchio, in cui si rifletteva la massima.

Ciò che gli uomini vuoi che ti facciano, fallo anche tu verso di loro ! Quando Giuseppe e Maria arrivarono, quella coppia li ricevè amichevolmente. Maria scese dal somiere, e Giuseppe portò dentro il suo piccolo bagaglio. Entrarono nella stanzuccia situata a dritta, e Giuseppe si assise sul suo fagotto, ma Maria si assise per terra appoggiandosi al muro. Quelle persone furono anche le prime che ponessero innanzi a loro qualche cosa. Situarono loro dinanzi un piccolo sgabello, sul quale posavano piccoli piatti ovali, alquanto allungati. Sopra l'uno posavano alcuni piccoli pani rotondi, sull'altro piccoli frutti. Essi per altro non ne gustarono. Vidi che Giuseppe ne prese e ne portò fuori una parte. Credo che fuor di casa fosse un povero. L'asino venne legato innanzi alla porta. Quantunque non ne mangiassero, accolsero per altro quei doni con commovimento ed umiltà. Cotesta umiltà nel ricevere l'ho dovuta sempre ammirare in loro. In seguito mi accostai a loro, e mi sentiva timida, e li venerai, e dissi alla santissima Vergine che allorchè avrebbe il di lei figlio, dovrebbe pregarlo a lasciarmi fare e desiderare soltanto ciò che sarebbe la sua santissima volontà. Le parlai pure del mio lavoro, pregandola a dirmi come dovessi eseguirlo e dividerlo. Allora mi disse di fare e lavorare, e che tutto poi andrebbe per bene. Quindi mi rimisi timidamente nel mio angolo e proseguii a lavorare con diligenza. Non aspettai la partenza della sacra famiglia.

« La mia Guida celeste mi condusse a piccola distanza da Betlemme e dal lato che guarda il meriggio. Colà regnava il deserto, ed eravamo nel tempo presente. Vidi per altro innanzi ai miei occhi un giardino circondato da alberi piramidali a foglie fine e sottili. Erano dentro in quel giardino graziose aiuole tutte verdi e fiorite di fiorellini. Costà in mezzo, vidi sopra una colonna cui si arrampicava una densa vite, una piccola chiesà ottangolare, guarnita dai tralci della vite. Esternamente non vedevansi che pampini, ma all'ingiù verso l'interno della chiesa, pendevano da tutti i lati grappoli talmente grossi, che non poteva comprendersi come col loro peso non infrangessero i tralci. Quella vite era sicuramente grossa come un braccio sottile; su tutti gli otto lati di cotesta piccola chiesa, che non aveva porte, e le cui pareti erano trasparenti e penetrabili, diramavansi vie che ascendevano verso l'alto. Entro la chiesa posava un altare, sul quale apparivano tre quadri di questo santo tempo. Il primo rappresentava il viaggio di Maria e di Giuseppe verso Betlemme; il secondo Gesù bambino nel presepio; e finalmente il terzo la fuga in Egitto. Coteste immagini mi apparivano come viventi ed animate sull'altare. Dagli otto lati della chiesa vedevansi librati nell'aria dodici antenati di Maria e di Giuseppe, che onoravano quelle immagini. La mia guida mi disse che costì era stata negli antichi tempi una chiesa, in cui i parenti ed i discendenti della sacra Famiglia avevan sempre festeggiato la memoria di questi santi misteri. Siccome poi la chiesa era stata distrutta, così quella festività continuava ad essere celebrata spiritualmente da quelle anime beate, e lo sarebbe sino alla consumazione dei secoli. Io venni allora trasportata di bel nuovo e rapidamente qui a casa.

« Il mio stato in questi giorni è veramente curioso. Non son mai come se fossi in terra; veggo sempre intorno a me molti uomini e molti quadri ed immagini, da vicino e da lontano. Veggo uomini aver fame spirituale e morire. Veggo molta miseria estendersi e dilatarsi. Veggo talora qui vicine le genti: talora le veggo sulle isole, sotto capanne, o nei boschi. Le veggo costà imparare e qui dimenticare. Ma veggo dappertutto miseria e tenebrore. Dipoi veggo di nuovo aprirsi il cielo, e tutto quaggiù essere sì povero ed ignorante. Si occupano gli uomini e si affaticano per ogni immondezza, per ogni fango; si pervertono. Dipoi io sospingo la gente innanzi, e intanto io stessa rimango indietro, e nel frattempo tutto mi riesce davvero appieno torbido ed oscuro; quindi io risento una continua e profonda nausea del vivere, e tutto ciò che appartiene alla terra mi si rappresenta come abbominevole, e mi sento tormentata da una possente fame; ma cotesta fame non è disgustosa, è anzi dolce; la fame corporea è sì nauseabonda ! »

23 dicembre. Era il momento del crepuscolo, quando scontrai Giuseppe e Maria dinanzi a Betlemme. Poco lungi dall'ingresso della città, discostandosi alquanto dalla strada, si fermarono ai piedi di un albero. Maria discese dal giumento, e Giuseppe penetrò solo in città a ricercare albergo nelle case più vicine. Quella cittaduzza non aveva propriamente porta da questo lato; ma la via passava frammezzo a due frammenti di muro, come se fossero resti di una porta distrutta. Giuseppe cercò invano un alloggio, giacchè erano accorsi in Betlemme moltissimi stranieri. Io rimasi intanto presso la Madre di Dio. Quando Giuseppe fu di ritorno, disse alla santissima Vergine che egli costi in vicinanza non aveva trovato alcun alloggio, ed essa allora si avviò a piedi con lui, che conduceva il giumento, verso l'interno di Betlemme. Entrati nella città, Giuseppe andò con Maria a farsi inscrivere; l'individuo preposto alle inscrizioni gli aveva detto di condurre anche la moglie, ma ciò non era necessario. Giuseppe si vergognava dinanzi a Maria, temendo che potesse credere che egli avesse cattiva fama. Disse per altro che vedendo in cotesta parte della città tanta gente, conveniva avviarsi dall'altro lato, e che costà troverebbero al certo luogo ove alloggiarsi. Mossero molto timidamente per quelle strade, che meglio per altro somigliavano a poveri sentieri campestri che ad una vera strada, giacchè le case, non già lungo la via, ma eran situate in alto sopra i colletti. Dall'altro lato della città, ove le case sorgevano solinghe e disperse, in un luogo alquanto profondo, ergevasi solitario un albero largo, bello, ed ombroso. Liscio erane il tronco, ed i rami si dilatavano circolarmente siccome un tetto. Sotto quell'albero Giuseppe condusse la santissima Vergine, e legò da presso il somiere, e poi la lasciò di bel nuovo per andare in cerca d'albergo. Ella stette da principio col dorso appoggiato a quell'albero; il di lei vestimento era ricco di pieghe e senza cintura; la di lei testa velata da candido velo. Il giumento stava col capo rivolto verso l'albero. Molti individui andavano ad ora ad ora passando e la guardavano, e non sapevano che il Salvatore era tanto a loro vicino. Ella appariva sì paziente, tranquilla, piena di aspettazione, e sì umile ! Ah ! dovè aspettare per lungo tempo, e si assise a sè ritraendo i piedi, colle mani incrociate sotto il seno, e col capo inchinato. Giuseppe ritornò turbato; non aveva trovato alcun albergo e se ne andò via una seconda volta; ed essa aspettò di bel nuovo con somma pazienza, ed ei nuovamente ritornò sconsolato. Allora disse che un po' più lungi di là conosceva un luogo situato fuori della città, ove i pastori talvolta alloggiavano; e che là sicuramente troverebbero asilo e tetto. Quando anche sopravvenissero i pastori, gli sarebbe facile l'intendersela con loro. Allora si mossero ed andarono alquanto più lungi per un sentiero che volgeva a sinistra, per dove in quel momento non passava alcuno. La via montava di bel nuovo alquanto, e costà dinanzi ad un piccolo poggio sorgevano diversi alberi, terebinti o cedri, ed arboscelli da piccole foglie somiglianti al bossolo. In cotesto monticello vedevasi scavata una caverna o cantina, chiusa da un uscio fatto di vimini o rami intrecciati. Giuseppe vi penetrò, e la spazzò e ripulì da ogni ingombro. Intanto Maria ed il giumento aspettavano innanzi all'uscio. Dipoi la condusse là dentro. Egli era molto turbato. Quella spelonca non era più alta di circa dieci piedi, seppure non era più bassa. Nel punto ove sorgeva un presepio, il suolo era alquanto più rialzato. Maria si assise sopra una coltrice, avente presso di sè il suo fardello, sul quale si appoggiava. Potevan essere circa le ore nove quando vennero in quella spelonca. Giuseppe uscì di nuovo e riportò un fastel letto di rami sottili e secchi, che era già rilegato con larghi giunchi; portò pure in un vaso che aveva un manico carboni ardenti; rovesciò questi sul suolo all'ingresso della caverna ed accese fuoco. Cotesti strumenti per accendere il fuoco, come pure ogni sorta di piccoli utensili, li avevan con loro. Non vidi che cucinassero o mangiassero cosa alcuna. Giuseppe per altro uscì un'altra volta, e quindi rientrò e pianse. Doveva esser quasi mezzanotte. Vidi costà per la prima volta la santissima Vergine genuflessa a pregare. Quindi si coricò sul tappeto, appoggiando il braccio al suo fardelletto e riposando sul braccio la testa. Giuseppe poi per umiltà si coricò all'ingresso della caverna. Cotesta grotta avea nella parte superiore della sua vôlta forse tre rotonde aperture, per dar aria all'interno, ricoperte da una grata. Uscendo dalla porta della grotta e volgendo a sinistra, venivasi ad altro luogo di simil natura incavato in quel monticello o scoglio, ove i pastori solevan pure alloggiarsi; e qua e là sorgevano piccole casette sui monticelli, ed anche capanne sostenute da quattro, o sei, o otto pali, coperte da tettoie di vimini intrecciati.

« Dipoi mi trovai immersa nella vista di un altro quadro affatto diverso. Vidi Betlemme nel suo stato attuale. Non era da riconoscersi, talmente è povera e distrutta ! Il presepio è divenuto una cappella sotterranea. Vi si celebra ancora la santa Messa ed è stato ampliato ed arricchito di ogni sorta di bianchi marmi e di figure. Per disopra vi posa esternamente una chiesa, come pure un antico e distrutto convento. Il servizio divino celebravasi soltanto nel presepio; ma vidi sospesa in aria e librata una bella chiesa spirituale. Era ottagona e vi sorgeva solo un altare. La riempivano nell'alto cori di santi. Sull'altare scorgevasi una rappresentanza del presepio, presso il quale vedevansi genuflessi pastori, e per l'etere venivano gregge di agnelli somiglianti a bianche nuvolette, a mescolarsi in cotesto quadro. Il servigio divino veniva celebrato da un vecchio di amabile aspetto con bianchi capelli e lunga barba, rivestito di antichi ed ampli ecclesiastici vestimenti. Aveva un cappuccio che gli ricopriva la fronte e si accostava ad ambedue le gote. Era S. Girolamo. Durante quella solennità vidi incensar molto più di quello che si usa fra noi. Vi fu anche la comunione, e vidi che, come già avvenne agli Apostoli, anche ora una sostanza somigliante ad un corpicciuolo luminoso penetrava in bocca ai comunicanti. Eranvi sei sacerdoti che compivano le sacre cerimonie. Alla fine si disposero innanzi all'altare a guisa di coro, l'uno in faccia all'altro, e cantarono. Ed allora il quadro cangiossi. Il solo Girolamo era costà rimasto, e lo spazio medio della chiesa si riempì di monache, di diversi ordini. Stavan distribuite a foggia di coro in tre file, e cantavano. Vidi pure là dentro delle Annunziate e la beata Giovanna, che mi disse aver sempre veduto dalla sua gioventù cotesti misteri e la grande salute che da essi derivava per gli uomini, ed aver perciò fondato il di lei ordine, ed essere ivi adesso con tutte le monache le quali han fatto altrettanto in cotesto luogo, onde continuar la solenne celebrazione di quella festa, che è andata in decadenza presso gli uomini. Mi disse ch'io doveva ben notare ciò che fosse derivato dal di lei amore, e che doveva insegnarlo ai miei figli spirituali. Mi disse pure molte cose consimili, che mi proposi di lasciar come in retaggio alle mie consorelle di convento. Che Iddio si degni concederlo di bel nuovo ! Vidi pure Francesca ed altre monache a me cognite esser presenti alla festa. »

9. Ai 24 dicembre di sera potè il Pellegrino unitamente al confessore passare un paio d'ore presso Anna Caterina, che per tutto quel tempo rimase in istato di estasi ( 1).

« Ella provava (così egli racconta) possenti dolori in tutte le sue ferite ed in tutti i membri, e li sopportava allegramente lottando. Talvolta era pur costretta a gridare ad alta voce. Le di lei mani ed i piedi tremolando si contorcevano pel dolore. Aveva distribuito tutti i suoi doni, finito tutti i suoi lavori, e sgombrava il suo letto, e poneva in ordine ogni minimo cencio ed ogni filo che era rimasto, e quindi ricadde stanca sul letto per recarsi a portare il suo proprio dono del Natale al presepio, cioè infiniti dolori che ella sempre vede simboleggiati da fiori. Incominciò così: - Dorotea vien meco al presepio. È venuta da me, Mi ha detto essere stata spesso schernita per avere sempre ornato l'altare con molti fiori, ma aver sempre risposto: I fiori appassiscono, ed i loro colori e profumi li riprende Iddio che loro li ha dati; così pure Ei lascia appassire tutti i peccati e riprende il bene a lui offerto, perchè è suo ed è da Lui venuto.

(1) Il Pellegrino ne fu talmente preso e commosso, che incomincia la descrizione di quel che aveva udito e veduto con queste parole: Mentre trascrivo queste cose, provo un profondo turbamento pensando alla miseria in cui viviamo. L'effetto e le conseguenze delle dense tenebre del mio spirito, m' impediscono di comprendere con tranquilla serenità e quindi di esprimere con parole adeguate quella vista serena e profonda dei più santi misteri di cui gode un ente semplice d' infantile semplicità, e sì meravigliosamente da Dio colmato di grazie. Non ho potuto salvare che brani ed ombre di quadri che rappresentano l'eterna presenza e la certezza di tutti i misteri delle nostre relazioni con Dio, pur troppo perdute; e coteste ombre debbo io raccoglierle quasi a volo e per sorpresa. Quel che perciò risento non posso esprimerlo. Coloro che debbono riconoscerle e pur nondimeno le disturbano e non le cercano, nè le apprezzano, piangeranno meco quando lo specchio in cui coteste grazie si riflettono verrà ottenebrato dalla morte. Gesù bambino Salvatore, dammi pazienza ! ›




Essa pure ha sempre, così in spirito, ardentemente desiderato di trovarsi al presepio del Signore, e sempre ha ivi offerto quanto in sè aveva. Anche il Pellegrino deve portare a Gesù bambino tutti i suoi patimenti, le sue debolezze, e tutte le sue mancanze, e non riportarne seco indietro alcuna. Deve tutto riprincipiare da capo, ed implorar da Gesù bambino in dono un ardente amore, onde ritrovare maggiori consolazioni presso Iddio. Veggo pure S. Gerolamo. Egli ha costà vissuto lungamente, e supplicando da Dio ottenuto un tal fuoco d'amore, che sembrava doverlo consumare.

« Oh, chi può dire la bellezza, la purità, la innocente profondità dei sensi di Maria ! Ella sa tutto, e nondimeno apparisce come se fosse la sola a non conoscere il valor di sè stessa, tanto è profonda la sua infantile semplicità ! Abbassa gli occhi, ed ogni qualvolta ella guarda, il di lei sguardo penetra come uno strale, come la verità, come una immacolata luce ! Ciò accade peraltro perchè è tutta innocente e piena di Dio, e senza volontà o disegni. Niuno può resistere a simili sguardi.

Veggo il presepio, ed i Santi festeggiarvi per sopra: quei Santi che hanno adorato Gesù bambino al suo nascere, e quei Beati che hanno in seguito onorato il luogo ove nacque, ed anche tutti coloro che costà furono soltanto col desiderio del cuore e colla fervente loro pietà. Essi son tutti riuniti in una meravigliosa chiesa spirituale in questa sera che precede la nascita del Salvatore, e rappresentano la Chiesa militante, e tutti coloro che ardentemente desiderano che questo santo luogo venga onorato in questo santo tempo. Così fa la Chiesa trionfante in pro della militante; così deve fare la militante per la purgante. Oh come ciò appare indescrivibilmente bello ! Quale santa sicurezza ! Io veggo all'intorno simili chiese spirituali e vicine e lontane. Niuna prepotenza può distruggere gli altari del Signore. Ove egli non trovasi più visibilmente, costà l'altare è mantenuto e sorretto da invisibili beati spiriti. Non havvi nulla di transitorio in ciò che avviene nella Chiesa per amor di Gesù; laddove gli uomini non meritano più di celebrare le dolci solennità, le celebrano in vece loro i Beati; e tutti quei cuori che aspirano a celebrare costà il servigio divino, vi sono effettivamente, e trovano una chiesa santa ed una festa celeste, quando anche il loro peso e misero corpo non ne abbia alcun presentimento; essi ricevono il premio della loro pietà.

« In cielo poi io veggo Maria sopra un magnifico trono, e come dinanzi a lei apparisca il di lei Figlio Divino come bambino allor nato, come giovanetto, e come Salvator crocifisso; e la veggo offrirgli tutti i cuori che lo amano, e che in qualsiasi epoca han preso parte a cotesta festività...»

10. Allora la inferma apparve siccome risplendente di gioia, ed il di lei spirito, la di lei parola, e il di lei volto dimostrarono una ineffabile serenità e vivacità, ed essa pervenne ad una tal profondità e fluidità di discorso nell'esprimere i più alti e più profondi sensi, che il Pellegrino poteva soltanto sentire e non esprimere ciò che profondamente lo commoveva. Egli può soltanto con meschine ombre rappresentare ciò che essa emetteva parlando e faceva emergere dalle tenebre della vita, non più dipinto con colori, ma piuttosto con fiamme. « Vedi (sclamò essa) come risplenda e sorrida l ' intera natura nella innocenza e nella gioia ! Sembra come se un cadavere involto nel lenzuolo di morte si sollevasse dalla corruzione, dalla polvere, e dalla notte del sepolcro, e coll'apparire desse testimonianza di essere di nuovo vivente, vestito di corpo, giovane, florido, sorridente, divenuto immortale, innocente e puro, e di esser veramente stato l' immacolata immagine di Dio ! Tutto rivive ed è come inebbriato d'innocenza e di riconoscenza ! Oh i bei colli, sui quali gli alberi esultano e si muovono, come se si affrettassero al presepio del Creatore che viene a visitar le sue creature ! come si affrettano a deporre ai suoi piedi i loro profumi, i fiori ed i frutti che si ebber da lui ! I fiori schiudono ovunque i loro calici ed apportano le loro belle forme, i colori, e l'olezzo al Signore, che presto verrà ad aggirarsi fra loro. Le sorgenti mormorano con dolce mormorìo di desiderio, ed i fonti scorrono e zampillano con gioiosa impazienza, come fanciulli danzanti che aspettano i doni di Gesù bambino. Gli augelletti cantano. con allegra dolcezza. Gli agnelletti belano e saltellano. Tutti gli animali son lieti e pacifici. Il sangue in ogni creatura scorre più puro e vivace. Tutti i cuori pii, e puri che sospiravano oppressi da un santo desiderio di espettazione, palpitano senza saperlo, ma dolcemente, per la sopravveniente Redenzione. Tutto è commosso. Nell'animo dei peccatori scende la tristezza, la commozione, il pentimento, la speranza; ed i perversi induriti, i nemici, i futuri crocifissori sono immersi nell'angoscia e nell' inquietudine, ed in una tal confusione che non comprendono, poichè anch'essi provano un incomprensibil movimento per l'approssimarsi di quel tempo, la di cui pienezza si avvicina. Ma cotesta pienezza con tutta la sua beatitudine, è accolta nell' umile, puro, misericordioso Cuor di Maria, che prega al disopra del Salvator del mondo, il quale si è fatto uomo sotto di lei, e che fra poche ore, siccome il lume eterno che si è incarnato, verrà in questa vita e nel suo dominio, dove i suoi non l' hanno conosciuto.

« Ciò che l' intera natura dice in questo punto mentre ella parla dinanzi ai miei occhi e sclama che il suo Creatore viene ad abitarla, ciò sta scritto lassù, su quel monte, in quei volumi nei quali la verità è salvata e conservata sino alla pienezza dei tempi. Come nella stirpe di David la promessa fu salvata e conservata sinchè si compisse con la pienezza dei tempi in Maria, e come cotesta stirpe venne curata, difesa, purificata, sinchè nella Santissima Vergine venisse a produrre la luce del mondo, così lassù quel Santo custodisce e purifica tutti i tesori della creazione e della promessa, e tutti i significati e l'essenza di ogni parola e di ogni creatura, sino alla pienezza dei tempi. Egli purifica ed estirpa tutto ciò che è falso e malvagio, ed allora tutto scorre limpido e puro come nella sua derivanza da Dio, come adesso scorre in seno di tutta la natura. E come mai cercano i curiosi esaminatori e non trovano ? Qui, qui dovrebbero vedere come il bene generi sempre il bene, ed il male generi sempre il male, quando questo non viene estirpato dal pentimento e dal sangue di Gesù. Come i beati ed i pii viventi, e le povere anime del purgatorio in continua reciproca relazione ed azione si stanno, si aiutano e guariscono, e son guariti per mezzo di Gesù Cristo, così io veggo avvenire pure in tutta la natura. Quel ch'io veggo è ineffabile. Ogni anima semplice che segue Gesù Cristo riceve in dono cotesta potenza di vedere.

Questa è peraltro la grazia la più meravigliosa di questo tempo per tutta l'eternità: il demonio in questi santi giorni è vincolato, vacilla e si contorce strisciando, ed è perciò che io odio sì fortemente tutti gli animali che strisciano e serpeggiano. Anche il nauseabondo e detestabile demonio dell'eresia e della discordia va curvo e vacillante, nè osa in questi giorni far alcun male. Tale è l'eterna grazia di questo tempo ! »

Dopo queste parole dovette il Pellegrino lasciarla, ma due giorni dopo gli raccontò così: « Ho veduto S. Giuseppe uscir sulla sera con una cesta ed alcuni vaselli, come se volesse andare in cerca di alcuni alimenti per ristorarsi. La sua dolcezza ed umiltà sono ineffabili. Ho veduto Maria nel solito angolo, rapita appieno nella orazione, e genuflessa; teneva le mani alquanto sollevate in alto. Il fuoco ardeva ancora. Nella parete stava fissato un piccolo legno, da cui pendeva un lume o una lampada accesa. Vidi per altro tutto quello spazio pieno di luce e senza alcuna ombra, ed il lume che usciva da quella lampada mi parve più torbido di un qualsiasi lume, che noi vediamo ardere durante il giorno. In quella fiammella vi era alcunchè di più materiale e men puro. Maria era affatto sola. Pensai allora a tutto ciò che voleva portare ai piedi del presepio del Salvatore omai vicino. Per far ciò aveva da percorrere una lunga via. Traversai i più diversi e svariati luoghi che spesso ho veduti nelle mie visioni della vita del Signore. Vidi inquietudini fra gli uomini e confusione, ed un'ansietà inesplicabile. Vidi alcuni giudei nelle loro sinagoghe agitarsi con mente confusa e cessare dalle lor cerimonie. Fui pure laggiù, in un certo luogo ove offrivansi sacrifizii in un tempio d'idoli. Sorgeva colà un idolo con fauci orribilmente larghe. I sacrificanti gli empievano quelle fauci colle carni del sacrificio, ed esso scoppiò, e ne nacque spavento e confusione fra loro, e via si fuggirono dispersi. Venni pure in prossimità di Nazareth nella casa di Anna, ed appunto nel momento precedente alla nascita del Salvatore. Vidi Anna e Gioacchino dormenti in stanze separate. Al disopra di Anna apparve uno splendore, ed essa ricevè in sogno l'avviso che Maria avea partorito un figlio. Si destò ed in fretta corse a Gioacchino che le venne incontro, e che aveva avuto lo stesso presentimento. Pregarono e lodarono il Signore insieme, tenendo sollevate in alto le braccia. Anche in altri che alloggiavano in quella casa si destò meravigliosa commozione, ed uscirono fuori dalle loro stanze, e trovarono Gioacchino ed Anna esultanti per gioia, e riseppero la gran nascita, e con loro lodarono Iddio pel nato bambino. Tutti cotesti individui non sapevano già precisamente che colui che era nato era il figlio di Dio, ma sapevano che era un bambino apportatore di salute, un figlio della promessa, e ciò tutti sentivano nell'animo, nè potevano esprimerlo. Per dipiù furono anch'essi presi dal meraviglioso commuovimento della natura, e davvero quella notte loro apparve sacra e solenne. Inoltre vidi qua e là nelle vicinanze di Nazareth pie persone sorgere dal sonno destate da una dolce intima gioia, scienti od ignoranti, festeggiare del pari colla orazione l'ingresso del Verbo incarnato nella vita temporale e terrena.

« Per tutta la mia via in quella notte meravigliosamente agitata e per tutto il tempo del viaggio, ebbi un continuo scontro coi più svariati quadri e visioni di uomini destati in sen della notte, raccoglientisi insieme gioiosi ed oranti, ovvero inquieti ed agitati, e ciò in mezzo ai più diversi popoli. Il mio viaggio procedeva con grande rapidità verso Oriente, inclinando però vie più verso il meriggio che allorquando viaggiai alla volta della montagna di Elia. Una volta, in seno di una città molto vasta e rovinata, ove moltitudine di uomini abitava in magioni elevate in mezzo o all'intorno di enormi rovinate colonne e di magnifici edifizi, vidi tutti costoro immersi nella più meravigliosa agitazione ed in moto straordinario sovra una larga piazza che si estendeva fra le colonne. Uomini e donne vi accorrevano insieme, e molti vi venivano pure dalle campagne, e tutti guardavano verso il cielo, e molti guardavano coll'aiuto di tubi lunghi circa otto piedi, che all'estremità superiore erano alquanto assottigliati nel punto in cui si applicavano agli occhi onde guardar verso il cielo; ed altri indicavano colla mano alcunchè nell'alto, e tutti dicevano: qual meravigliosa notte ! Debbono avere osservato qualche straordinaria apparizione nel cielo; forse una cometa. Può darsi che quell'inquietudine che dappertutto osservai, da ciò nascesse. Non mi rammento per altro di avere io stessa guardato in alto.

Di là mi affrettai ad avviarmi verso quella contrada ove la gente attinge acqua dal sacro fiume e la fa attingere dal suo sacerdote. Ve ne era questa volta molto di più e sembrava che fosse un giorno di festa. Quando vi giunsi non era già notte, ma piuttosto pieno meriggio (1).
Con tutti quei popoli da me prima veduti non potei parlare. Con questi parlai, ed essi mi riceverono e parvero commossi per la mia venuta. Dissi loro che non dovevan più oltre così attingere le acque sacre, ma che dovean rivolgersi al Salvatore che era nato. Non so più ripetere come ciò loro dicessi, ma si mostraron commossi e meravigliati e divennero timidi al mio cospetto, specialmente quei molti che eran di animo pio ed in sè raccolto. Molte innocentissime e sensibilissime anime eranvi fra loro.

(1) Deve essere stato il tempo che corre colà realmente, allorchè fra noi è mezzanotte. Essa vede come in un quadro la nascita di Cristo in Betlemme al momento della mezzanotte, e come quadro vede in sen della notte tutti i contemporanei avvenimenti. Giunta però laggiù sulle sponde del fiume, esce dal quadro o immagine del tempo degli avvenimenti, e passa nel tempo che effettivamente correva allora sulle sponde del Gange, quando il suo spirito vi pervenne.

E vidi coteste buone anime andarsene nei loro templi, ove non vidi alcun idolo, ma pure alcuna cosa che somigliava ad un'ara di sacrifizio. Ed uomini e donne e fanciulli si genuflessero. È le madri si misero dinanzi i bambini, e nel modo il più commovente sollevaron loro le mani in alto in atto di preghiera.

« Allora venni di bel nuovo trasportata al presepio. Il Salvatore era nato. La Santissima Vergine sedeva nel solito luogo tutta a larghe pieghe velata, ed aveva in grembo Gesù bambino anch'egli interamente ed a larghe pieghe avviluppato e coperto. Non vedevansi le sue sembianze. Ella stavasi immobile e pareva rapita in estasi. Due pastori si stavano timidamente a rispettosa distanza, ed alcuni altri guardavano dal disopra attraverso le aperture ingraticciate. Io adorava in silenzio. Quando i pastori furono partiti, venne S. Giuseppe portando alcunchè sul braccio che somigliava ad una coltrice ed anche alcuni alimenti in una cesta. Quando ebbe deposto il tutto, avvicinossi a Maria, ed essa gli depose fra le braccia il bambino. Ei lo ritenne con infinita gioia e riverenza ed umiltà. E vidi come egli ignorasse che quel bambino fosse la seconda persona della Divinità, ma come però sentisse che quello era il figlio della promessa, che apporterebbe salute al mondo, e che era insomma un santo bambino.

« Frattanto genuflessa io pregava la Madre di Dio a voler condurre ai piedi del suo bambino tutti coloro che io conosceva per bisognosi di salvezza. E vidi in spirito tutti coloro ai quali pensava, ed il mio pensiero era opera e segno del di lei esaudimento. Pensai a quella Giuditta che sta sul monte dei giudei, ed a un tratto la vidi in casa sua in quella sala ove pendono le lampade, insieme a moltissima gente, e sembrava che fra quella vi fossero ancora stranieri. Ciò rassomigliava ad una devota e religiosa riunione. Sembrava che discutessero e riflettessero sopra alcunchè, e fra loro appariva grande eccitamento e gran moto. Vidi pure come se la Giuditta si rammentasse la mia apparizione, e con una certa timidezza desiderasse il mio ritorno. Sembrava che pensasse che il Messia era realmente già venuto, e che se riuscisse a pienamente accertarsi della verità di ciò che la mia apparizione le aveva annunziato, ella farebbe quanto si era proposto onde giovare al suo popolo.

11. « Era giorno. Maria sedeva al suo consueto posto coi piedi indietro ritratti, e Gesù bambino giaceva involto innanzi a lei colle manine libere ed il volto scoperto. Ella teneva in mano alcunchè di somigliante ad un pannolino che disponeva o preparava. Giuseppe stava all'ingresso in faccia al focolare, lavorando a fabbricar qualche cosa come un arnese adatto a sospendervi delle suppellettili. Pensaidentro di me: Caro vecchio, tu non piallerai più molto a lungo; presto te ne dovrai andare. Io mi stava presso il giumento. Allora sopravvennero da quelle vicinanze, per le quali Maria era passata nel venire, tre donne avanzate negli anni. Sembrava che alquanto si conoscessero, giacchè furono ricevute con confidenza. Maria non si alzò. Portarono doni piuttosto abbondanti; piccoli frutti ed anche grossi uccelli somiglianti alle anitre, con becco rosso e sottile fatto a guisa di lesina, e li portavano o sotto le braccia, o sospesi per le ale. Recarono pure dei pani piuttosto lunghi, di forma rotondi, ed alti un pollice; portarono pure dei pannilini ed altri simili oggetti. Il tutto fu ricevuto con straordinaria umiltà e riconoscenza. Coteste donne erano molto quiete, pie ed internamente raccolte. Guardarono commosse il bambino, ma non lo toccarono, e si dipartirono senza lunghi commiati ed accompagnamenti. Io in quel tempo osservai l'asinello attentamente. Aveva il dorso molto largo, ed in me stessa andava pensando: tu, cara bestiola, hai già portato molto ! Volli anche provare se realmente esistesse, e toccai i suoi peli. Li trovai molli come la seta, e quindi pensai a quell'erba che una volta aveva toccata e sentita. Allora sopravvennero da quel luogo vicino, onde eran già venuti i pastori e dov'erano i giardini cinti di siepi di balsamo, due matrone con tre fanciulline della età di circa otto anni. Parevano di più alta condizione e più estranee, e costì guidate da impulso più meraviglioso delle altre donne già per l'innanzi venute. "Giuseppe le ricevè con molta umiltà. Portavano doni di maggior prezzo intrinseco e di minor volume, cioè: certi granelli in una tazza, piccoli frutti, ed anche un ordinato gruppetto di piccole e dense lamine d'oro di forma triangolare, sulle quali era impresso una specie di bollo a guisa di sigillo. Pensai pure in me stessa: Cosa singolare e meravigliosa ! Pare che quei triangoli d'oro sieno fatti nella forma in cui si rappresenta l'occhio di Dio ! Ma no, come posso mai comparare l'occhio di Dio con questa vile e rossa terra ! Maria si alzò e diè loro in mano il bambino. Ciascuna di esse lo ritenne per piccolo spazio di tempo, pregando tacitamente con l'anima elevata, ed anche baciandolo. Le tre fanciullette apparivano silenziose e commosse. Giuseppe e Maria parlarono con loro, e quando si dipartirono egli le accompagnò per un corto tratto di strada. Tutte coteste persone venivano come occultamente, ed evitavano di eccitare la curiosa osservazione della città. Queste ultime sembravano esser venute da luogo lontano alcune miglia. Giuseppe, in occasione di simili visite, mostravasi sempre umile. Si ritraeva indietro e guardava da lontano verso quel lato.

« Mentre Giuseppe ebbe accompagnato quelle donne, io supplicai Maria e le esposi i miei bisogni con piena confidenza. Essa mi consolò e mi die' breve risposta, come tre parole sopra tre punti. Questo genere di discorso è difficile a narrarsi; somiglia ad un sentire interno dell'animo, ed è come se ella, per esempio, avesse voluto dire:testi patimenti ti fortificheranno nello spirito, tu non vi soccomberai, ti renderanno più serena e trionfante; - ed io non avessi ritenuto altro che il sentimento, la intima essenza, la cagione prima, l'elasticità interna colla quale può dirsi che una palma diventa più mobile, elastica, e forte nei suoi rami per la momentanea oppressione di un peso. Maria mi disse in cotesta guisa il senso intimo di molte parole, come se mi avesse detto: La lotta con tua sorella diverrà molto difficile. Avrai pure da sostenere un'altra severissima lotta, che ti sarà molto amara. Consolati; colla lotta ed i patimenti si moltiplicherà pure in te la forza soprannaturale. Più possentemente tu soffrirai, più chiara, più profonda, più importante diverrà in te la forza di visione. Pensa quale utilità dovrà da ciò derivare !(Quest'ultimo senso lo rilevai dalla intuizione delle intime cagioni di quel principio da cui deriva che l'oro battuto col martello cresce in purità e in lucidità, ed acquista il liscio dello specchio). Quindi mi ingiunse di raccontare tutto, nulla tacere, nemmeno ciò che mi sembrerebbe insignificante. Tutto avere il suo scopo ed il suo fine, e non dovermi lasciare ritenere dal credere di non sapere esattamente una cosa; doverla dire anche quando sembrasse inutile a rammentarla. Mi disse che dopo la mia morte le cose cambierebbero in quanto ai protestanti, e che molto vi contribuirebbero la persuasione ed il convincimento del mio stato e delle mie circostanze, e che perciò non doveva tacer cosa alcuna. »

12. Nella sera del santo Natale le furono annunziati in visione nuovi patimenti. « Son venute tre sante monachine (così raccontò essa), fra le quali Francesca Romana; e mi hanno arrecato una veste pura e bianca che in basso era smerlata, sopra poi dal lato sinistro era ornata di un cuore rosso contornato di rose. Allorchè toccai le rose mi punsero sino a sangue colle loro spine. In un istante mi vestiron quell'abito e dissero che dovrei portarlo sino all'anno nuovo, e che dopo mi avrei un vestito grigio con una pesante croce di ferro. Ove io al giunger dell'anno nuovo rendessi quell'abito puro senza macchie come lo era in quel momento, forse la mia croce del vestimento grigio ne verrebbe alquanto diminuita di peso. Credei però che ciò significasse la mia morte e domandai:
Ora potrò alfine morire, non è vero? ???? Ma mi risposero: No, patirai ancora molto.
Allora mi lasciarono, ma la mia guida mi annunziò con severe e precise parole, che profondamente mi penetrarono come spade nell'anima, nuovi patimenti. Disse che non vi soccomberei, ma che mi era attirata io stessa cotesti patimenti, poichè prendeva sulle mie spalle cotanto in soddisfazione per gli altri. Dovea tenermi più nella moderazione, e non voler fare tanto bene, e ricordarmi che il solo Gesù poteva farlo. Allora mi sopravvennero quei dolori che durarono sino a due ore dopo mezzanotte. Io mi giaceva sopra un erpice contornato di spine, le cui punte mi penetravano attraverso le ossa. »

Ella ebbe a sopportare con brevi intervalli tre simili periodi di patimenti, ed il 29 dicembre il Pellegrino la trovò affatto alterata di aspetto per gli indescrivibili dolori corporei e spirituali. Tutti i suoi lineamenti eransi violentemente allungati; fra gli occhi la sua fronte mostrava i gravi sforzi fatti per sopportare, e traccie di convulsioni, frammezzo ad alcune punture ed apparenze di percosse. Non ho dormito in tutta la notte (disse ella) e son quasi morta; ciò nondimeno ho provato consolazioni interne soprannaturali; ho sperimentato un senso non immaginabile di dolcezza nascente dal patire e derivante dalle intime radici dell'anima in Dio. Anche la santissima Vergine mi ha consolata. L'ho veduta ineffabilmente patire nella notte in cui il Signore venne fatto prigione; ma sopratutto nel momento in cui S. Pietro rinnegava il divino Maestro. L'ho veduta come essa si lamentasse a Giovanni; a lui raccontava sempre i suoi dolori. In questa notte ho pure domandato perchè mi affliggesse talmente e profondamente mi ferisse lo stato di mia sorella, anzi mi mettesse fuor di me stessa, mentre posso sopportare con fortezza dolori molto più gravi. Mi risposto: - Comefu tu hai il senso della luce che nasce e sgorga dalle ossa dei santi, in grazia della tua suscettibilità nel sentire la comunione dei vari membri nel corpo di Gesù Cristo, così pure tu risenti anche la oscurità, l'ira e la discordia nello stato di tua sorella, perchè cotesto stato deriva dalle radici della tua peccaminosa carne, in dritta linea da Adamo caduto trasmessa ai tuoi antenati, e quindi anche a te. Tu senti il di lei peccato colla tua carne, e per mezzo della tua carne in quella dei tuoi genitori ed antenati, risalendo sino alla sorgente di ogni peccato. È un peccato che deriva dalle radici del tuo corpo attinenti al primo peccato.

Soffrii e vegliai, e ricaddi nel sopore, e mi svegliai di bel nuovo e contai le ore. Sul mattino sclamai veementemente, e gridai al mio Sposo che non doveva abbandonarmi. Lo vidi prender commiato da sua Madre; vidi i dolori di Maria, lo vidi al monte Oliveto. Ei mi disse: Vuoi tu esser più di Maria, la più pura, la più amata fra tutte le creature ? Che dolori hai tu sofferti in confronto di lei ?E quindi mi mostrò miserie infinitamente grandi e peccati, e lo stato di molti moribondi, e quello di molti altri non di buon animo disposti a soffrire, e mi disse: - Vuoi tu dare aiuti ? Ebbene soffri; come potrebbe altrimenti soddisfarsi alla giustizia ? Mi mostrò un grave e triste avvenire, e come sì pochi preghino e soffrano per l'allontanamento del male. Ed io ringraziai e ripresi coraggio, e soffrii allegramente, giacchè l'aveva veduto. Mi disse pure: — Vedi tu costaggiù cotanti moribondi e in quale stato ? ? E mi in dicò un sacerdote moribondo delle mie vicinanze, caduto talmente, da non poter nemmeno una sol volta pervenire a comunicarsi con purità e fede. Non lo conosceva, ed il mio Sposo mi disse: Soffri per costui sino al meriggio ! E così io ho gioiosameute sofferto e soffro ancora, ed ora incomincia a mitigarsi il mio patire.

« Verso il mezzogiorno il di lei aspetto si cambiò. L'acuto lacerante carattere dei suoi dolori mutossi in diverso carattere. I dolori divennero di un corso più regolare, e a poco a poco si dissiparono, come acqua che a poco a poco si dissecca assorbita dal sole. I lineamenti convulsiva mente contratti del di lei volto si rilasciarono e si ammollirono; la di lei sembianza divenne tranquilla, amabile, dolce, placida come quella di un fanciullo dormente, ed al punto preciso del meriggio tutto era passato. Le sue membra eran tutte rese insensibili e come stupide. Una stanchezza scevra affatto di dolori sopravvenne in lei, ammontando in tutte le sue membra sino ad un senso perfettamente uguale d'insensibilità e di indolenza. »

Nell'ultima sera dell'anno ella rimase costantemente immersa in visione di un suo viaggio verso la Gerusalemme celeste, e spesso recitò versetti degli inni del Breviario relativi alla città di Dio. Una volta si espresse così: « Io qualche volta abbisogno di esser rimondata e tenuta bassa; il mio giardino vegeta talmente, che senza di ciò svanirei affatto in puri fiori senza frutto. » Frattanto in cotesta visione vede spessissimo sè stessa in ogni possibile situazione della vita e sempre col cuore appieno dilaniato e lacero. Ecco come disse: « Cotesta persona mi è talmente prossima; mi tien tanto da vicino ! Talvolta non posso nemmeno più sopportare la vista dei suoi patimenti e prego Iddio di tenermeli nascosi. »

Nella notte 1° gennaio 1820 le ricomparvero le tre sante monache, e le ritolsero il bianco vestimento. Era rimasto immacolato. Esse le rivestirono l'abito grigio già promesso con la nera e pesante croce, e le dissero che doveva farlo divenir bianco a forza di lagrime. Vide gran moltitudine di povere anime del purgatorio che a lei venivano a ringraziarla per la loro liberazione, e fra queste una vecchissima donna del di lei luogo natio, per la quale aveva sempre molto pregato. Sentì di aver liberato quell'anima coll'avere mantenuto immacolata quella bianca veste, e ne fu molto commossa. « Quando ricevei il vestimento grigio (disse ella) vidi un'altra volta tutti i tormenti che sopra di me debbon venire. Ebbi pure un'apparizione di santa Teresa, che molto mi consolò narrandomi i suoi proprii patimenti. Essa mi tranquillò pure sulla mia visione, e mi disse non dovermi lasciare disturbare o distorre, ma dover dire tutto. Mi disse che erale accaduto lo stesso. Anzi che quanto più aveva manifestato le sue visioni, tanto più erano cresciute in chiarezza. Anche il mio Sposo parlò amabilmente con me, e mi spiegò il significato di quel grigio vestimento. È di seta, mi disse, perchè son stato ferito in tutto il corpo. - Mi disse pure che non dovea colla mia impazienza lacerarlo in alcun punto, che era così grigio perchè vestimento di penitenza e di umiliazione. Mi disse pure il perchè io era siffattamente ammalata, e ciò può rendersi presso a poco così: il mio corpo era come ad un peso legato, acciocchè l'anima potesse tanto più attivamente lavorare ed agire. Un sano deve trasportare il suo corpo come un pesante fardello. Mi disse che così ammalata io faceva quel che egli voleva; ma che se fossi sana, mi lascerei impedire dal fare la sua volontà dalla mia stessa troppa arrendevolezza e condiscendenza. Mi disse pure ch'io dovea dire tutto ciò che mi veniva mostrato, quando anche dovesse esser deriso, e che così veniva a compirsi la sua volontà e che tutto aveva la sua propria utilità. Allora mi sembrò come se da un letto di spine venissi rimossa e situata sopra un altro. Offrii il tutto in pro delle povere anime del Purgatorio. »

2 gennaio. Il Pellegrino la trovò martoriata affatto dai patimenti. Sarebbe vano (osserva il Diario) il descrivere le varie manifestazioni del suo persistente martirio spirituale; conviene avere osservato da tutti i lati lo stato per noi incomprensibile di cotesta persona, onde potersene fare un'idea. Soffre i più laceranti dolori, nè osa farne travedere nemmeno la minima parte. Non è compresa, e deve così trascinarsi per una vita giornaliera priva affatto d'ogni conforto, di ogni simpatia, e di ogni compassione. Essa provava un sì vivace senso della corona di spine sulla sua testa, che, quasi fosse irrigidita, la teneva sempre dritta senza appoggiarla, onde non immergervi più profonda mente le spine. Inoltre sentivasi come flagellata e dilaniata in tutte le membra, strettamente legata intorno alle mani, il corpo avvinto in ritorte, e tutto ciò lo manifestava in terrottamente in mezzo ad incessanti freddi sudori di angoscia colla più grande pazienza. Ad un tratto stese le braccia con sì possente distensione in croce, da far credere che tutto in lei si fosse dislocato, lacerato e sciolto. Quando di bel nuovo lasciò cadere le braccia, durò pur sempre l'impossibilità di appoggiare il capo coronato di spine, e finalmente lo lasciò ricadere come morto sul petto; e tutte le di lei membra apparvero pure siccome morte ed inanimate. Son presso le povere anime, le sfuggì detto con un sospiro. Quando poi si riebbe, potè soltanto a gran stento raccontar quanto segue: Ho subito tre possenti assalti di dolori; e tutto ciò che ho sofferto è stato sotto la forma dei patimenti del mio Sposo. Quand'io stava per soccombere e disanimata mi lamentava, tosto vedeva come in un quadro, ovvero come nell'attualità, il di lui analogo patimento, e così ho di bel nuovo veduto tutta la sua Passione, e precisamente in tutto come la vedo nel Venerdì santo. Così sono stata flagellata, incoronata di spine, legata con le ritorte, e trascinata; son più volte caduta, sono stata buttata sulla croce ed inchiodata. Ho veduto il Signore scendere in un mondo inferiore, e son venuta anche in purgatorio ed ho veduto liberati molti ch'io conosceva, ed anche altri da me non conosciuti. Ho veduto liberar molte anime che giacevano profondamente immerse nell'oblio e nella oscurità, e da ciò me n'è derivata consolazione.

« Il secondo assalto l'ho sofferto in pro di coloro che non erano in istato di sopportare i patimenti che loro sopravvenivano, con pazienza ed a benefizio delle anime loro; come pure pei moribondi e per coloro cui viene a mancare il SS. Sacramento. E ne vidi molti da me così aiutati.

« La terza volta poi ho sofferto quei patimenti in pro della Chiesa; e perciò ho avuto dinanzi a me l'immagine di una chiesa con altissime torri di costruzione magnifica, in una gran città e sulle sponde di un largo fiume. Il santo patrono di quella chiesa era Stefano, e da presso gli vidi anche un altro santo, che fu dopo di lui martirizzato.

Intorno a cotesta chiesa vidi occupati moltissimi distinti personaggi, e fra loro molti stranieri recinti di grembiule e con cazzuola, come se fosser costà mandati a distruggere quella chiesa coperta di lavagna, e la sua magnifica torre. Ogni sorta di gente del paese si associava a costoro, ed eranvi anche in mezzo degli ecclesiastici, anzi persino dei regolari. Venni perciò in tanto sgomento, che supplicai il mio Sposo a voler dare aiuto. Il Saverio colla croce in mano avea potuto fare ogni cosa, ed anche qui dovea ben poter trionfare del nemico. Vidi allora cinque figure umane penetrare in cotesta chiesa; tre vestiti di antichi e pesanti arredi sacri come se fossero sacerdoti, e due ecclesiastici affatto giovani come se fossero stati novellamente chiamati al sacerdozio. Pareva pure come se costoro ricevessero la santa Comunione e dovessero accingersi a nuova vita; ed ecco che subitaneamente una fiamma percosse la torre e la gittò dispersa sul tetto intero, e pareva che il tutto fosse per cadere. Pensai allora a quel largo e gran fiume che scorre da un lato della città, e se non si potesse col suo aiuto estinguere quel fuoco. Ma le fiamme offesero molti di coloro che avevano posto mano alla demolizione e li cacciarono di là, e la chiesa rimase ritta. Riseppi però che cotesto salvamento avrebbe luogo soltanto dopo la più gran tempesta che già si avvicinava. Quell'incendio che appariva sì orribile, significava primieramente un grave pericolo, secondariamente un nuovo splendore per quella chiesa dopo la tempesta. Costà in quel paese hanno già principiato la demolizione della Chiesa col mezzo delle scuole, dandole in mano ai miscredenti.

« Vidi una gran tempesta avanzarsi ed irrompere da settentrione. Si avanzò verso la città con l'alta torre, approssimandosi in forma semicircolare, e si estese anche verso occidente. Vidi battaglie, e vidi striscie di sangue nel cielo lunghe e larghissime sopra molti luoghi, e vidi infiniti guai e miserie della Chiesa essere imminenti. I protestanti per tutto incominciavano ad assalire la Chiesa; ma i servitori della medesima sono indolenti e pigri e non usano della potenza che posseggono nel sacerdozio. Dovei piangere a calde lagrime a cotesta vista. -

Essa piangeva ancora mentre ciò narrava, e supplicava Iddio a liberarla da coteste immagini. Pianse pure sopra tanti greggi privi di pastore, ed esortò alla preghiera, alla penitenza ed all'umiliazione, onde a forza di suppliche allontanare in parte le miserie imminenti. »