CAPO I. RITORNO DEL PELLEGRINO IN DULMEN PRIMORDII DI UN NUOVO ESAME INQUISITORIO

1. La partenza da Dülmen era riuscita ben grave al Pellegrino ( 1 ), ma lo avevano di bel nuovo posto in calma le benevole parole a lui dirette da Anna Caterina: « Noi ci rivedremo (gli aveva detto): proverete di nuovo in questo luogo molta consolazione, e molto dovrete scrivere qui presso al mio letto. So benissimo che sarei già morta, se non avessi dovuto per mezzo vostro render manifesto tutto ciò che ho da raccontare. Anche il P. Limberg gli aveva accordato l'esser di bel nuovo ricevuto: ma cotesto suo ritorno non doveva aver luogo nè troppo presto, nè senza guarentigia che cotesta sua nuova frequenza presso Anna Caterina, non dovesse di bel nuovo esser causa d'insopportabil peso per l'ammalata e per coloro che la circondavano.
(1) Clemente Brentano.
È ben vero che tanto il confessore, quanto l'abate Lambert ed il Wesener avrebbero di buon grado veduto il Pellegrino allontanarsi per sempre. Il confessore aveva fatta troppo grande esperienza durante quattro mesi e mezzo, per non sapere anticipatamente, malgrado tutte le assicurazioni del Pellegrino, ciò che in seguito potrebbe succedere; ma pure ogni qualunque siasi considerazione o riguardo doveva tacere dinanzi alla ferma convinzione, che Anna Caterina aveva d'uopo del Pellegrino, onde col di lui aiuto compire la di lei missione. Del come poi a lei stessa divenuto fosse difficile l'accordare il ritorno al Pellegrino, e di quanto ella avrebbe a soffrire sino a quel momento, costui non ne aveva il minimo presentimento. Quantunque non potesse nascondere a sè medesimo che la sua prossimità, le molteplici dimande e le appassionate manifestazioni della impaziente sua curiosità di sapere, non di rado avesser cagionato alla inferma i più penosi disturbi e faticosissimi sforzi, pur nondimeno tutte coteste impressioni eransi ben presto dall' animo suo dileguate. Sino dai 24 dicembre 1818 aveva così notato nel suo Giornale: L'ho trovata questa mattina molto spossata. Per tutta la notte ella aveva tagliate e cucite molte vesticciuole per bambini. Ed ecco che le sopravvenne tutto il mio diluvio di domande, che ha sopportato con inenarrabile pazienza. Aveva sembianza di essere affatto stanca e ad un tempo infiammata, e mi rispondeva soltanto a gran stento; anzi più tardi mi domandò se non avesse a caso così esausta come era e di mente svanita, ripetuto per ben due volte le stesse cose. Io non aveva dapprima rimarcato cotesto grande rilassamento di forze; ma pure lo aveva notato abbastanza per esser mosso a domandarle sempre perdono e pazienza ad ogni interrogazione che le dirigeva; ma essa rispondevami: Ciò non fa nulla! » — Disgraziatamente di tutta cotesta descrizione, il Pellegrino notato aveva soltanto nell'animo questo senso: Ciò non le fa nulla! Ogniqualvolta Anna Caterina provavasi ad ammansare cotest'uomo sì facilmente irritabile ed ancora appieno incapace di frenare i suoi affetti, e che in men di un momento poteva passare dalla più serena disposizione di spirito alla più cupa melanconia ed ai lamenti del più profondo dolore; quando, diciamo, tentava raddolcirlo con parole come queste: « Mai sinora ho usata tanta confidenza verso alcuno, quanta ne uso verso di lei; mai sinora ho manifestato me stessa ad altri, siccome l'ho fatto con lei; ma mi è stato comandato di fare così; » ecco che tosto il Pellegrino sentivasi purtroppo facilmente mosso ad attribuire cotesta confidenza alla benefica azione del suo famigliare commercio con lei, ed a raffermarsi vieppiù nella convinzione esser lui, siccome quegli che solo era in grado di comprenderla, autorizzato con pieno diritto ad allontanare dalla prossimità della inferma, per quanto era possibile, tutti i disturbatori; vale a dire ogni altra persona. Appena erasi egli da poche settimane di bel nuovo stabilito in Berlino, che già non sentivasi in grado di sopportare una più lunga separazione da Dülmen, d'onde era partito ai 19 gennaio 1819: ed anzi prendeva disposizioni per poter di bel nuovo, tostochè ciò gli riuscisse possibile, colà stabilirsi. La notizia di cotesto suo proponimento manifestato con lettera, produsse sull'animo dell'abate Lambert una indescrivibile impressione. Egli piangendo scongiurò la inferma ad impedire il ritorno di quel non invitato ospite. Non riuscì per altro Anna Caterina nel tranquillare quel buon vecchio, d'altronde sì benevolo e timido, giacchè anche il Wesener venne in aiuto alle di lui preghiere. Ambidue credevano poter contare soltanto sopra una durata ancora ben corta della vita della inferma: quindi non volevan consentire a verun prezzo a lasciarsi rapire quei pochi fuggitivi momenti di consolazione, che godevano nel loro commercio con Anna Caterina, dall'intromettersi di un importuno, la di cui superiorità di spirito li opprimeva, e che continuamente faceva loro sentire non esser eglino capaci nemmeno di comprendere la missione ed il valore morale di quella donna sì ricolma di grazie.
2. Ma erano inoltre sopravvenuti avvenimenti, che avevano aumentato al più alto grado le cure dell'angustiato vecchio, e tali da far presagire che i tormenti di un nuovo esame inquisitorio potessero rinnovarsi per la inferma e per lui. Il ritorno del Pellegrino minacciava di rendere cotesti tormenti affatto intollerabili almeno per lui. Non solamente era il Pellegrino ormai un oggetto di curiosa attenzione nella contrada di Münster, ma inoltre la libera franchezza dei di lui discorsi scevri sempre di ogni riguardo, era agli occhi di molti cagione di malevolenza e di sospetto. Nella stessa cittaduzza di Dülmen tutto il di lui contegno appariva siccome insolito, anzi misterioso: giacchè niuno poteva capire come cotesto forestiero potesse ottenere sì frequente accesso alla inferma. Non deve quindi destar meraviglia che i pareri e le sentenze le più diverse e contraddittorie andassero in giro sul conto suo. Per altro la di lui beneficenza verso i poveri, la sua pietà, e la rara semplicità del suo modo di vivere, avevan fatto tacere molte censure. Nè senza fondamento temeva l'abate Lambert una nuova inquisizione, giacchè per causa dello stesso Pellegrino correva in Münster il romore di un cangiamento nelle effusioni sanguigne delle stimate della inferma, sopravvenuto sin dal S. Natale 1818. Ai 6 di decembre Anna Caterina, essendo in estasi, aveva così parlato: La mia Guida celeste mi ha detto: Se tu vuoi perder le stimate, tu ne avrai, invece di quelle, ben più gravi pene. Dillo al tuo confessore e fa quel che egli vorrà. - Ah, piuttosto, ho replicato, voglio maggiori pene, che aver queste ferite! Son così timida e mi vergogno tanto!»
Sin dal 23 decembre potè i Wesener riempire un'assai grande lacuna nei suoi Diarii con le seguenti parole:
« Sin dal fine di ottobre quotidianamente ho visitato la inferma, senza per altro scontrare veruna notabile alterazione o nuova manifestazione nella di lei fisica esistenza. Sul cominciare di novembre l'abbiamo cambiata di stanza e la portammo nella contigua piccola cameruzza. Siccome in cotesta occasione ebbe luogo necessariamente molto strepito, ci convincemmo di bel nuovo della debolezza ed irritabilità de' suoi nervi, poichè ella mostrossi come assordata da tutto quel romore, fu costretta a vomitare, e circa quattordici giorni passarono, prima che alquanto si riavesse. Le effusioni sanguigne delle mani e dei piedi seguitarono nella consueta forma in tutti i venerdì, ed anche il capo continuò a grondare sempre sangue. » Ma sin dal venerdì 25 decembre dovè poi scriver così: « Oggi giorno di Natale, la testa, la croce del petto, e la ferita del costato effusero sangue in maggior copia di quello che fosse avvenuto da lungo tempo; ma con tutto ciò le stimate delle mani e dei piedi rimasero in tutta la loro circonferenza secche ed asciutte; le croste superiori ne apparivano di un color bruno chiaro.
28 decembre. Oggi le croste delle ferite delle mani e dei piedi sono cadute. Sulla pelle della superficie esterna delle mani e dei piedi scorgesi un punto piuttosto lungo e trasparente; nella superficie interna poi sentesi nella prossimità delle stimate una profondità piccola; ma piuttosto lunga. Col cader delle croste non sono peraltro in verun modo spariti i dolori, ma sembrano piuttosto essersi accresciuti.
Venerdì 1 gennaio. Il capo e la ferita del costato effondono sangue secondo il consueto. Le ferite delle mani e dei piedi rimangono asciutte.
« Venerdì Santo 9 aprile. L'inferma è stata per tutta la settimana in patimenti inenarrabili. Ha sofferto gravissimi dolori nelle ferite. A ciò si è aggiunta una bronchite con tosse e dolori di gola e di petto. Le ferite delle mani e dei piedi si sono in quest'oggi di bel nuovo aperte. Questa mattina circa le ore dieci le ho trovate che versavan sangue. L'inferma me le mostrò con turbamento e mi supplicò di tenere nascosto questo fatto..... Nel susseguente venerdì rimasero poi coteste ferite delle mani e dei piedi di bel nuovo chiuse siccome dopo il Natale. » L'inquietudine dell'inferma era pur troppo ben fundata; giacchè appena si diffuse in Münster la fama della cessazione delle effusioni sanguigne nelle stimate delle mani e dei piedi, che ciò fornì desiderato pretesto alla Polizia prussiana di porre in pratica il progetto già da lungo tempo concepito, d'impossessarsi della povera paziente.
Sino dal 18 Febbraio dovette il Wesener così notare: « Quest' oggi l'inferma mi ha fatto pregare di passar da lei per udire il mio consiglio intorno alla missione di due individui, cioè il signor medico di circondario dottor Rave di Ramsdorf, ed il vicario Rosèri, i quali per segreto incarico del Presidente supremo di Vinke, eran venuti ad esaminare lo stato attuale della inferma. Pregai Anna Caterina ad ammettere cotesti individui, e così avvenne. Nel dopo pranzo costoro visitarono anche me e mi interrogarono circa le effusioni sanguigne. Venerdì 19 febbraio. Cotesti due individui hanno per tutta la mattina oppresso la povera inferma con domande, per risaper da lei di bel nuovo tutto ciò, che da lungo tempo generalmente è conosciuto, anzi pubblicato con le stampe. Invece poi di aspettare il momento della effusione sanguigna, son di nuovo partiti verso il mezzogiorno. Circa le tre pomeridiane la croce del petto e la testa effusero sangue, ma non così la piaga del costato. Gli involucri della testa così macchiati di sangue li ho mandati per mezzo del P. Limberg al signor Overberg, dopo averli mostrati al borgomastro Möllmann. Il Rosèri appartiene al numero dei così detti illuminati (1), ma pure è partito con disposizioni d'animo diverse da quelle con cui era venuto. Parve come se Iddio gli avesse toccato il cuore (2). Il medico è uomo del bel mondo, una seconda copia del Bodde; gli si scorgeva propriamente negli occhi la smania di scoprire un inganno. Ha sospettato di me fuor d'ogni misura perchè non aveva conservato le croste distaccatesi dalle stimate delle mani e dei piedi. Gli risposi che quando si aveva il granello, si lasciava cadere non curandola la pula. Dal momento ch'io aveva osservato cose ben più altamente mirabili nell' inferma, le circostanze esterne di lei mi avevan destato interesse molto minore. Ei non aveva il minimo senso morale per comprendere di tutto ciò nemmen la più piccola cosa.
(1) Da una lettera del Wesener al Pellegrino.
(2) In questo il buono e non sospettoso Wesener erasi a gran partito ingannato, come lo dimostrerà il seguito ulteriore degli avvenimenti. L'inferma aveva avuto circa cotesto individuo ed altri, che pure avevan parte in quell' affare, una visione di ammonimento e di avvertenza; ed a tal proposito narrò quanto segue: Vidi il Rave pieno zeppo di malizia e lo intesi parlare contro il proprio convincimento e calunniarmi, per così piacere al governo dell'Aquila (governo Prussiano). Io credeva che il Rosèri fosse cambiato, ma era piuttosto falso e simulato nell'intimo dell'animo suo, e talvolta anche parlava con simulazione. Mentre io andava pensando entro di me come mai un prete simile potesse giovare ai fedeli, mi sentii rispondere: Egli giova ai fedeli così poco, quanto poco giova la Bibbia agli eretici. Egli non ha in sè benedizione alcuna, ma può per altro far parte agli altri di quelle che ha in sè la Chiesa, quantunque egli non ne partecipi nè punto nè poco. Ho visto il dominio dell'Aquila stare in cattive condizioni in questo paese. Il Presidente supremo pensa bene ed ha un nobil cuore, ma è circondato da una cattiva marmaglia. Se egli venisse in persona a vedermi, non sarei punto inquieta del come convincere della verità il retto animo suo. ›
« Già da pochi giorni l'abate Lambert aveva dovuto consegnare al borgomastro le carte che constatavano la sua origine e il suo stato. L'ordine di esigere da lui cotesti documenti era venuto direttamente dal Presidente supremo, e cotest'ordine conteneva le seguenti espressioni; - Ho risaputo che si ritrova costà in Dülmen un ecclesiastico francese emigrato, del cognome di Lambert e di dubbio carattere..... ? Ognuno può immaginarsi come casi di questo genere conturbino la povera e debole in ferma, ed il pacifico Lambert. Ecco che di bel nuovo tutto il paese è inondato di ciarle e di calunnie contro di lei. Ma essa fermamente confida nella misericordia di Dio, e noi ci consoliamo nel sapere di soffrire per amor di Gesù Cristo e del vero. »
3. Siccome il dottor Rave oltre il Protocollo ufficiale, aveva concepito uno scritto privato diverso da quel Protocollo e molto svantaggioso alla inferma, e per di più lo aveva fatto circolare ( 1), e cotesto scritto, in piena armonia con le antiche accuse del Bodde, minacciava di eccitare una tempesta; così il Wesener venne in pensiero di porsi avanti come campione dell'innocenza col mezzo di pubbliche dichiarazioni e di una memoria atta all'uopo, stampata, e diretta al supremo Presidente in Münster.
(1) I consigliere provinciale Bönninghausen, di cui presto parleremo più a lungo, dichiarò a tal proposito: Il Dottor Rave oltre il suo Protocollo è autore di una lettera privata diretta al Sig. Bouges in Münster, nel quale scritto egli partecipava il suo modo di vedere particolare in modo alquanto più libero.
Ma Anna Caterina opponendosi ai di lui progetti, egli si di resse all'Overberg, onde averne all'uopo consiglio. Costui gli rispose: « Oh! come e da quanto lungo tempo arden temente io desidero visitar di bel nuovo i miei cari di Dülmen, fra i quali V. S. non è sicuramente l'ultimo! ma sembra che il Signore nol voglia peranco, poichè o mi ammalo o mi sopravviene qualsiasi altro impedimento. Di buon grado io vorrei svilupparle i motivi, pe' quali non posso consigliare una memoria diretta al Presidente supremo, ma differisco il farlo sino al momento che potremo conferirne a viva voce. Così pure non saprei consigliare le pubblicità delle gazzette per la dichiarazione che ella mi ha partecipata. Ogni risposta è una sorta di pagamento. Non devesi pagare a peso quasi uguale con oro raffinato il piombo, o ciò che vale meno del piombo. Inoltre sta scritto: Non getterai le cose sante ai cani, nè le perle ai porci. Sono ben lungi dal voler paragonare qualunque singolo individuo umano con un cane o con un porco; ma pure debbono esistere uomini che sotto certi aspetti son comparabili a cotesti animali; poichè, se fosse altrimenti, il Salvatore, il Figlio di Dio Onnisciente, non ci avrebbe dato quell'avvertimento che sopra indicai..... Non havvi cosa così consolante, anzi rallegrante, come quella di soffrire per amor di Gesù Cristo alcuno di quei dolori che egli ha sofferti. Ma come mai V. S. concede sì grave peso ed importanza allo scritto del Bodde, sino a riconoscervi dentro profonda offesa? Da ben molti molti io ho invece inteso dire che da cotesto scritto ben più chiaramente appare ciò che è veramente in sè stesso, di quel che possa trovar applauso o riuscir offensivo per l'onore di alcuno! Allorchè il Wesener venne in seguito un'altra volta a parlare dinanzi ad Anna Caterina dei pubblici insulti a lei diretti, e dichiarò nel nome di tutti i di lei amici esser necessaria una difesa; costei rispose con serietà e con un certo turbamento: Ah! buoni amici miei, vi ringrazio tutti quanti per la parte che prendete a questa mia faccenda; ma debbo pur confessare che havvi cosa in voi tutti, dico in voi tutti senza eccezione, cosa che mi turba non poco; e questa è che trattate quest'affare appropriandovelo troppo e con troppo amor proprio, e quindi con amarezza; oltre la difesa della verità volete difendere anche la vostra propria opinione e rivendicare il vostro onore. Voi non combattete soltanto le menzogne, ma altresì le persone che sono a me contrarie. Per farla breve, vi preoccupate anche di voi stessi e non esclusivamente dell'onore di Dio. »
4. Anche il Vicario Generale di Droste ritenne suo dovere il recarsi a Dülmen per accertarsi personalmente dello stato della inferma. Gli erano pervenute all'orecchio ciarle svariate, come se dall'abate Lambert fosse stato negato l'avvicinarsi all'inferma sia al Decano quanto ad alcune monache, e che di più dicevasi avesser luogo trattenimenti serali intorno al di lei letto. Fu peraltro assai agevole per Anna Caterina il dare soddisfacenti risposte alle sue domande. La di lei quasi fanciullesca semplicità scevra d'ogni arte, produsse anche allora sul di lui animo l'antica e dolcemente persuasiva impressione, in modo tale che egli mezzo per ischerzo, mezzo sul serio le disse: « Sono stato severo e di cattivo umore con lei, perchè molte cose mi spiacciono in coloro che la circondano. » Ma essa tosto rispose liberamente: « Ciò mi angustia; pure ella conosce troppo imperfettamente la mia posizione, e non è già possibile il poterla descrivere così soltanto alla sfuggita.Allora il Vicario le indicò quelle cose che più specialmente gli davan noia, come: « L'eterna vicinanza presso di lei del vecchio Lambert, la lunga presenza del Pellegrino, le molte visite, lo starsi precisamente in quella camera e non già in una stanza più interna e di più difficile accesso. »
Ma allorchè essa lo richiese di consiglio e di mezzi onde cambiare coteste circostanze, allontanare quel povero vecchio Lambert, e distorre quelle visite tanto per lei stessa penose, il Vicario Generale medesimo non seppe davvero trovare alcun avviso. Quando poi gli manifestò i progetti del Pellegrino e gli avvertimenti già sì spesso ricevuti da Dio, sul doversi servire di cotesto Pellegrino siccome strumento per la partecipazione delle visioni a lei accordate, aggiungendovi la preghiera che volesse il Vicario Generale, siccome superiore ecclesiastico, decidere sopra codesto punto, egli così si espresse: « Non si può impedire al Pellegrino lo stare presso di lei. » Il Vicario Generale partì soddisfatto, e come Anna Caterina lo raccontò: « Tutto andrà bene. Ci siamo trovati d'accordo: è partito rimanendo nella sua buona opinione. »
5. Così stavan le cose, allorchè la notizia del prossimo ritorno del Pellegrino mise quel piccolo circolo di persone che stava in Dülmen attorno all'inferma, in grave agitazione, ma pur facile a capirsi. Il P. Limberg si rimase silenzioso e lasciò all'ammalata la cura di rappaciare gli animi. Siccome per altro ciò non le riuscì molto facile, essa ebbe ricorso al di lei solo ed ultimo sostegno umano in simili casi, cioè all'Overberg, suo direttore di spirito. Troppe volte essa aveva per lo innanzi sperimentato come tutti di buona voglia si sottomettessero alle di lui decisioni; ed è perciò che sino dagli ultimi giorni della presenza del Pellegrino essa avea sospirato per una visita dell'Overberg, onde per di lui bocca far persuasi coloro che la circondavano, non dipender già nè punto nè poco dal di lei capriccio il ricevere il Pellegino, o l'allontanarlo. L'abate Lambert ed il Wesener lasciavansi, è ben vero, indurre talvolta ad appellarne alla sentenza del venerato Overberg, ma pure nel tempo stesso rivolgevansi anche al Pellegrino per dissuaderlo dai suoi progetti. Mentre costoro scrivevano, Anna Caterina rivolgevasi a Dio conferventi suppliche onde si degnasse conciliare gli animi, ed addurre tutto ciò che più fosse efficace a promuovere l'onor suo e la salute del prossimo.
La lettera dell'abate Lambert al Pellegrino era così concepita: «Signore. Non si sdegni, la prego, con me del che io non possa più oltre riceverla; ma non mi sento ormai più la forza e il coraggio di sopportare per una seconda volta quel tutto che ho sofferto durante l'intero tempo del suo soggiorno fra noi. Da tanti e tanti anni suor Anna Caterina Emmerich ed io abbiamo vissuto nella maggior pace possibile, e così ancora viver vogliamo. Mi riuscì assai duro durante il soggiorno di V. S. il vedermi dalla medesima allontanare ed il non poterle parlare. Non posso concedere, o signore, che ella qui torni di nuovo. No! no, mio caro, no! Ciò che ora scrivo glielo avrei detto prima a voce, se mi avesse voluto ascoltare. Spesso avrei desiderato con lei ragionare intorno a ciò, ma ella non mi concedeva mai la parola. »
Il Wesener accompagnò quella lettera scritta in francese colla seguente aggiunta: « Lo scopo di questo mio scritto è pure quello soltanto di dissuadere V. S. dal di lei progetto di ritorno. Ella ne sorriderà, ma pure la di lei inflessibile volontà non può alla fin fine esser sempre la giusta e sicura guida del suo modo d'agire! Ho descritto all'Overberg il di lei modo di viver qui fra noi ed il suo contegno; la prego di seguire il di lui consiglio! Tutti gli amici della Emmerich, e qui ed in Münster, sono unanimi nella opinione che il di lei ritorno produrrebbe le peggiori conseguenze. Di ciò ella deve ascriverne la colpa a sè stesso. Ella ha espresso in Münster così pubblicamente e duramente la sua opinione circa questo nostro clero e quello di cotesta città, che non v' è più che una sola voce a di lei riguardo, e questa sicuramente non le è favorevole. Siccome niuno ha l'animo di scriverle cotesta cosa, così lo debbo far io. Per forte impulso del cuore debbo dirle che il danno provenuto alla Emmerich dal suo commercio con lei oltrepassa di molto ogni qualsiasi vantaggio. Quindi tutti unanimemente siamo decisi, quando ella pur nondimeno ritornasse, a non permetterle quell'intimo commercio colla Emmerich, in cui pel passato ella era riuscito ad insinuarsi. La Emmerich ama V. S. a cagione del suo doloroso destino e della sua sincera e profonda conversione, ma scorge pure con terrore ed alto turbamento la malattia del di lei animo, e teme la di lei inflessibile disposizione. Essa è fermamente risoluta, ove V. S. qui ritorni, a concederle una sola ora per giorno, e dovrà pure tenersi affatto lontano dal mescolarsi negli affari domestici della inferma. È ben vero che la di lei sorella è un tristo soggetto; ma pure la Emmerich vuol sopportarla, ed è appieno convinta esser cotesta sorella uno strumento nelle mani di Dio per rintuzzare le asperità dell'anima sua e giovarle nel trionfare delle sue debolezze di carattere. Il buon vecchio abate Lambert ha molto sofferto per causa di V. S. quantunque al certo per di lei involontaria colpa, giacchè le sue intenzioni eran buone; soltanto la cosa non va e non può andare come ella se lo immagina. L'Overberg è pure della medesima opinione: lo ecciti, la prego, a manifestarle il suo modo di pensare circa il di lei ritorno. »
6. Il Wesener aveva poi scritto all'Overberg sul conto del Pellegrino nel modo seguente: La nostra cara inferma mi ha invitato a scriverle onde renderle più chiara in certo modo la lettera del signor abate Lambert; ma inoltre mi sento sospinto da impulso mio proprio e dal mio amore per la nostra ammalata a parteciparle alcune notizie circa la sua posizione attuale. Il signor Clemente Brentano venne da V. S. e le narrò mirabili cose della inferma e de' suoi progressi nella vita interna spirituale.
Egli è ben vero che cotest' uomo colla sua generosità e buona compagnia è stato di gran giovamento alla inferma, le ha procacciato alloggio più comodo e maggior quiete, ed ha forse ottenuto pel mondo grandi vantaggi e magnifici godimenti coll'opera delle acute sue osservazioni o ricerche; ma appunto a cagione di ciò la inferma ha quasi interamente perduto ogni pace domestica, anzi di più quel poco di salute e di vita che le restava. Costui è al certo un buon uomo; la sua fede è solida come il ferro; le opere sue son nobili e cristiane, ma il suo genio poetico mal si conviene al semplice andamento di una vita domestica e cittadinesca. L'inferma sa benissimo che il cerchio di coloro che la circondano, non è quale dovrebbe essere.
Essa chiaramente scorge la miseria morale, in cui la sorella trovasi come imprigionata, e ne prova indicibil tormento; ma è altresì fermamente convinta che nè la durezza, nè la violenza son mezzi adatti a migliorarla e a condurla sul retto cammino. Ciò che non può ottenere dalla sorella per le vie dell'amore e della pace, è pronta a sopportarlo con umiltà e con pazienza; ha sopportato anche cotest'uomo, e si è pazientemente taciuta in ogni contrarietà coll'unica vista di giovare a lui e ad altri. Essa vuol dimenticare ogni cagione di lamento ed offrirla a Dio ed al bene del prossimo; ma si spaventa all'idea del suo ritorno. Egli non conosce la via della dolcezza e vuol tutto disporre con prepotenza. La inferma è decisa per altro a non ammetterlo più su cotesto piede ed a non adattarsi più oltre a ciò che piace a lui solo. Ma siccome egli è molto imponente ed intimidisce, e siccome i di lei amici non possono esser sempre vicini a lei, quindi teme di non poterlo rattenere, e va pensando ai mezzi d'impedire il di lui ritorno. Egli ama ed apprezza altamente V. S. ed ha in lei illimitata fiducia, quindi l'inferma la prega istantemente a scrivergli esponendo lo stato delle cose, e ad ammettere il suo ritorno, soltanto sotto sicure condizioni. »
La risposta dell'Overberg fu del seguente tenore: « Mi è riuscito gratissimo il risapere alcunchè della nostra cara inferma per via diversa da quella del signor Clemente Brentano. Secondo ciò che da costui mi fu narrato, avrei dovuto credere che l' inferma avesse per cosa più d'ogni altra grata l'averlo a sè d'intorno e che fosse appieno contenta del di lui contegno. Pensai per altro all'assioma giuridico: Audiatur et altera pars. Il Brentano asserì anche a me che sarebbe ritornato al più presto possibile, onde continuare le sue osservazioni. Il trattenerlo dal ritorno, quando Iddio non susciti verun impedimento, o l'indurlo a stabilirsi in Münster, son cose ch'io non giudico possibili. Quanto poi allo addurlo a che dopo il suo ritorno egli si conduca in modo diverso, sia coll'inferma quanto con coloro che la circondano, cotesta è cosa che la inferma medesima deve a lui prescrivere. Essa deve fissare a qual ora del giorno egli possa venire a visitarla, e di chiarargli che deve tralasciare dal mescolarsi in verun modo nelle sue cose domestiche. Deve far ciò da sè medesima; giacchè ove io lo facessi, ei non vi si presterebbe al certo per le seguenti ragioni. Egli è, o vuole apparire convinto che l'inferma lo ha volentierissimo a sè vicino, che è contenta del suo contegno, o che almeno cotesto suo contegno riesce a maggiore vantaggio della medesima. Sa inoltre ch'io non posso recarmi presso Anna Caterina per conversar con lei a voce; e quindi riterrà e deve ritenere quanto io potrei dirgli circa il modo di pensare della inferma sopra di lui e sul suo contegno, siccome una pura manifestazione proveniente da coloro che la circondano; ciò per altro addurrebbe in esso facilmente il sospetto che appunto costoro volessero per gelosia, per invidia ecc. ecc. allontanarlo dall'ammalata. Egli quindi potrebbe essere indotto a credere di dovere tanto più strettamente avvicinarsi alla inferma, quanto più si avesse l'aria di non volerle accordare la consolazione della di lui presenza e delle sue cure, onde procacciarle riposo e benessere. La dichiarazione che ho superiormente indicato doversi fare dalla inferma, credo pure, quando sia necessario, che sarà meglio venga fatta in presenza di lei, signor Dottore, e del Padre Limberg. Dovrà poi sul serio vegliarsi, soprattutto nei primi giorni, a che le prescrizioni dell'inferma in quanto all' ora ed al tempo vengano scrupolosamente osservate. Prevedo benissimo che l' inferma avrà sul principio a lottare contro di lui, ma non conosco alcuna via migliore, e spero che ove essa tengasi sin dai primi giorni ferma e forte nelle decisioni prese, ne risulterà che egli a poco a poco le diverrà meno importuno ed esigente. A causa di tutte queste considerazioni debbo pregarla a non volere sospingere il Brentano ad invocare la mia decisione; ciò non farebbe che accrescer l'impiccio e raffermare la sua convinzione che riuscirebbe per Anna Caterina più d'ogni altra cosa gradito che tutto restasse sull'antico piede, e che essa parla ora in modo diverso, soltanto per evitare un urto a dritta o a sinistra. Il di lei modo di sentire e la sua libera volontà debbon soli decidere in questo caso. Il signor Clemente Brentano mi ha detto alcunchè alla sfuggita, di un'alterazione nelle stimate. Se V. S. per avventura avesse notato l'epoca di cotesto cangiamento, la pregherei caldamente a inviarmi per un paio di giorni quella nota. Oggi ho inteso a dire che l'ammalata comincia anche a nutrirsi ( 1 ); così faccia Iddio che possa di bel nuovo stare in piedi! La prego de' miei più cordiali saluti alla medesima: credo che avrà ricevuto la mia lettera. »
Qual fermento suscitassero nel Pellegrino le lettere del Wesener e del Lambert, apparisce dai vivacissimi lamenti in cui proruppe scrivendo agli amici (2). Per altro, dopo che tacque abbonacciata la prima tempesta, ei diresse anche a Dülmen una lettera, che sventuratamente più non si trova. Dalle risposte del Wesener e del Limberg apparisce però abbastanza chiaro, come cotesta lettera fosse concepita in sensi umili e pentiti, e come facili a riconciliarsi si fossero mostrate quelle buone e semplici anime, che veramente non avevan mai meritato quei rimproveri sì duri, eccitati contro di loro da un primo senso di appassionata irritabilità, e poi pubblicati con la stampa dopo la morte del Pellegrino.
(1) Questa asserzione si riferisce ad una prova teniata in quell' e poca dal Wesener, di far prendere all'inferma leggiere sostanze alimentarie, siccome latte allungato con acqua, e inestra di farina d'orzo e di sago. Ella ubbidì, ma il tentativo riuscì male, ed il Wesener dovette alla fine abbandonarlo per sempre.
(2) Raccolta di lettere di Clemente Brentano, vol. I pag, 334 e 340.
Il Wesener rispose: « Ho letto la di lei lettera: ringrazio Iddio che l'ho letta sino al punto che ci ha commossi fino alle lagrime; ella ci ha tutti riconciliati.... le di lei intenzioni eran buone; ella ha per iscopo il solo bene; soltanto nella potenza e forza del suo spirito ella aveva dimenticato che noi tutti eravamo poveri e deboli moscherini, incapaci di seguire il di lei volo possente.... Divenga quieto, dolce, paziente, e diverrà una spada ed un luminare nella nostra santa Chiesa! »
Dal P. Limberg poi si ebbe il Pellegrino tanto benevola risposta, che ne fu indotto a parlarne cosi: « Anche dal P. Limberg ho ricevuto una bellissima e placida lettera; egli mostrasi straordinariamente saggio, amorevole, biblico e semplice; spira da essa un nobile e puro spirito sacerdotale. Anche egli si rallegra del mio ritorno; nondimeno mi rimetterò interamente ai voleri dell'Overberg ( 1 ).
7. Quand'egli, adunque, nella prima metà del mese di maggio 1819, ritornò in Dülmen, si ebbe da tutti la più amichevole accoglienza; per altro, non sfuggì già al guardo della inferma lo essere in lui rimasto un certo senso intimo di offesa suscettibilità, senso che alla minima occasione minacciava di erompere colla maggior possibile violenza. Quindi non risparmiò fatica veruna onde rimuovere dal di lui cuore, come pure dagli animi di coloro che la circondavano, tutto ciò che poteva divenire scintilla atta a suscitare incendio di malcontento. Si adoprò sino quasi all'esaurimento delle proprie forze, a far sì che sua sorella Gertrude si componesse a silenziosa pazienza verso quello straniero, che le riusciva insopportabile. Dal dottor Wesener si fece promettere di trattare il Pellegrino con quel l'amore, che egli stesso gli aveva promesso per lettera. Ma nemmeno col Pellegrino risparmiò ella preghiere ed esortazioni, affinchè non si lasciasse andare in balia dei capricci, della vivacità e del sospetto: si sforzasse a raggiungere quiete e mitezza di spirito, e soprattutto si astenesse dal disprezzare le buone qualità di quelle persone, le di cui innocenti debolezze erasi abituato a prender troppo sul serio. Commosso da quei discorsi egli notò, pochi giorni dopo l'arrivo, questi sensi nel suo Diario: « Possa il cuore del di lei confessore, uomo profondamente buono e bene volo, venir mosso in tal guisa da sentire che egli ha in me.
(1) Raccolta delle lettere vol. I pag. 344.
un fedele amico! Lo sospiro con tutta l'anima. Nel mio interno mi sento disposto a confidare in lui senza alcun ritegno possa anch'egli divenire in me confidente! Non ho alcuna cosa da nascondergli. Oh quanto mai debbon viver felici due uomini che in Cristo appieno confidano, e reciprocamente si confortano! Degni il Signore benedire i miei sinceri sforzi per meritarmi il suo amore! »
Ma quantunque partecipasse cotesti suoi propositi alla inferma, costei non fu capace di dissimulare il timore della di lui instabilità e della corta durata di uno stato pacifico.
« Ho veduto il Pellegrino, ella disse, stare all'ombra di una pianta di zucca di ricca vegetazione, ma già vicina ad appassire, ed ho quindi pensato a Giona. » Il Pellegrino capì bensì il profondo senso di quelle parole, ma nol volle confessare neppure a sè stesso, e notò soltanto così: « Cotesta strana inquietudine mi disturbò. La inferma pianse; ed io ne rimasi molto angustiato, giacchè per causa di una certa interna oppressione, essa non potea manifestarmi le sue cure. Che Iddio la consoli, e dia pace e fiducia a tutti i cuori, ed a me conceda forza morale ed illimitata carità verso tutti i miei fratelli! Il confessore mostrasi molto benevolo e dolce, E che forse cotesta pianta di Giona già vicina ad appassire vorebbe indicare la corta durata di questo stato? » Sì: purtroppo ben presto cotesto simbolo doveva divenire cosa reale, e pur troppo doveva spesse volte apparir manifesto che Anna Caterina non doveva soltanto addurre il Pellegrino ad una vita conforme ai principii della fede, ma che aveva altresì, nel dirigere quell'ardente spirito, a compire anche una missione di propiziazione, poichè, nel grembo del sacerdozio non trovavasi alcuno pronto a raccogliere ed offrire in propiziazione per tutti, ed edificazione pei fedeli i frutti abbondevoli e le benedizioni derivanti da quel mirabil dono di visione a lei con cesso. La cooperazione ecclesiastica è simile ad un canale per cui, secondo le disposizioni divine, i doni straordinarii ed i meriti delle anime elette trascorrono a pro dell' universale dei credenti; e perciò era d'uopo che Anna Caterina riempisse ogni lacuna e completasse quanto mancava a cotesta cooperazione: e per di più espiasse soffrendo, onde compensare il debito incorso dalla ecclesiastica negligenza. In lei quale istrumento da Dio prescelto, dove vano chiaramente manifestarsi quel meraviglioso potere da Dio accordato al sacerdozio sopra i di lei doni ed il loro uso; e ben spesso noi riconosceremo in avvenimenti apparentemente accidentali, le vie e le disposizioni di quella di vina sapienza, che tutto aveva preparato ed ordinato in modo da rannodare il compimento della missione imposta alla vita di Anna Caterina, colla potenza insita nel sacerdozio. Abbiamo già anticipatamente veduto, che ancor prima dell'arrivo del Pellegrino, aveva trovato occasione di ottenere l'approvazione del più alto suo superiore ecclestico, il Vicario Generale di Droste, che l'autorizzava a partecipare al Pellegrino, tutto ciò che le verrebbe manifestato da Dio. Siccome poi l'Overberg suo direttore spirituale non potè così tosto che il Pellegrino fu ritornato, e come essa ne lo aveva pregato, recarsi a Dülmen, inviò il P. Limberg a Münster onde nella sua qualità di Confessore conferisse coll' Overberg, ed anche da lui si facesse confermare esser volontà di Dio che tutto al Pellegrino manifestasse. L'abate Lambert erasi pur ricordato di quello avvertimento da lei sì sovente ricevuto nelle sue visioni: « Deve esser tutto notato come il Signore glielo mostra in mezzo ai suoi patimenti; » e quel povero vecchio cadente l'aveva di bel nuovo assicurata che per quanto potesse, contribuirebbe a ciò che niun disturbo si attraversasse a quell'opera. Da ciò provenne che l' Overberg nella sua venuta in Dülmen ai 6 di giugno 1819, potè agevolmente raffermare in coloro che circondavano l'inferma, la convinzione, che la prolungata dimora del Pellegrino e quel suo scrivere eran cose secondo i disegni di Dio. Anna Caterina poi si trovò per quella sentenza talmente consolata, che il Pellegrino fu in grado di notare così: « L'Overberg è ripartito. Essa è talmente esausta di forze, che non può narrar cosa alcuna: quindi ha parlato soltanto del piacere a lei cagionato dalla conferenza coll'Overberg. »
8. Assai più malagevole che nol fosse il ristabilimento della pace esterna, fu per Anna Caterina il far comprendere al Pellegrino medesimo le conseguenze che necessariamente derivavano pel suo contegno e la sua posizione, dalla circostanza del non essere egli sacerdote, e quindi non investito della potenza e della virtù operativa del carattere sacerdotale. Infinite volte vedevasi astretta a ricordargli che la sua missione, quella cioè di ricevere le partecipazioni da lei fatte, potrebbe riuscire a buon fine soltanto, quando egli si sottomettesse, come essa facevalo, a quella sacerdotale autorità che nell'Overberg e nel di lei confessore risiedeva, e che egli di continuo aveva dinanzi agli occhi. Sino nell'epoca del suo primo soggiorno in Dülmen, sovente e con grave serietà essa gli aveva fatto una dichiarazione, che sul principio gli era apparsa molto strana: « Ella non è sacerdote! Ho ardente desiderio di veder l' Overberg, poichè questi ha in sè il sacerdozio che manca a lei! Ella non può aiutarmi, giacchè non è ecclesiastico. Se ella fosse prete, allora mi capirebbe. Corse lungo tempo prima che egli capisse il profondo senso di coteste parole, ed a seconda di quelle dirigesse la propria condotta. Anche negli ultimi due anni della vita di Anna Caterina dovette notare nel suo Diario avvertimenti di simil natura, accompagnandoli con la seguente esclamazione: E dov'è dunque il prete che l'abbia mai intesa? Molti hanno inteso il rimprovero: Se ella fosse ecclesiastico mi capirebbe, e così mi verrebbero risparmiate molte pene: - ma niuno l'ha mai capito! » Alla fine riuscì alla di lei sovrumana pazienza il frenare quell' ardente spirito, tanto restio ed incapace di contenersi, ed il mantenerlo nei limiti fissati dall'autorità e dall'ubbidienza alla autorità dovuta, in modo tale che potè compire la sua missione con ricco frutto di benedizioni per gli altri ed anche per l'anima sua. Egli che in doni naturali, in cognizioni ed in esperienza infinitamente sorpassava il semplice Limberg, si vide impotente, senza la di lui assistenza e senza il suo sacerdotale comando ad Anna Caterina, ad ottenere dalla medesima nemmeno una sola parola; e doveva conoscere ogni giorno che essa attingeva volontà e forza a partecipare le sue mirabili visioni unicamente dalla potenza sacerdotale del Limberg, e non già dai suoi inquieti desiderii o dalle ardenti sue suppliche. Per quanto anco allora si sentisse giustificato nei suoi appassionati lamenti contro il Limberg, quasi questi fosse affatto fuori di stato di giudicare dei doni della sua figlia spirituale, non poteva per altro nell'animo suo negare che cotesto semplice e non dotto prete, nella forza della viva sua fede e nella semplicità del suo cuore, valeva immensamente più in pro di Anna Caterina, di quel che non valessero tutte le sue cure; dimodochè sentiva benissimo quanto dovesse da sè rimuoveree quanto gli restasse da guadagnare, per pervenire a comprendere a fondo tanto la missione di lei, quanto la propria. È veramente meraviglioso lo scorgere con quanta sapienza Anna Caterina aiutasse in ciò il Pellegrino, e con quanta perseveranza in lui combattesse le più pericolose qualità del di lui carattere, sino al punto di ottenere a poco a poco un total cambiamento nella tendenza del suo spirito. Essa suoleva prepararlo a quelle esortazioni, che solo per comando impostole dall'invisibil sua Guida, credeva dovergli esser utili, affinchè con cuore volonteroso e senza tenata giustificazione egli le accogliesse; ma per lo più parlava alla di lui coscienza in quadri e meravigliose similitudini, ovvero in massime e racconti morali, che rapivano cotest'uomo di spirito tanto arguto, ed involontariamente lo adducevano a farne profitto.Siccome egli, esempi grazia, lasciavasi disturbar gravemente nell'animo da qualsiasi impressione che offendesse l'alto suo senso del bello, così Anna Caterina gli dette l'avvertimento seguente: Può agevolmente avvenire il sentirsi scandalizzati nel l'assistere ad una Messa solenne malamente cantata, o per la disarmonia di un organo mal suonato, mentre al contrario altri ne rimangono edificati. Ma contro simili scandali devesi lottare coll'aiuto della preghiera. Colui che resiste nel proprio animo allo scandalo cagionato da negligenza avvenuto in chiesa, acquista un gran merito ed accumula in suo pro una grazia, purtroppo spesso non curata e dilapidata. Quanto poi alla semplicità della fede, essa gliela raccomandava con le seguenti parole: « Colui che pretende convincersi della verità da per sè stesso non coll'aiuto della grazia di Dio, potrà bensì restare tenacemente attaccato alla propria opinione, ma non potrà mai essere penetrato dal lume della verità. »
9. Alcune settimane dopo il di lui arrivo, Anna Caterina gli confidò quanto segue: « In ogni sera mi vien rammentato di fare la tale o tal altra meditazione, e così mi avvenne iersera. Ho avuto durante la notte un avvertimento circa me stessa, e specialmente molto mi è stato detto circa il Pellegrino. È d'uopo che molte e molte cose vengano in lui migliorate: e mi è stato detto come, grazie al nostro commercio, potrà a lui venirne miglioramente e maggior lume, e crescere in utilità. Siccome poi rifletteva nell'animo circa il mio contegno col Pellegrino e sul come meglio soddisfare alla di lui missione ed anco alla mia, e sul miglior modo di far riccamente fruttificare le grandi comunicazioni che debbo fargli: mi fu risposto che dobbiamo reciprocamente aver pazienza nei dolori che ancora ci sopravverranno, e che il Pellegrino deve comunicarsi secondo la mia intenzione, giacchè ne deriverà maggior -unione spirituale. Fa quel che tu puoi, mi fu detto, e del resto lasciane la cura al Pellegrino; molte persone poi desiderano ardentemente nell'intimo del cuore di parlar teco, e quando l'occasione si presenti che possano farlo, esamina in te stessa se ciò possa loro giovare.... Devi pregare acciò il Pellegrino si decida ad esser umile e paziente. Dee vincere la propria ostinazione, e tu devi insistere che ciò avvenga sul serio. Guardati dal cedere a belle parole per falsa condiscendenza. Opponi resistenza ed insisti fortemente a che il Pellegrino si decida. Tu sei troppo bene vola: la benignità fu sempre il tuo difetto. Non devi mai lasciarti indurre a riconoscere per buono ciò che trovi esser difettoso.
« La mia Guida celeste mi disse altresì che sicuramente mi verrebbero ancora addosso molti guai, ma che per altro non doveva spaventarmi, e piuttosto senza inquietudine alcuna aspettarli nel nome di Dio. Ebbi pure molti rimproveri circa le mie colpe; quel mio tacere di molte cose per mal diretta umiltà, non è altro che un orgoglio segreto. Io debbo ricever le cose e darle, come faceva da bambina quando riceveva molto più che non adesso. Debbo dire senza timidezza alcuna quanto ho taciuto, tostochè mi si ripresenti alla mente. Anche col confessore debbo francamente lamentarmi di tutto ciò che mi opprime quando anche sembrasse non volermi ascoltare; debbo pregarlo ad ascoltarmi, e con ciò otterrò aiuto ben più sovente. La mia Guida mi rimproverò inoltre la troppo grande condiscendenza verso di molti, e che con ciò trascurassi l'adempimento dei miei doveri nell'orazione e verso altri. Essere appieno inesatto allorchè così mi esprimo: ecco, giaccio qui, nè posso fare cosa alcuna! Sapere egli bene che io volentieri mi trascinerei a sera, inviluppata nel mio mantello, a distribuire elemosine, e che mi rammaricava di non poterlo fare, perchè volentieri l'avrei fatto; ma ciò poche il Signore m'imponeva non era interamente di mio gusto. Debbo pensare ch'io non giaccio inutilmente su questo letto; debbo operare con l'orazione e manifestare tutto ciò che mi è stato concesso. Mi disse che presto avrei da raccontare cosa che mi riuscirebbe ben più grave parrarla; ma dovrei pur dirla. Fiera tempesta ne minaccia; il cielo si ottenebra orrendamente. Pochi sono che pregano quaggiù, e le necessità son grandi; gli ordini ecclesiastici sempre più vanno in decadimento; debbo dire a tutti i buoni che preghino con tutto il cuore. Mi disse pure che io doveva accingermi con tranquillità e coraggio scontrare i guai che mi si avvicinano; altrimenti potrebbero repentinamente farmi morire; ma siccome l'opera mia non è per anco compiuta, quando per mia negligenza venissi a morire più presto, dovrei sopportare il resto di quei dolori in purgatorio; e costà sono assai più amari che quaggiù nol sieno. »
10. Anna Caterina cercava inoltre di animare il Pellegrino, coll'additargli i frutti di benedizione che vedeva sbocciare dalle sue fatiche e lavori. Così, poco dopo il di lui ritorno, gli raccontò una visione che ella aveva avuta sotto l'immagine simbolica di un giardino, intorno alle azioni ed opere dei primi tempi della sua vita, come pure circa la sua missione attuale, e quindi anche allo adempimento della medesima, che avverrebbe soltanto dopo la sua morte. Quand'egli notò scrivendo cotesta partecipazione, non poteva al certo presentire l'estensione e la pienezza di tutte le correlazioni di cotesto quadro profetico; ed è per ciò che quanto ne ha notato ne risulta sempre più degno di fede.
Ho veduto il Pellegrino andarsene dolente e solo verso la sua stanza. Non poteva accingersi ad intraprendere cosa alcuna; lasciava tutto posare in abbandono; tutto era deserto intorno a lui. Lo avrei sì volentieri aiutato, sì di buon grado avrei lavorato e ripulito; ma non poteva a lui approssimarmi; non poteva aiutarlo. Allora ebbi dinanzi a me l'immagine di un giardino. Era cotesto un gran giardino frammezzato da una siepe, per disopra la quale gli uomini guardavano attorno, e che volentieri avrebber voluto sormontare, ma nol potevano. La mia Guida ed io andavamo per una di quelle due parti. Tutto costà era smisuratamente pieno di bella e florida vegetazione. Tutto vi era lussureggiante, verde e folto; ma eranvi puranco cresciute molte cattive erbe e maligne; fra gli altri vegetabili riconobbi fave e piselli. Vi crescevano pure in gran copia fiori ed arbusti, ma non vi si scorgeva frutto di sorta alcuna. Fra cotesti arbusti, che solo lussureggiavano in rami ed in foglie, vidi alcuni individui aggirarsi con compiacenza.
« Quand'io con la mia Guida ebbi percorso per la prima volta il sentiero che trascorre per quei fertili campi, mi disse: - Vedi come qui sono le cose, non vi si veggono che rari e bei fiori, ma infruttuosi; lussuriosa vegetazione, ma senza raccolta; apparente pienezza e vuota realtà! Ah, diss'io, deve adunque tanta fatica andar perduta! No, mi rispose, non appieno perduta. Tutto ciò verrà messo sossopra, e sepolto nel profondo, e ciò diverrà buon concime. E di questo io risentii ad un tempo gioia e compassione.
«Quando vi ripassammo per la seconda volta, trovammo in mezzo alla via una capannuccia formata da noci assiepate, e ricoperta tutta da gran folla di api. I noci che là scorgevansi erano i soli frutti di quel giardino. Apparivan per altro siccome arbusti mal cresciuti e nani. Più lungi assai di là vedevansi due alberi; l'uno era un melo, l'altro un ciliegio; anche costà eranvi persone, che diligentemente raccoglievano; del resto quel luogo era affatto deserto.
« La mia Guida disse: - Vedi tu? Il confessore deve raccogliere coteste noci e deve prendere esempio da costoro che laggiù raccolgono. Ma il confessore ebbe tema di venir punto dalle api, ed io pensai che precisamente perchè egli temeva, verrebbe punto; se egli si fosse inoltrato nella sua innocenza e con franchezza, quei cari animaletti non gli avrebber fatto alcun male. Egli non raccolse, non guardò nemmeno una sol volta i frutti, e corse errando da un arbusto all'altro.
« Quando colla mia Guida passai per la terza volta per quella via, tutti quei vegetabili sempre più mostravansi ricchi e lussureggianti. Vidi peraltro con molta mia gioia che il Pellegrino stavasi intento a raccogliere presso alcune maravigliose piante situate all'angolo delle aiuole e quasi oppresse dall'ombra, ma che pur portavano maggior copia di frutti. Mi rallegrai molto nel veder il Pellegrino così occupato.
« Tornai di nuovo nel giardino; il suolo era ricco e fertile, ma a forza di lussureggiare tutto inclinava già alla putrefazione; allora quella vegetazione fu tosto strappata dal suolo, calpestata e sepolta nel profondo, e vidi il Pellegrino con infiniti sforzi scavare e lavorare.
« Quand'io ritornai di bel nuovo nel giardino, lo trovai interamente lavorato e in nuova forma disposto. Il Pellegrino piantava con ordine nelle aiuole le pianticelle le une accanto alle altre; e quella vista mi cagionava molto piacere. Vidi poi il Pellegrino lasciare il giardino, e vidi molte persone a me cognite, senza però che ne sapessi il nome, penetrar colà dentro. Coteste persone si misero a cadermi in orribil modo sulle povere spalle, ed a ingiuriarmi e deridermi oltre ogni misura. Non mi dettero nè tregua nè pace nel riproverarmi la mia intimità e domestichezza col Pellegrino, e mi rinfacciarono che al certo da questo nostro commercio ne avrebbe origine una nuova setta; e poi mi domandavano che dunque potessero mai pensare di me! Cotesti loro insulti e ciarle orgogliose non avevan mai fine. Io lasciai tranquillamente cader sopra di me cotesta burrasca e rimasi nel più profondo silenzio. Nell'istessa guisa oltraggiavano costoro anche il Pellegrino. Mi sembrava come se egli non fosse lontano, od udisse coteste ingiurie. Mi rallegrava nell'animo di esser riuscita a sopportare con siffatta pazienza coteste villanie, e sempre esclamava: Sien rese grazie a Dio! Dio sia lodato del che io posso tutto ciò sopportare; altri forse nol potrebbe. Dipoi andai verso un vicino boschetto ad assidermi sopra una pietra.
« Standomi costà, vidi venire un ecclesiastico; era uomo abile, vivace, di una natura simile al Priore, forte, e di fresco e sano aspetto. Cotesto ecclesiastico si fece le meraviglie nel vedere che io aveva sopportato tutte coteste ingiurie senza opporre alcuna difesa. Divenne pensoso ed attento e disse: Questa povera donna sopportò tutto con sì gran tranquillità; eppure essa è intelligente ed onesta! Quanto ha fatto il Pellegrino deve esser ben di verso da quel che c'immaginiamo. Anche il confessore è un bravo uomo, che non sopporterebbe cose simili, ove non fossero buone e rette. - Tostochè cotesto sconosciuto ecclesiastico prese a parlar così in favore del Pellegrino, quel tumulto di grida ingiuriose cominciò a sperdersi. Vidi poi la diligenza del Pellegrino e come le piante divenissero più grandi e più belle.
« Allora dissemi la mia Guida: - Comprendi questo sensibile ammonimento. Cotesti insulti, cotesti scherniti cadranno realmente addosso. Preparati. Per un certo determinato tempo potrai menare vita tranquilla insieme col Pellegrino; ed è perciò che non devi trascurare quel tempo concesso, nè lasciar che si sperdano cotante grazie; poichè a quel tempo succederà ben presto il tuo fine. Tutto ciò poi che il Pellegrino avrà raccolto, sel porterà seco lontano, chè questo non è suolo adatto a riceverlo. Produrrà per altro altrove buoni effetti, e di là la benefica influenza giungerà anche in questi luoghi. »
11. Come soltanto a poco a poco il Pellegrino pervenisse a penetrare chiaramente il senso di cotesta visione, lo dimostrano i lamenti da lui sì spesso ripetuti circa quel tempo tranquillo predetto, che non veniva mai; giacchè egli intendeva coteste parole nel senso di una quiete scevra da esterni disturbi, mentre invece si riferivano a quell'interno raccoglimento e quiete di spirito, per la cui virtù poteva soltanto divenir capace di comprendere la partecipazione delle di lei visioni intorno agli anni della predicazion del divin Salvatore. Prima per altro che giungesse cotesta epoca, trascorsero più di dodici mesi, poichè soltanto al cominciar di Luglio del 1820 venne il momento in cui Anna Caterina, per comando della di lei Guida celeste, potè dar cominciamento alle sue rivelazioni sopra cotesto soggetto. È ben vero che il Pellegrino aveva sin lalora già molto piantato e con grave cura lavorato; ma pure di tutti cotesti lavori eravi gran parte, che più tardi doveva di sua propria mano svellere e nel profondo sotterrare. Egli era sul bel principio ancor sì gonfio di sè stesso, sì tenace delle proprie opinioni e degli abituali suoi modi di vedere; la sua immaginazione era talmente attiva e sbrigliata, che gli sarebbe stato impossibile senza l'aggiunta d'interpretazioni tutte sue proprie, senza miscuglio e disordine, lo scrivere quelle rivelazioni precisamente con tutta quella semplicità, con cui Anna Caterina suoleva a lui parteciparle. Non di rado egli si ostinava con tanta sicurezza e fermezza nelle sue proprie immaginarie interpretazioni, che non riusciva punto agevole lo indurlo ad ascoltare e por mente a contrarii avvisi; e ciò principalmente avveniva nel prender nota di tutti quei lavori spirituali di orazione in pro della Chiesa, che durante tutto il primo anno formarono il principale subbietto delle partecipazioni dell'inferma. Per quanto spesso gli venisse ripetuto che Anna Caterina aveva implorato da Dio la grazia di non conoscere il nome di quelle persone e di quegli ordini ecclesiastici, in pro dei quali doveva pregare e soffrire; nondimeno ei si lasciava difficilmente trattenere dal notare sotto le generali indicazioni di sposa, sposo, pastore e simili, menzionate nei quadri simbolici che gli venivan narrati, i precisi nomi di persone delle quali egli era più specialmente preoccupato, ed a cui nell'opinione sua doveva necessariamente riferirsi tutto ciò che Anna Caterine raccontava delle proprie visioni. Quindi avvenne che egli adducesse in coteste visioni certe relazioni e significati, che in realtà non avevano, e più tardi, comprendendone più profondamente il vero senso, dovette molte e molte cose siccome inservibili, cancellare dai proprii Diarii. Fu soltanto dopochè nell'intimo animo suo era divenuto più semplice e`pacato, che egli non potè più nascondere al proprio intendimento, quanto l'ardito volo della sua fantasia rimanesse addietro di quella pura luce, in cui la eletta Veggente scorgeva quelle visioni; ed allora altresì niuna fatica gli apparve troppo grande o costosa, e così potè con ogni maggior possibile scrupolosa esattezza notare tutto ciò che scaturendo da quella superna luce, venivagli manifestato.
12. Ciò che soprattutto produce nell'animo una speciale impressione, umiliante per l'orgoglio umano derivato da naturali qualità e prerogative dello spirito, sì è il contemplare quell'uomo dotato di sì alto genio, quel poeta cotanto ammirato, nella sua situazione presso quella povera ed inferma monaca. Oh! quanto mai diversa ed infinitamente più alta è quell'atmosfera, nella quale vive costei, di quella in cui spira il Pellegrino e con lui gli altri figli degli uomini, resi sì capricciosi ed incostanti dal peso delle proprie inclinazioni ed affetti! Il di lei distaccamento dalle creature praticato sino dai primi anni della gioventù, i suoi patimenti infiniti, ma sopportati colla più alta pazienza, avevano in lei prodotta una tal libertà di cuore, le avevano infuso una tal chiarezza e forza di spirito, che rendendola inaccessibile ad ogni influenza di bassa natura, facevanla sempre più degna di venire invasa e ripiena dalla luce di profezia. E quindi deriva che può bensì il Pellegrino così di volo turbarla, cagionarle inquietudini e distrazioni; ma il di lei interno, le di lei visioni rimangon sempre come un terreno per lui inaccessibile; nè può darsi più male fondata obiezione, nè più contraria al vero stato delle cose, di quella che la pretesa azione involontaria della possente sua personalità abbia essercitato una specie di potenza magnetica sopra Anna Caterina, e che egli abbia da lei ricavato e trascritto ciò soltanto, che anticipatamente egli stesso le aveva ispirato ed infuso. Egli aveva sopra di lei la stessa impotenza di quella di qualsiasi altro uomo, che non appartenendo all'ordine sacerdotale, non le raffigurava in modo alcuno un rappresentante di Dio; e sopportava la di lui vicinanza precisamente come quella di un infermo o di un necessitoso, che Iddio le aveva inviato affindi guarirlo e di illuminarlo per di lei mezzo, e per compire la missione a lei imposta. Quindi il Pellegrino dal primo sino all'ultimo giorno apparisce come colui che riceve, cui viene elargito alcun dono, che è diretto e guidato; ed essa apparisce siccome guida e donatrice; cioè, siccome strumento della sapienza e misericordia di Dio, per di cui opera uno dei più luminosi spiriti del secolo doveva essere sottratto agli errori di quell'epoca, all'abuso del suo talento, e guadagnato a maggior onoranza del santissimo Nome di Gesù.
Non si può finalmente passare sotto silenzio un tratto del carattere del Pellegrino, che appoggiato da molteplici testimonianze,serve mirabilmente a constatare viepiù l'unica meravigliosa purità, e la magnanimità di Anna Caterina, ed anche la schietta lealtà e purezza di coloro che la circondavano. Niuno possedeva al certo occhio più acuto di quello del Pellegrino per osservare le debolezze e le mancanze dei prossimi, e spesso con lagrime del più amaro pentimento egli lagnavasi di cotesta sua terribile prerogativa e dei suoi risultamenti. Al suo arrivo in Dülmen era così poco padrone di sè stesso, che per lui il passaggio dalla più ardente ammirazione al più grossolano dispregio di una medesima persona, era cosa di un sol momento.
Mostravasi pel più inesorabile ed irritabile osservatore che avesse mai potuto venire in prossimità della inferma e del suo piccolo numero di circostanti, poichè ei si attaccava ad ogni minima ombra, che il suo sempre vivo sospetto gli facesse scoprire. Il suo entusiasmo sì ardente al principio, si estinse in un coll'incanto della novità; e quindi guai alla inferma quand'egli avesse potuto anche una sol volta scorgere in lei la minima apparenza di cosa dubbia o sospetta! Egli l'avrebbe con inesorabile durezza condannata. Rare volte trascorse un'intera settimana sino alla di lei morte, senza che egli riempisse i suoi Diari di infinite querimonie, giacchè vi si trova notato ogni passo, ogni parola, ogni gesto del confessore, con infinita prolissità, accompagnata dalle più severe critiche; e nondimeno non potè mai il Pellegrino apporgli altra mancanza, fuor quella che cotesto buon padre mostrava di curarsi ben poco di tutte le scritture e note del Pellegrino, e che gli sarebbe stato assai più caro se la sua figlia spirituale non avesse mai avuto visioni, nè le fosse mai stato imposto il dovere di manifestarle; e che il più delle volte corrispondeva colla più fredda indifferenza ai rapimenti estatici del Pellelegrino circa qualche importante manifestazione della inferma. Ed anche Anna Caterina è trattata in quei fogli in con simile guisa. Ogni sua parola di consolazione ai poveri ed agli afflitti, ogni visibil segno di benevolo ed amichevole interesse con cui ascoltava i bisogni, le preghiere, i lamenti di coloro che la visitavano, e sforzavasi a corrispondervi, ogni apparenza di stanchezza, ogni minimo di lei lamento vien notato a di lei carico siccome una infedeltà commessa contro la sua missione, come una prodiga dilapidazione delle divine grazie, come un furto commesso contro il Pellegrino, il quale sicuramente ben di rado confessa quanta e come grave pena cagionasse alla povera inferma, e quanto le costasse il contentare ed acchetare la di lui smania irrequieta. Quando poi sopraffatto dalla incomparabile dolcezza della paziente monaca, la riconosce e l'ammira, è allora quasi involontariamente forzato a renderle questa testimonianza: « Ella è piena di bontà e di pazienza, ed è il più maraviglioso vaso della grazia del Signore. »
(1) Clemente Brentano.
È ben vero che tanto il confessore, quanto l'abate Lambert ed il Wesener avrebbero di buon grado veduto il Pellegrino allontanarsi per sempre. Il confessore aveva fatta troppo grande esperienza durante quattro mesi e mezzo, per non sapere anticipatamente, malgrado tutte le assicurazioni del Pellegrino, ciò che in seguito potrebbe succedere; ma pure ogni qualunque siasi considerazione o riguardo doveva tacere dinanzi alla ferma convinzione, che Anna Caterina aveva d'uopo del Pellegrino, onde col di lui aiuto compire la di lei missione. Del come poi a lei stessa divenuto fosse difficile l'accordare il ritorno al Pellegrino, e di quanto ella avrebbe a soffrire sino a quel momento, costui non ne aveva il minimo presentimento. Quantunque non potesse nascondere a sè medesimo che la sua prossimità, le molteplici dimande e le appassionate manifestazioni della impaziente sua curiosità di sapere, non di rado avesser cagionato alla inferma i più penosi disturbi e faticosissimi sforzi, pur nondimeno tutte coteste impressioni eransi ben presto dall' animo suo dileguate. Sino dai 24 dicembre 1818 aveva così notato nel suo Giornale: L'ho trovata questa mattina molto spossata. Per tutta la notte ella aveva tagliate e cucite molte vesticciuole per bambini. Ed ecco che le sopravvenne tutto il mio diluvio di domande, che ha sopportato con inenarrabile pazienza. Aveva sembianza di essere affatto stanca e ad un tempo infiammata, e mi rispondeva soltanto a gran stento; anzi più tardi mi domandò se non avesse a caso così esausta come era e di mente svanita, ripetuto per ben due volte le stesse cose. Io non aveva dapprima rimarcato cotesto grande rilassamento di forze; ma pure lo aveva notato abbastanza per esser mosso a domandarle sempre perdono e pazienza ad ogni interrogazione che le dirigeva; ma essa rispondevami: Ciò non fa nulla! » — Disgraziatamente di tutta cotesta descrizione, il Pellegrino notato aveva soltanto nell'animo questo senso: Ciò non le fa nulla! Ogniqualvolta Anna Caterina provavasi ad ammansare cotest'uomo sì facilmente irritabile ed ancora appieno incapace di frenare i suoi affetti, e che in men di un momento poteva passare dalla più serena disposizione di spirito alla più cupa melanconia ed ai lamenti del più profondo dolore; quando, diciamo, tentava raddolcirlo con parole come queste: « Mai sinora ho usata tanta confidenza verso alcuno, quanta ne uso verso di lei; mai sinora ho manifestato me stessa ad altri, siccome l'ho fatto con lei; ma mi è stato comandato di fare così; » ecco che tosto il Pellegrino sentivasi purtroppo facilmente mosso ad attribuire cotesta confidenza alla benefica azione del suo famigliare commercio con lei, ed a raffermarsi vieppiù nella convinzione esser lui, siccome quegli che solo era in grado di comprenderla, autorizzato con pieno diritto ad allontanare dalla prossimità della inferma, per quanto era possibile, tutti i disturbatori; vale a dire ogni altra persona. Appena erasi egli da poche settimane di bel nuovo stabilito in Berlino, che già non sentivasi in grado di sopportare una più lunga separazione da Dülmen, d'onde era partito ai 19 gennaio 1819: ed anzi prendeva disposizioni per poter di bel nuovo, tostochè ciò gli riuscisse possibile, colà stabilirsi. La notizia di cotesto suo proponimento manifestato con lettera, produsse sull'animo dell'abate Lambert una indescrivibile impressione. Egli piangendo scongiurò la inferma ad impedire il ritorno di quel non invitato ospite. Non riuscì per altro Anna Caterina nel tranquillare quel buon vecchio, d'altronde sì benevolo e timido, giacchè anche il Wesener venne in aiuto alle di lui preghiere. Ambidue credevano poter contare soltanto sopra una durata ancora ben corta della vita della inferma: quindi non volevan consentire a verun prezzo a lasciarsi rapire quei pochi fuggitivi momenti di consolazione, che godevano nel loro commercio con Anna Caterina, dall'intromettersi di un importuno, la di cui superiorità di spirito li opprimeva, e che continuamente faceva loro sentire non esser eglino capaci nemmeno di comprendere la missione ed il valore morale di quella donna sì ricolma di grazie.
2. Ma erano inoltre sopravvenuti avvenimenti, che avevano aumentato al più alto grado le cure dell'angustiato vecchio, e tali da far presagire che i tormenti di un nuovo esame inquisitorio potessero rinnovarsi per la inferma e per lui. Il ritorno del Pellegrino minacciava di rendere cotesti tormenti affatto intollerabili almeno per lui. Non solamente era il Pellegrino ormai un oggetto di curiosa attenzione nella contrada di Münster, ma inoltre la libera franchezza dei di lui discorsi scevri sempre di ogni riguardo, era agli occhi di molti cagione di malevolenza e di sospetto. Nella stessa cittaduzza di Dülmen tutto il di lui contegno appariva siccome insolito, anzi misterioso: giacchè niuno poteva capire come cotesto forestiero potesse ottenere sì frequente accesso alla inferma. Non deve quindi destar meraviglia che i pareri e le sentenze le più diverse e contraddittorie andassero in giro sul conto suo. Per altro la di lui beneficenza verso i poveri, la sua pietà, e la rara semplicità del suo modo di vivere, avevan fatto tacere molte censure. Nè senza fondamento temeva l'abate Lambert una nuova inquisizione, giacchè per causa dello stesso Pellegrino correva in Münster il romore di un cangiamento nelle effusioni sanguigne delle stimate della inferma, sopravvenuto sin dal S. Natale 1818. Ai 6 di decembre Anna Caterina, essendo in estasi, aveva così parlato: La mia Guida celeste mi ha detto: Se tu vuoi perder le stimate, tu ne avrai, invece di quelle, ben più gravi pene. Dillo al tuo confessore e fa quel che egli vorrà. - Ah, piuttosto, ho replicato, voglio maggiori pene, che aver queste ferite! Son così timida e mi vergogno tanto!»
Sin dal 23 decembre potè i Wesener riempire un'assai grande lacuna nei suoi Diarii con le seguenti parole:
« Sin dal fine di ottobre quotidianamente ho visitato la inferma, senza per altro scontrare veruna notabile alterazione o nuova manifestazione nella di lei fisica esistenza. Sul cominciare di novembre l'abbiamo cambiata di stanza e la portammo nella contigua piccola cameruzza. Siccome in cotesta occasione ebbe luogo necessariamente molto strepito, ci convincemmo di bel nuovo della debolezza ed irritabilità de' suoi nervi, poichè ella mostrossi come assordata da tutto quel romore, fu costretta a vomitare, e circa quattordici giorni passarono, prima che alquanto si riavesse. Le effusioni sanguigne delle mani e dei piedi seguitarono nella consueta forma in tutti i venerdì, ed anche il capo continuò a grondare sempre sangue. » Ma sin dal venerdì 25 decembre dovè poi scriver così: « Oggi giorno di Natale, la testa, la croce del petto, e la ferita del costato effusero sangue in maggior copia di quello che fosse avvenuto da lungo tempo; ma con tutto ciò le stimate delle mani e dei piedi rimasero in tutta la loro circonferenza secche ed asciutte; le croste superiori ne apparivano di un color bruno chiaro.
28 decembre. Oggi le croste delle ferite delle mani e dei piedi sono cadute. Sulla pelle della superficie esterna delle mani e dei piedi scorgesi un punto piuttosto lungo e trasparente; nella superficie interna poi sentesi nella prossimità delle stimate una profondità piccola; ma piuttosto lunga. Col cader delle croste non sono peraltro in verun modo spariti i dolori, ma sembrano piuttosto essersi accresciuti.
Venerdì 1 gennaio. Il capo e la ferita del costato effondono sangue secondo il consueto. Le ferite delle mani e dei piedi rimangono asciutte.
« Venerdì Santo 9 aprile. L'inferma è stata per tutta la settimana in patimenti inenarrabili. Ha sofferto gravissimi dolori nelle ferite. A ciò si è aggiunta una bronchite con tosse e dolori di gola e di petto. Le ferite delle mani e dei piedi si sono in quest'oggi di bel nuovo aperte. Questa mattina circa le ore dieci le ho trovate che versavan sangue. L'inferma me le mostrò con turbamento e mi supplicò di tenere nascosto questo fatto..... Nel susseguente venerdì rimasero poi coteste ferite delle mani e dei piedi di bel nuovo chiuse siccome dopo il Natale. » L'inquietudine dell'inferma era pur troppo ben fundata; giacchè appena si diffuse in Münster la fama della cessazione delle effusioni sanguigne nelle stimate delle mani e dei piedi, che ciò fornì desiderato pretesto alla Polizia prussiana di porre in pratica il progetto già da lungo tempo concepito, d'impossessarsi della povera paziente.
Sino dal 18 Febbraio dovette il Wesener così notare: « Quest' oggi l'inferma mi ha fatto pregare di passar da lei per udire il mio consiglio intorno alla missione di due individui, cioè il signor medico di circondario dottor Rave di Ramsdorf, ed il vicario Rosèri, i quali per segreto incarico del Presidente supremo di Vinke, eran venuti ad esaminare lo stato attuale della inferma. Pregai Anna Caterina ad ammettere cotesti individui, e così avvenne. Nel dopo pranzo costoro visitarono anche me e mi interrogarono circa le effusioni sanguigne. Venerdì 19 febbraio. Cotesti due individui hanno per tutta la mattina oppresso la povera inferma con domande, per risaper da lei di bel nuovo tutto ciò, che da lungo tempo generalmente è conosciuto, anzi pubblicato con le stampe. Invece poi di aspettare il momento della effusione sanguigna, son di nuovo partiti verso il mezzogiorno. Circa le tre pomeridiane la croce del petto e la testa effusero sangue, ma non così la piaga del costato. Gli involucri della testa così macchiati di sangue li ho mandati per mezzo del P. Limberg al signor Overberg, dopo averli mostrati al borgomastro Möllmann. Il Rosèri appartiene al numero dei così detti illuminati (1), ma pure è partito con disposizioni d'animo diverse da quelle con cui era venuto. Parve come se Iddio gli avesse toccato il cuore (2). Il medico è uomo del bel mondo, una seconda copia del Bodde; gli si scorgeva propriamente negli occhi la smania di scoprire un inganno. Ha sospettato di me fuor d'ogni misura perchè non aveva conservato le croste distaccatesi dalle stimate delle mani e dei piedi. Gli risposi che quando si aveva il granello, si lasciava cadere non curandola la pula. Dal momento ch'io aveva osservato cose ben più altamente mirabili nell' inferma, le circostanze esterne di lei mi avevan destato interesse molto minore. Ei non aveva il minimo senso morale per comprendere di tutto ciò nemmen la più piccola cosa.
(1) Da una lettera del Wesener al Pellegrino.
(2) In questo il buono e non sospettoso Wesener erasi a gran partito ingannato, come lo dimostrerà il seguito ulteriore degli avvenimenti. L'inferma aveva avuto circa cotesto individuo ed altri, che pure avevan parte in quell' affare, una visione di ammonimento e di avvertenza; ed a tal proposito narrò quanto segue: Vidi il Rave pieno zeppo di malizia e lo intesi parlare contro il proprio convincimento e calunniarmi, per così piacere al governo dell'Aquila (governo Prussiano). Io credeva che il Rosèri fosse cambiato, ma era piuttosto falso e simulato nell'intimo dell'animo suo, e talvolta anche parlava con simulazione. Mentre io andava pensando entro di me come mai un prete simile potesse giovare ai fedeli, mi sentii rispondere: Egli giova ai fedeli così poco, quanto poco giova la Bibbia agli eretici. Egli non ha in sè benedizione alcuna, ma può per altro far parte agli altri di quelle che ha in sè la Chiesa, quantunque egli non ne partecipi nè punto nè poco. Ho visto il dominio dell'Aquila stare in cattive condizioni in questo paese. Il Presidente supremo pensa bene ed ha un nobil cuore, ma è circondato da una cattiva marmaglia. Se egli venisse in persona a vedermi, non sarei punto inquieta del come convincere della verità il retto animo suo. ›
« Già da pochi giorni l'abate Lambert aveva dovuto consegnare al borgomastro le carte che constatavano la sua origine e il suo stato. L'ordine di esigere da lui cotesti documenti era venuto direttamente dal Presidente supremo, e cotest'ordine conteneva le seguenti espressioni; - Ho risaputo che si ritrova costà in Dülmen un ecclesiastico francese emigrato, del cognome di Lambert e di dubbio carattere..... ? Ognuno può immaginarsi come casi di questo genere conturbino la povera e debole in ferma, ed il pacifico Lambert. Ecco che di bel nuovo tutto il paese è inondato di ciarle e di calunnie contro di lei. Ma essa fermamente confida nella misericordia di Dio, e noi ci consoliamo nel sapere di soffrire per amor di Gesù Cristo e del vero. »
3. Siccome il dottor Rave oltre il Protocollo ufficiale, aveva concepito uno scritto privato diverso da quel Protocollo e molto svantaggioso alla inferma, e per di più lo aveva fatto circolare ( 1), e cotesto scritto, in piena armonia con le antiche accuse del Bodde, minacciava di eccitare una tempesta; così il Wesener venne in pensiero di porsi avanti come campione dell'innocenza col mezzo di pubbliche dichiarazioni e di una memoria atta all'uopo, stampata, e diretta al supremo Presidente in Münster.
(1) I consigliere provinciale Bönninghausen, di cui presto parleremo più a lungo, dichiarò a tal proposito: Il Dottor Rave oltre il suo Protocollo è autore di una lettera privata diretta al Sig. Bouges in Münster, nel quale scritto egli partecipava il suo modo di vedere particolare in modo alquanto più libero.
Ma Anna Caterina opponendosi ai di lui progetti, egli si di resse all'Overberg, onde averne all'uopo consiglio. Costui gli rispose: « Oh! come e da quanto lungo tempo arden temente io desidero visitar di bel nuovo i miei cari di Dülmen, fra i quali V. S. non è sicuramente l'ultimo! ma sembra che il Signore nol voglia peranco, poichè o mi ammalo o mi sopravviene qualsiasi altro impedimento. Di buon grado io vorrei svilupparle i motivi, pe' quali non posso consigliare una memoria diretta al Presidente supremo, ma differisco il farlo sino al momento che potremo conferirne a viva voce. Così pure non saprei consigliare le pubblicità delle gazzette per la dichiarazione che ella mi ha partecipata. Ogni risposta è una sorta di pagamento. Non devesi pagare a peso quasi uguale con oro raffinato il piombo, o ciò che vale meno del piombo. Inoltre sta scritto: Non getterai le cose sante ai cani, nè le perle ai porci. Sono ben lungi dal voler paragonare qualunque singolo individuo umano con un cane o con un porco; ma pure debbono esistere uomini che sotto certi aspetti son comparabili a cotesti animali; poichè, se fosse altrimenti, il Salvatore, il Figlio di Dio Onnisciente, non ci avrebbe dato quell'avvertimento che sopra indicai..... Non havvi cosa così consolante, anzi rallegrante, come quella di soffrire per amor di Gesù Cristo alcuno di quei dolori che egli ha sofferti. Ma come mai V. S. concede sì grave peso ed importanza allo scritto del Bodde, sino a riconoscervi dentro profonda offesa? Da ben molti molti io ho invece inteso dire che da cotesto scritto ben più chiaramente appare ciò che è veramente in sè stesso, di quel che possa trovar applauso o riuscir offensivo per l'onore di alcuno! Allorchè il Wesener venne in seguito un'altra volta a parlare dinanzi ad Anna Caterina dei pubblici insulti a lei diretti, e dichiarò nel nome di tutti i di lei amici esser necessaria una difesa; costei rispose con serietà e con un certo turbamento: Ah! buoni amici miei, vi ringrazio tutti quanti per la parte che prendete a questa mia faccenda; ma debbo pur confessare che havvi cosa in voi tutti, dico in voi tutti senza eccezione, cosa che mi turba non poco; e questa è che trattate quest'affare appropriandovelo troppo e con troppo amor proprio, e quindi con amarezza; oltre la difesa della verità volete difendere anche la vostra propria opinione e rivendicare il vostro onore. Voi non combattete soltanto le menzogne, ma altresì le persone che sono a me contrarie. Per farla breve, vi preoccupate anche di voi stessi e non esclusivamente dell'onore di Dio. »
4. Anche il Vicario Generale di Droste ritenne suo dovere il recarsi a Dülmen per accertarsi personalmente dello stato della inferma. Gli erano pervenute all'orecchio ciarle svariate, come se dall'abate Lambert fosse stato negato l'avvicinarsi all'inferma sia al Decano quanto ad alcune monache, e che di più dicevasi avesser luogo trattenimenti serali intorno al di lei letto. Fu peraltro assai agevole per Anna Caterina il dare soddisfacenti risposte alle sue domande. La di lei quasi fanciullesca semplicità scevra d'ogni arte, produsse anche allora sul di lui animo l'antica e dolcemente persuasiva impressione, in modo tale che egli mezzo per ischerzo, mezzo sul serio le disse: « Sono stato severo e di cattivo umore con lei, perchè molte cose mi spiacciono in coloro che la circondano. » Ma essa tosto rispose liberamente: « Ciò mi angustia; pure ella conosce troppo imperfettamente la mia posizione, e non è già possibile il poterla descrivere così soltanto alla sfuggita.Allora il Vicario le indicò quelle cose che più specialmente gli davan noia, come: « L'eterna vicinanza presso di lei del vecchio Lambert, la lunga presenza del Pellegrino, le molte visite, lo starsi precisamente in quella camera e non già in una stanza più interna e di più difficile accesso. »
Ma allorchè essa lo richiese di consiglio e di mezzi onde cambiare coteste circostanze, allontanare quel povero vecchio Lambert, e distorre quelle visite tanto per lei stessa penose, il Vicario Generale medesimo non seppe davvero trovare alcun avviso. Quando poi gli manifestò i progetti del Pellegrino e gli avvertimenti già sì spesso ricevuti da Dio, sul doversi servire di cotesto Pellegrino siccome strumento per la partecipazione delle visioni a lei accordate, aggiungendovi la preghiera che volesse il Vicario Generale, siccome superiore ecclesiastico, decidere sopra codesto punto, egli così si espresse: « Non si può impedire al Pellegrino lo stare presso di lei. » Il Vicario Generale partì soddisfatto, e come Anna Caterina lo raccontò: « Tutto andrà bene. Ci siamo trovati d'accordo: è partito rimanendo nella sua buona opinione. »
5. Così stavan le cose, allorchè la notizia del prossimo ritorno del Pellegrino mise quel piccolo circolo di persone che stava in Dülmen attorno all'inferma, in grave agitazione, ma pur facile a capirsi. Il P. Limberg si rimase silenzioso e lasciò all'ammalata la cura di rappaciare gli animi. Siccome per altro ciò non le riuscì molto facile, essa ebbe ricorso al di lei solo ed ultimo sostegno umano in simili casi, cioè all'Overberg, suo direttore di spirito. Troppe volte essa aveva per lo innanzi sperimentato come tutti di buona voglia si sottomettessero alle di lui decisioni; ed è perciò che sino dagli ultimi giorni della presenza del Pellegrino essa avea sospirato per una visita dell'Overberg, onde per di lui bocca far persuasi coloro che la circondavano, non dipender già nè punto nè poco dal di lei capriccio il ricevere il Pellegino, o l'allontanarlo. L'abate Lambert ed il Wesener lasciavansi, è ben vero, indurre talvolta ad appellarne alla sentenza del venerato Overberg, ma pure nel tempo stesso rivolgevansi anche al Pellegrino per dissuaderlo dai suoi progetti. Mentre costoro scrivevano, Anna Caterina rivolgevasi a Dio conferventi suppliche onde si degnasse conciliare gli animi, ed addurre tutto ciò che più fosse efficace a promuovere l'onor suo e la salute del prossimo.
La lettera dell'abate Lambert al Pellegrino era così concepita: «Signore. Non si sdegni, la prego, con me del che io non possa più oltre riceverla; ma non mi sento ormai più la forza e il coraggio di sopportare per una seconda volta quel tutto che ho sofferto durante l'intero tempo del suo soggiorno fra noi. Da tanti e tanti anni suor Anna Caterina Emmerich ed io abbiamo vissuto nella maggior pace possibile, e così ancora viver vogliamo. Mi riuscì assai duro durante il soggiorno di V. S. il vedermi dalla medesima allontanare ed il non poterle parlare. Non posso concedere, o signore, che ella qui torni di nuovo. No! no, mio caro, no! Ciò che ora scrivo glielo avrei detto prima a voce, se mi avesse voluto ascoltare. Spesso avrei desiderato con lei ragionare intorno a ciò, ma ella non mi concedeva mai la parola. »
Il Wesener accompagnò quella lettera scritta in francese colla seguente aggiunta: « Lo scopo di questo mio scritto è pure quello soltanto di dissuadere V. S. dal di lei progetto di ritorno. Ella ne sorriderà, ma pure la di lei inflessibile volontà non può alla fin fine esser sempre la giusta e sicura guida del suo modo d'agire! Ho descritto all'Overberg il di lei modo di viver qui fra noi ed il suo contegno; la prego di seguire il di lui consiglio! Tutti gli amici della Emmerich, e qui ed in Münster, sono unanimi nella opinione che il di lei ritorno produrrebbe le peggiori conseguenze. Di ciò ella deve ascriverne la colpa a sè stesso. Ella ha espresso in Münster così pubblicamente e duramente la sua opinione circa questo nostro clero e quello di cotesta città, che non v' è più che una sola voce a di lei riguardo, e questa sicuramente non le è favorevole. Siccome niuno ha l'animo di scriverle cotesta cosa, così lo debbo far io. Per forte impulso del cuore debbo dirle che il danno provenuto alla Emmerich dal suo commercio con lei oltrepassa di molto ogni qualsiasi vantaggio. Quindi tutti unanimemente siamo decisi, quando ella pur nondimeno ritornasse, a non permetterle quell'intimo commercio colla Emmerich, in cui pel passato ella era riuscito ad insinuarsi. La Emmerich ama V. S. a cagione del suo doloroso destino e della sua sincera e profonda conversione, ma scorge pure con terrore ed alto turbamento la malattia del di lei animo, e teme la di lei inflessibile disposizione. Essa è fermamente risoluta, ove V. S. qui ritorni, a concederle una sola ora per giorno, e dovrà pure tenersi affatto lontano dal mescolarsi negli affari domestici della inferma. È ben vero che la di lei sorella è un tristo soggetto; ma pure la Emmerich vuol sopportarla, ed è appieno convinta esser cotesta sorella uno strumento nelle mani di Dio per rintuzzare le asperità dell'anima sua e giovarle nel trionfare delle sue debolezze di carattere. Il buon vecchio abate Lambert ha molto sofferto per causa di V. S. quantunque al certo per di lei involontaria colpa, giacchè le sue intenzioni eran buone; soltanto la cosa non va e non può andare come ella se lo immagina. L'Overberg è pure della medesima opinione: lo ecciti, la prego, a manifestarle il suo modo di pensare circa il di lei ritorno. »
6. Il Wesener aveva poi scritto all'Overberg sul conto del Pellegrino nel modo seguente: La nostra cara inferma mi ha invitato a scriverle onde renderle più chiara in certo modo la lettera del signor abate Lambert; ma inoltre mi sento sospinto da impulso mio proprio e dal mio amore per la nostra ammalata a parteciparle alcune notizie circa la sua posizione attuale. Il signor Clemente Brentano venne da V. S. e le narrò mirabili cose della inferma e de' suoi progressi nella vita interna spirituale.
Egli è ben vero che cotest' uomo colla sua generosità e buona compagnia è stato di gran giovamento alla inferma, le ha procacciato alloggio più comodo e maggior quiete, ed ha forse ottenuto pel mondo grandi vantaggi e magnifici godimenti coll'opera delle acute sue osservazioni o ricerche; ma appunto a cagione di ciò la inferma ha quasi interamente perduto ogni pace domestica, anzi di più quel poco di salute e di vita che le restava. Costui è al certo un buon uomo; la sua fede è solida come il ferro; le opere sue son nobili e cristiane, ma il suo genio poetico mal si conviene al semplice andamento di una vita domestica e cittadinesca. L'inferma sa benissimo che il cerchio di coloro che la circondano, non è quale dovrebbe essere.
Essa chiaramente scorge la miseria morale, in cui la sorella trovasi come imprigionata, e ne prova indicibil tormento; ma è altresì fermamente convinta che nè la durezza, nè la violenza son mezzi adatti a migliorarla e a condurla sul retto cammino. Ciò che non può ottenere dalla sorella per le vie dell'amore e della pace, è pronta a sopportarlo con umiltà e con pazienza; ha sopportato anche cotest'uomo, e si è pazientemente taciuta in ogni contrarietà coll'unica vista di giovare a lui e ad altri. Essa vuol dimenticare ogni cagione di lamento ed offrirla a Dio ed al bene del prossimo; ma si spaventa all'idea del suo ritorno. Egli non conosce la via della dolcezza e vuol tutto disporre con prepotenza. La inferma è decisa per altro a non ammetterlo più su cotesto piede ed a non adattarsi più oltre a ciò che piace a lui solo. Ma siccome egli è molto imponente ed intimidisce, e siccome i di lei amici non possono esser sempre vicini a lei, quindi teme di non poterlo rattenere, e va pensando ai mezzi d'impedire il di lui ritorno. Egli ama ed apprezza altamente V. S. ed ha in lei illimitata fiducia, quindi l'inferma la prega istantemente a scrivergli esponendo lo stato delle cose, e ad ammettere il suo ritorno, soltanto sotto sicure condizioni. »
La risposta dell'Overberg fu del seguente tenore: « Mi è riuscito gratissimo il risapere alcunchè della nostra cara inferma per via diversa da quella del signor Clemente Brentano. Secondo ciò che da costui mi fu narrato, avrei dovuto credere che l' inferma avesse per cosa più d'ogni altra grata l'averlo a sè d'intorno e che fosse appieno contenta del di lui contegno. Pensai per altro all'assioma giuridico: Audiatur et altera pars. Il Brentano asserì anche a me che sarebbe ritornato al più presto possibile, onde continuare le sue osservazioni. Il trattenerlo dal ritorno, quando Iddio non susciti verun impedimento, o l'indurlo a stabilirsi in Münster, son cose ch'io non giudico possibili. Quanto poi allo addurlo a che dopo il suo ritorno egli si conduca in modo diverso, sia coll'inferma quanto con coloro che la circondano, cotesta è cosa che la inferma medesima deve a lui prescrivere. Essa deve fissare a qual ora del giorno egli possa venire a visitarla, e di chiarargli che deve tralasciare dal mescolarsi in verun modo nelle sue cose domestiche. Deve far ciò da sè medesima; giacchè ove io lo facessi, ei non vi si presterebbe al certo per le seguenti ragioni. Egli è, o vuole apparire convinto che l'inferma lo ha volentierissimo a sè vicino, che è contenta del suo contegno, o che almeno cotesto suo contegno riesce a maggiore vantaggio della medesima. Sa inoltre ch'io non posso recarmi presso Anna Caterina per conversar con lei a voce; e quindi riterrà e deve ritenere quanto io potrei dirgli circa il modo di pensare della inferma sopra di lui e sul suo contegno, siccome una pura manifestazione proveniente da coloro che la circondano; ciò per altro addurrebbe in esso facilmente il sospetto che appunto costoro volessero per gelosia, per invidia ecc. ecc. allontanarlo dall'ammalata. Egli quindi potrebbe essere indotto a credere di dovere tanto più strettamente avvicinarsi alla inferma, quanto più si avesse l'aria di non volerle accordare la consolazione della di lui presenza e delle sue cure, onde procacciarle riposo e benessere. La dichiarazione che ho superiormente indicato doversi fare dalla inferma, credo pure, quando sia necessario, che sarà meglio venga fatta in presenza di lei, signor Dottore, e del Padre Limberg. Dovrà poi sul serio vegliarsi, soprattutto nei primi giorni, a che le prescrizioni dell'inferma in quanto all' ora ed al tempo vengano scrupolosamente osservate. Prevedo benissimo che l' inferma avrà sul principio a lottare contro di lui, ma non conosco alcuna via migliore, e spero che ove essa tengasi sin dai primi giorni ferma e forte nelle decisioni prese, ne risulterà che egli a poco a poco le diverrà meno importuno ed esigente. A causa di tutte queste considerazioni debbo pregarla a non volere sospingere il Brentano ad invocare la mia decisione; ciò non farebbe che accrescer l'impiccio e raffermare la sua convinzione che riuscirebbe per Anna Caterina più d'ogni altra cosa gradito che tutto restasse sull'antico piede, e che essa parla ora in modo diverso, soltanto per evitare un urto a dritta o a sinistra. Il di lei modo di sentire e la sua libera volontà debbon soli decidere in questo caso. Il signor Clemente Brentano mi ha detto alcunchè alla sfuggita, di un'alterazione nelle stimate. Se V. S. per avventura avesse notato l'epoca di cotesto cangiamento, la pregherei caldamente a inviarmi per un paio di giorni quella nota. Oggi ho inteso a dire che l'ammalata comincia anche a nutrirsi ( 1 ); così faccia Iddio che possa di bel nuovo stare in piedi! La prego de' miei più cordiali saluti alla medesima: credo che avrà ricevuto la mia lettera. »
Qual fermento suscitassero nel Pellegrino le lettere del Wesener e del Lambert, apparisce dai vivacissimi lamenti in cui proruppe scrivendo agli amici (2). Per altro, dopo che tacque abbonacciata la prima tempesta, ei diresse anche a Dülmen una lettera, che sventuratamente più non si trova. Dalle risposte del Wesener e del Limberg apparisce però abbastanza chiaro, come cotesta lettera fosse concepita in sensi umili e pentiti, e come facili a riconciliarsi si fossero mostrate quelle buone e semplici anime, che veramente non avevan mai meritato quei rimproveri sì duri, eccitati contro di loro da un primo senso di appassionata irritabilità, e poi pubblicati con la stampa dopo la morte del Pellegrino.
(1) Questa asserzione si riferisce ad una prova teniata in quell' e poca dal Wesener, di far prendere all'inferma leggiere sostanze alimentarie, siccome latte allungato con acqua, e inestra di farina d'orzo e di sago. Ella ubbidì, ma il tentativo riuscì male, ed il Wesener dovette alla fine abbandonarlo per sempre.
(2) Raccolta di lettere di Clemente Brentano, vol. I pag, 334 e 340.
Il Wesener rispose: « Ho letto la di lei lettera: ringrazio Iddio che l'ho letta sino al punto che ci ha commossi fino alle lagrime; ella ci ha tutti riconciliati.... le di lei intenzioni eran buone; ella ha per iscopo il solo bene; soltanto nella potenza e forza del suo spirito ella aveva dimenticato che noi tutti eravamo poveri e deboli moscherini, incapaci di seguire il di lei volo possente.... Divenga quieto, dolce, paziente, e diverrà una spada ed un luminare nella nostra santa Chiesa! »
Dal P. Limberg poi si ebbe il Pellegrino tanto benevola risposta, che ne fu indotto a parlarne cosi: « Anche dal P. Limberg ho ricevuto una bellissima e placida lettera; egli mostrasi straordinariamente saggio, amorevole, biblico e semplice; spira da essa un nobile e puro spirito sacerdotale. Anche egli si rallegra del mio ritorno; nondimeno mi rimetterò interamente ai voleri dell'Overberg ( 1 ).
7. Quand'egli, adunque, nella prima metà del mese di maggio 1819, ritornò in Dülmen, si ebbe da tutti la più amichevole accoglienza; per altro, non sfuggì già al guardo della inferma lo essere in lui rimasto un certo senso intimo di offesa suscettibilità, senso che alla minima occasione minacciava di erompere colla maggior possibile violenza. Quindi non risparmiò fatica veruna onde rimuovere dal di lui cuore, come pure dagli animi di coloro che la circondavano, tutto ciò che poteva divenire scintilla atta a suscitare incendio di malcontento. Si adoprò sino quasi all'esaurimento delle proprie forze, a far sì che sua sorella Gertrude si componesse a silenziosa pazienza verso quello straniero, che le riusciva insopportabile. Dal dottor Wesener si fece promettere di trattare il Pellegrino con quel l'amore, che egli stesso gli aveva promesso per lettera. Ma nemmeno col Pellegrino risparmiò ella preghiere ed esortazioni, affinchè non si lasciasse andare in balia dei capricci, della vivacità e del sospetto: si sforzasse a raggiungere quiete e mitezza di spirito, e soprattutto si astenesse dal disprezzare le buone qualità di quelle persone, le di cui innocenti debolezze erasi abituato a prender troppo sul serio. Commosso da quei discorsi egli notò, pochi giorni dopo l'arrivo, questi sensi nel suo Diario: « Possa il cuore del di lei confessore, uomo profondamente buono e bene volo, venir mosso in tal guisa da sentire che egli ha in me.
(1) Raccolta delle lettere vol. I pag. 344.
un fedele amico! Lo sospiro con tutta l'anima. Nel mio interno mi sento disposto a confidare in lui senza alcun ritegno possa anch'egli divenire in me confidente! Non ho alcuna cosa da nascondergli. Oh quanto mai debbon viver felici due uomini che in Cristo appieno confidano, e reciprocamente si confortano! Degni il Signore benedire i miei sinceri sforzi per meritarmi il suo amore! »
Ma quantunque partecipasse cotesti suoi propositi alla inferma, costei non fu capace di dissimulare il timore della di lui instabilità e della corta durata di uno stato pacifico.
« Ho veduto il Pellegrino, ella disse, stare all'ombra di una pianta di zucca di ricca vegetazione, ma già vicina ad appassire, ed ho quindi pensato a Giona. » Il Pellegrino capì bensì il profondo senso di quelle parole, ma nol volle confessare neppure a sè stesso, e notò soltanto così: « Cotesta strana inquietudine mi disturbò. La inferma pianse; ed io ne rimasi molto angustiato, giacchè per causa di una certa interna oppressione, essa non potea manifestarmi le sue cure. Che Iddio la consoli, e dia pace e fiducia a tutti i cuori, ed a me conceda forza morale ed illimitata carità verso tutti i miei fratelli! Il confessore mostrasi molto benevolo e dolce, E che forse cotesta pianta di Giona già vicina ad appassire vorebbe indicare la corta durata di questo stato? » Sì: purtroppo ben presto cotesto simbolo doveva divenire cosa reale, e pur troppo doveva spesse volte apparir manifesto che Anna Caterina non doveva soltanto addurre il Pellegrino ad una vita conforme ai principii della fede, ma che aveva altresì, nel dirigere quell'ardente spirito, a compire anche una missione di propiziazione, poichè, nel grembo del sacerdozio non trovavasi alcuno pronto a raccogliere ed offrire in propiziazione per tutti, ed edificazione pei fedeli i frutti abbondevoli e le benedizioni derivanti da quel mirabil dono di visione a lei con cesso. La cooperazione ecclesiastica è simile ad un canale per cui, secondo le disposizioni divine, i doni straordinarii ed i meriti delle anime elette trascorrono a pro dell' universale dei credenti; e perciò era d'uopo che Anna Caterina riempisse ogni lacuna e completasse quanto mancava a cotesta cooperazione: e per di più espiasse soffrendo, onde compensare il debito incorso dalla ecclesiastica negligenza. In lei quale istrumento da Dio prescelto, dove vano chiaramente manifestarsi quel meraviglioso potere da Dio accordato al sacerdozio sopra i di lei doni ed il loro uso; e ben spesso noi riconosceremo in avvenimenti apparentemente accidentali, le vie e le disposizioni di quella di vina sapienza, che tutto aveva preparato ed ordinato in modo da rannodare il compimento della missione imposta alla vita di Anna Caterina, colla potenza insita nel sacerdozio. Abbiamo già anticipatamente veduto, che ancor prima dell'arrivo del Pellegrino, aveva trovato occasione di ottenere l'approvazione del più alto suo superiore ecclestico, il Vicario Generale di Droste, che l'autorizzava a partecipare al Pellegrino, tutto ciò che le verrebbe manifestato da Dio. Siccome poi l'Overberg suo direttore spirituale non potè così tosto che il Pellegrino fu ritornato, e come essa ne lo aveva pregato, recarsi a Dülmen, inviò il P. Limberg a Münster onde nella sua qualità di Confessore conferisse coll' Overberg, ed anche da lui si facesse confermare esser volontà di Dio che tutto al Pellegrino manifestasse. L'abate Lambert erasi pur ricordato di quello avvertimento da lei sì sovente ricevuto nelle sue visioni: « Deve esser tutto notato come il Signore glielo mostra in mezzo ai suoi patimenti; » e quel povero vecchio cadente l'aveva di bel nuovo assicurata che per quanto potesse, contribuirebbe a ciò che niun disturbo si attraversasse a quell'opera. Da ciò provenne che l' Overberg nella sua venuta in Dülmen ai 6 di giugno 1819, potè agevolmente raffermare in coloro che circondavano l'inferma, la convinzione, che la prolungata dimora del Pellegrino e quel suo scrivere eran cose secondo i disegni di Dio. Anna Caterina poi si trovò per quella sentenza talmente consolata, che il Pellegrino fu in grado di notare così: « L'Overberg è ripartito. Essa è talmente esausta di forze, che non può narrar cosa alcuna: quindi ha parlato soltanto del piacere a lei cagionato dalla conferenza coll'Overberg. »
8. Assai più malagevole che nol fosse il ristabilimento della pace esterna, fu per Anna Caterina il far comprendere al Pellegrino medesimo le conseguenze che necessariamente derivavano pel suo contegno e la sua posizione, dalla circostanza del non essere egli sacerdote, e quindi non investito della potenza e della virtù operativa del carattere sacerdotale. Infinite volte vedevasi astretta a ricordargli che la sua missione, quella cioè di ricevere le partecipazioni da lei fatte, potrebbe riuscire a buon fine soltanto, quando egli si sottomettesse, come essa facevalo, a quella sacerdotale autorità che nell'Overberg e nel di lei confessore risiedeva, e che egli di continuo aveva dinanzi agli occhi. Sino nell'epoca del suo primo soggiorno in Dülmen, sovente e con grave serietà essa gli aveva fatto una dichiarazione, che sul principio gli era apparsa molto strana: « Ella non è sacerdote! Ho ardente desiderio di veder l' Overberg, poichè questi ha in sè il sacerdozio che manca a lei! Ella non può aiutarmi, giacchè non è ecclesiastico. Se ella fosse prete, allora mi capirebbe. Corse lungo tempo prima che egli capisse il profondo senso di coteste parole, ed a seconda di quelle dirigesse la propria condotta. Anche negli ultimi due anni della vita di Anna Caterina dovette notare nel suo Diario avvertimenti di simil natura, accompagnandoli con la seguente esclamazione: E dov'è dunque il prete che l'abbia mai intesa? Molti hanno inteso il rimprovero: Se ella fosse ecclesiastico mi capirebbe, e così mi verrebbero risparmiate molte pene: - ma niuno l'ha mai capito! » Alla fine riuscì alla di lei sovrumana pazienza il frenare quell' ardente spirito, tanto restio ed incapace di contenersi, ed il mantenerlo nei limiti fissati dall'autorità e dall'ubbidienza alla autorità dovuta, in modo tale che potè compire la sua missione con ricco frutto di benedizioni per gli altri ed anche per l'anima sua. Egli che in doni naturali, in cognizioni ed in esperienza infinitamente sorpassava il semplice Limberg, si vide impotente, senza la di lui assistenza e senza il suo sacerdotale comando ad Anna Caterina, ad ottenere dalla medesima nemmeno una sola parola; e doveva conoscere ogni giorno che essa attingeva volontà e forza a partecipare le sue mirabili visioni unicamente dalla potenza sacerdotale del Limberg, e non già dai suoi inquieti desiderii o dalle ardenti sue suppliche. Per quanto anco allora si sentisse giustificato nei suoi appassionati lamenti contro il Limberg, quasi questi fosse affatto fuori di stato di giudicare dei doni della sua figlia spirituale, non poteva per altro nell'animo suo negare che cotesto semplice e non dotto prete, nella forza della viva sua fede e nella semplicità del suo cuore, valeva immensamente più in pro di Anna Caterina, di quel che non valessero tutte le sue cure; dimodochè sentiva benissimo quanto dovesse da sè rimuoveree quanto gli restasse da guadagnare, per pervenire a comprendere a fondo tanto la missione di lei, quanto la propria. È veramente meraviglioso lo scorgere con quanta sapienza Anna Caterina aiutasse in ciò il Pellegrino, e con quanta perseveranza in lui combattesse le più pericolose qualità del di lui carattere, sino al punto di ottenere a poco a poco un total cambiamento nella tendenza del suo spirito. Essa suoleva prepararlo a quelle esortazioni, che solo per comando impostole dall'invisibil sua Guida, credeva dovergli esser utili, affinchè con cuore volonteroso e senza tenata giustificazione egli le accogliesse; ma per lo più parlava alla di lui coscienza in quadri e meravigliose similitudini, ovvero in massime e racconti morali, che rapivano cotest'uomo di spirito tanto arguto, ed involontariamente lo adducevano a farne profitto.Siccome egli, esempi grazia, lasciavasi disturbar gravemente nell'animo da qualsiasi impressione che offendesse l'alto suo senso del bello, così Anna Caterina gli dette l'avvertimento seguente: Può agevolmente avvenire il sentirsi scandalizzati nel l'assistere ad una Messa solenne malamente cantata, o per la disarmonia di un organo mal suonato, mentre al contrario altri ne rimangono edificati. Ma contro simili scandali devesi lottare coll'aiuto della preghiera. Colui che resiste nel proprio animo allo scandalo cagionato da negligenza avvenuto in chiesa, acquista un gran merito ed accumula in suo pro una grazia, purtroppo spesso non curata e dilapidata. Quanto poi alla semplicità della fede, essa gliela raccomandava con le seguenti parole: « Colui che pretende convincersi della verità da per sè stesso non coll'aiuto della grazia di Dio, potrà bensì restare tenacemente attaccato alla propria opinione, ma non potrà mai essere penetrato dal lume della verità. »
9. Alcune settimane dopo il di lui arrivo, Anna Caterina gli confidò quanto segue: « In ogni sera mi vien rammentato di fare la tale o tal altra meditazione, e così mi avvenne iersera. Ho avuto durante la notte un avvertimento circa me stessa, e specialmente molto mi è stato detto circa il Pellegrino. È d'uopo che molte e molte cose vengano in lui migliorate: e mi è stato detto come, grazie al nostro commercio, potrà a lui venirne miglioramente e maggior lume, e crescere in utilità. Siccome poi rifletteva nell'animo circa il mio contegno col Pellegrino e sul come meglio soddisfare alla di lui missione ed anco alla mia, e sul miglior modo di far riccamente fruttificare le grandi comunicazioni che debbo fargli: mi fu risposto che dobbiamo reciprocamente aver pazienza nei dolori che ancora ci sopravverranno, e che il Pellegrino deve comunicarsi secondo la mia intenzione, giacchè ne deriverà maggior -unione spirituale. Fa quel che tu puoi, mi fu detto, e del resto lasciane la cura al Pellegrino; molte persone poi desiderano ardentemente nell'intimo del cuore di parlar teco, e quando l'occasione si presenti che possano farlo, esamina in te stessa se ciò possa loro giovare.... Devi pregare acciò il Pellegrino si decida ad esser umile e paziente. Dee vincere la propria ostinazione, e tu devi insistere che ciò avvenga sul serio. Guardati dal cedere a belle parole per falsa condiscendenza. Opponi resistenza ed insisti fortemente a che il Pellegrino si decida. Tu sei troppo bene vola: la benignità fu sempre il tuo difetto. Non devi mai lasciarti indurre a riconoscere per buono ciò che trovi esser difettoso.
« La mia Guida celeste mi disse altresì che sicuramente mi verrebbero ancora addosso molti guai, ma che per altro non doveva spaventarmi, e piuttosto senza inquietudine alcuna aspettarli nel nome di Dio. Ebbi pure molti rimproveri circa le mie colpe; quel mio tacere di molte cose per mal diretta umiltà, non è altro che un orgoglio segreto. Io debbo ricever le cose e darle, come faceva da bambina quando riceveva molto più che non adesso. Debbo dire senza timidezza alcuna quanto ho taciuto, tostochè mi si ripresenti alla mente. Anche col confessore debbo francamente lamentarmi di tutto ciò che mi opprime quando anche sembrasse non volermi ascoltare; debbo pregarlo ad ascoltarmi, e con ciò otterrò aiuto ben più sovente. La mia Guida mi rimproverò inoltre la troppo grande condiscendenza verso di molti, e che con ciò trascurassi l'adempimento dei miei doveri nell'orazione e verso altri. Essere appieno inesatto allorchè così mi esprimo: ecco, giaccio qui, nè posso fare cosa alcuna! Sapere egli bene che io volentieri mi trascinerei a sera, inviluppata nel mio mantello, a distribuire elemosine, e che mi rammaricava di non poterlo fare, perchè volentieri l'avrei fatto; ma ciò poche il Signore m'imponeva non era interamente di mio gusto. Debbo pensare ch'io non giaccio inutilmente su questo letto; debbo operare con l'orazione e manifestare tutto ciò che mi è stato concesso. Mi disse che presto avrei da raccontare cosa che mi riuscirebbe ben più grave parrarla; ma dovrei pur dirla. Fiera tempesta ne minaccia; il cielo si ottenebra orrendamente. Pochi sono che pregano quaggiù, e le necessità son grandi; gli ordini ecclesiastici sempre più vanno in decadimento; debbo dire a tutti i buoni che preghino con tutto il cuore. Mi disse pure che io doveva accingermi con tranquillità e coraggio scontrare i guai che mi si avvicinano; altrimenti potrebbero repentinamente farmi morire; ma siccome l'opera mia non è per anco compiuta, quando per mia negligenza venissi a morire più presto, dovrei sopportare il resto di quei dolori in purgatorio; e costà sono assai più amari che quaggiù nol sieno. »
10. Anna Caterina cercava inoltre di animare il Pellegrino, coll'additargli i frutti di benedizione che vedeva sbocciare dalle sue fatiche e lavori. Così, poco dopo il di lui ritorno, gli raccontò una visione che ella aveva avuta sotto l'immagine simbolica di un giardino, intorno alle azioni ed opere dei primi tempi della sua vita, come pure circa la sua missione attuale, e quindi anche allo adempimento della medesima, che avverrebbe soltanto dopo la sua morte. Quand'egli notò scrivendo cotesta partecipazione, non poteva al certo presentire l'estensione e la pienezza di tutte le correlazioni di cotesto quadro profetico; ed è per ciò che quanto ne ha notato ne risulta sempre più degno di fede.
Ho veduto il Pellegrino andarsene dolente e solo verso la sua stanza. Non poteva accingersi ad intraprendere cosa alcuna; lasciava tutto posare in abbandono; tutto era deserto intorno a lui. Lo avrei sì volentieri aiutato, sì di buon grado avrei lavorato e ripulito; ma non poteva a lui approssimarmi; non poteva aiutarlo. Allora ebbi dinanzi a me l'immagine di un giardino. Era cotesto un gran giardino frammezzato da una siepe, per disopra la quale gli uomini guardavano attorno, e che volentieri avrebber voluto sormontare, ma nol potevano. La mia Guida ed io andavamo per una di quelle due parti. Tutto costà era smisuratamente pieno di bella e florida vegetazione. Tutto vi era lussureggiante, verde e folto; ma eranvi puranco cresciute molte cattive erbe e maligne; fra gli altri vegetabili riconobbi fave e piselli. Vi crescevano pure in gran copia fiori ed arbusti, ma non vi si scorgeva frutto di sorta alcuna. Fra cotesti arbusti, che solo lussureggiavano in rami ed in foglie, vidi alcuni individui aggirarsi con compiacenza.
« Quand'io con la mia Guida ebbi percorso per la prima volta il sentiero che trascorre per quei fertili campi, mi disse: - Vedi come qui sono le cose, non vi si veggono che rari e bei fiori, ma infruttuosi; lussuriosa vegetazione, ma senza raccolta; apparente pienezza e vuota realtà! Ah, diss'io, deve adunque tanta fatica andar perduta! No, mi rispose, non appieno perduta. Tutto ciò verrà messo sossopra, e sepolto nel profondo, e ciò diverrà buon concime. E di questo io risentii ad un tempo gioia e compassione.
«Quando vi ripassammo per la seconda volta, trovammo in mezzo alla via una capannuccia formata da noci assiepate, e ricoperta tutta da gran folla di api. I noci che là scorgevansi erano i soli frutti di quel giardino. Apparivan per altro siccome arbusti mal cresciuti e nani. Più lungi assai di là vedevansi due alberi; l'uno era un melo, l'altro un ciliegio; anche costà eranvi persone, che diligentemente raccoglievano; del resto quel luogo era affatto deserto.
« La mia Guida disse: - Vedi tu? Il confessore deve raccogliere coteste noci e deve prendere esempio da costoro che laggiù raccolgono. Ma il confessore ebbe tema di venir punto dalle api, ed io pensai che precisamente perchè egli temeva, verrebbe punto; se egli si fosse inoltrato nella sua innocenza e con franchezza, quei cari animaletti non gli avrebber fatto alcun male. Egli non raccolse, non guardò nemmeno una sol volta i frutti, e corse errando da un arbusto all'altro.
« Quando colla mia Guida passai per la terza volta per quella via, tutti quei vegetabili sempre più mostravansi ricchi e lussureggianti. Vidi peraltro con molta mia gioia che il Pellegrino stavasi intento a raccogliere presso alcune maravigliose piante situate all'angolo delle aiuole e quasi oppresse dall'ombra, ma che pur portavano maggior copia di frutti. Mi rallegrai molto nel veder il Pellegrino così occupato.
« Tornai di nuovo nel giardino; il suolo era ricco e fertile, ma a forza di lussureggiare tutto inclinava già alla putrefazione; allora quella vegetazione fu tosto strappata dal suolo, calpestata e sepolta nel profondo, e vidi il Pellegrino con infiniti sforzi scavare e lavorare.
« Quand'io ritornai di bel nuovo nel giardino, lo trovai interamente lavorato e in nuova forma disposto. Il Pellegrino piantava con ordine nelle aiuole le pianticelle le une accanto alle altre; e quella vista mi cagionava molto piacere. Vidi poi il Pellegrino lasciare il giardino, e vidi molte persone a me cognite, senza però che ne sapessi il nome, penetrar colà dentro. Coteste persone si misero a cadermi in orribil modo sulle povere spalle, ed a ingiuriarmi e deridermi oltre ogni misura. Non mi dettero nè tregua nè pace nel riproverarmi la mia intimità e domestichezza col Pellegrino, e mi rinfacciarono che al certo da questo nostro commercio ne avrebbe origine una nuova setta; e poi mi domandavano che dunque potessero mai pensare di me! Cotesti loro insulti e ciarle orgogliose non avevan mai fine. Io lasciai tranquillamente cader sopra di me cotesta burrasca e rimasi nel più profondo silenzio. Nell'istessa guisa oltraggiavano costoro anche il Pellegrino. Mi sembrava come se egli non fosse lontano, od udisse coteste ingiurie. Mi rallegrava nell'animo di esser riuscita a sopportare con siffatta pazienza coteste villanie, e sempre esclamava: Sien rese grazie a Dio! Dio sia lodato del che io posso tutto ciò sopportare; altri forse nol potrebbe. Dipoi andai verso un vicino boschetto ad assidermi sopra una pietra.
« Standomi costà, vidi venire un ecclesiastico; era uomo abile, vivace, di una natura simile al Priore, forte, e di fresco e sano aspetto. Cotesto ecclesiastico si fece le meraviglie nel vedere che io aveva sopportato tutte coteste ingiurie senza opporre alcuna difesa. Divenne pensoso ed attento e disse: Questa povera donna sopportò tutto con sì gran tranquillità; eppure essa è intelligente ed onesta! Quanto ha fatto il Pellegrino deve esser ben di verso da quel che c'immaginiamo. Anche il confessore è un bravo uomo, che non sopporterebbe cose simili, ove non fossero buone e rette. - Tostochè cotesto sconosciuto ecclesiastico prese a parlar così in favore del Pellegrino, quel tumulto di grida ingiuriose cominciò a sperdersi. Vidi poi la diligenza del Pellegrino e come le piante divenissero più grandi e più belle.
« Allora dissemi la mia Guida: - Comprendi questo sensibile ammonimento. Cotesti insulti, cotesti scherniti cadranno realmente addosso. Preparati. Per un certo determinato tempo potrai menare vita tranquilla insieme col Pellegrino; ed è perciò che non devi trascurare quel tempo concesso, nè lasciar che si sperdano cotante grazie; poichè a quel tempo succederà ben presto il tuo fine. Tutto ciò poi che il Pellegrino avrà raccolto, sel porterà seco lontano, chè questo non è suolo adatto a riceverlo. Produrrà per altro altrove buoni effetti, e di là la benefica influenza giungerà anche in questi luoghi. »
11. Come soltanto a poco a poco il Pellegrino pervenisse a penetrare chiaramente il senso di cotesta visione, lo dimostrano i lamenti da lui sì spesso ripetuti circa quel tempo tranquillo predetto, che non veniva mai; giacchè egli intendeva coteste parole nel senso di una quiete scevra da esterni disturbi, mentre invece si riferivano a quell'interno raccoglimento e quiete di spirito, per la cui virtù poteva soltanto divenir capace di comprendere la partecipazione delle di lei visioni intorno agli anni della predicazion del divin Salvatore. Prima per altro che giungesse cotesta epoca, trascorsero più di dodici mesi, poichè soltanto al cominciar di Luglio del 1820 venne il momento in cui Anna Caterina, per comando della di lei Guida celeste, potè dar cominciamento alle sue rivelazioni sopra cotesto soggetto. È ben vero che il Pellegrino aveva sin lalora già molto piantato e con grave cura lavorato; ma pure di tutti cotesti lavori eravi gran parte, che più tardi doveva di sua propria mano svellere e nel profondo sotterrare. Egli era sul bel principio ancor sì gonfio di sè stesso, sì tenace delle proprie opinioni e degli abituali suoi modi di vedere; la sua immaginazione era talmente attiva e sbrigliata, che gli sarebbe stato impossibile senza l'aggiunta d'interpretazioni tutte sue proprie, senza miscuglio e disordine, lo scrivere quelle rivelazioni precisamente con tutta quella semplicità, con cui Anna Caterina suoleva a lui parteciparle. Non di rado egli si ostinava con tanta sicurezza e fermezza nelle sue proprie immaginarie interpretazioni, che non riusciva punto agevole lo indurlo ad ascoltare e por mente a contrarii avvisi; e ciò principalmente avveniva nel prender nota di tutti quei lavori spirituali di orazione in pro della Chiesa, che durante tutto il primo anno formarono il principale subbietto delle partecipazioni dell'inferma. Per quanto spesso gli venisse ripetuto che Anna Caterina aveva implorato da Dio la grazia di non conoscere il nome di quelle persone e di quegli ordini ecclesiastici, in pro dei quali doveva pregare e soffrire; nondimeno ei si lasciava difficilmente trattenere dal notare sotto le generali indicazioni di sposa, sposo, pastore e simili, menzionate nei quadri simbolici che gli venivan narrati, i precisi nomi di persone delle quali egli era più specialmente preoccupato, ed a cui nell'opinione sua doveva necessariamente riferirsi tutto ciò che Anna Caterine raccontava delle proprie visioni. Quindi avvenne che egli adducesse in coteste visioni certe relazioni e significati, che in realtà non avevano, e più tardi, comprendendone più profondamente il vero senso, dovette molte e molte cose siccome inservibili, cancellare dai proprii Diarii. Fu soltanto dopochè nell'intimo animo suo era divenuto più semplice e`pacato, che egli non potè più nascondere al proprio intendimento, quanto l'ardito volo della sua fantasia rimanesse addietro di quella pura luce, in cui la eletta Veggente scorgeva quelle visioni; ed allora altresì niuna fatica gli apparve troppo grande o costosa, e così potè con ogni maggior possibile scrupolosa esattezza notare tutto ciò che scaturendo da quella superna luce, venivagli manifestato.
12. Ciò che soprattutto produce nell'animo una speciale impressione, umiliante per l'orgoglio umano derivato da naturali qualità e prerogative dello spirito, sì è il contemplare quell'uomo dotato di sì alto genio, quel poeta cotanto ammirato, nella sua situazione presso quella povera ed inferma monaca. Oh! quanto mai diversa ed infinitamente più alta è quell'atmosfera, nella quale vive costei, di quella in cui spira il Pellegrino e con lui gli altri figli degli uomini, resi sì capricciosi ed incostanti dal peso delle proprie inclinazioni ed affetti! Il di lei distaccamento dalle creature praticato sino dai primi anni della gioventù, i suoi patimenti infiniti, ma sopportati colla più alta pazienza, avevano in lei prodotta una tal libertà di cuore, le avevano infuso una tal chiarezza e forza di spirito, che rendendola inaccessibile ad ogni influenza di bassa natura, facevanla sempre più degna di venire invasa e ripiena dalla luce di profezia. E quindi deriva che può bensì il Pellegrino così di volo turbarla, cagionarle inquietudini e distrazioni; ma il di lei interno, le di lei visioni rimangon sempre come un terreno per lui inaccessibile; nè può darsi più male fondata obiezione, nè più contraria al vero stato delle cose, di quella che la pretesa azione involontaria della possente sua personalità abbia essercitato una specie di potenza magnetica sopra Anna Caterina, e che egli abbia da lei ricavato e trascritto ciò soltanto, che anticipatamente egli stesso le aveva ispirato ed infuso. Egli aveva sopra di lei la stessa impotenza di quella di qualsiasi altro uomo, che non appartenendo all'ordine sacerdotale, non le raffigurava in modo alcuno un rappresentante di Dio; e sopportava la di lui vicinanza precisamente come quella di un infermo o di un necessitoso, che Iddio le aveva inviato affindi guarirlo e di illuminarlo per di lei mezzo, e per compire la missione a lei imposta. Quindi il Pellegrino dal primo sino all'ultimo giorno apparisce come colui che riceve, cui viene elargito alcun dono, che è diretto e guidato; ed essa apparisce siccome guida e donatrice; cioè, siccome strumento della sapienza e misericordia di Dio, per di cui opera uno dei più luminosi spiriti del secolo doveva essere sottratto agli errori di quell'epoca, all'abuso del suo talento, e guadagnato a maggior onoranza del santissimo Nome di Gesù.
Non si può finalmente passare sotto silenzio un tratto del carattere del Pellegrino, che appoggiato da molteplici testimonianze,serve mirabilmente a constatare viepiù l'unica meravigliosa purità, e la magnanimità di Anna Caterina, ed anche la schietta lealtà e purezza di coloro che la circondavano. Niuno possedeva al certo occhio più acuto di quello del Pellegrino per osservare le debolezze e le mancanze dei prossimi, e spesso con lagrime del più amaro pentimento egli lagnavasi di cotesta sua terribile prerogativa e dei suoi risultamenti. Al suo arrivo in Dülmen era così poco padrone di sè stesso, che per lui il passaggio dalla più ardente ammirazione al più grossolano dispregio di una medesima persona, era cosa di un sol momento.
Mostravasi pel più inesorabile ed irritabile osservatore che avesse mai potuto venire in prossimità della inferma e del suo piccolo numero di circostanti, poichè ei si attaccava ad ogni minima ombra, che il suo sempre vivo sospetto gli facesse scoprire. Il suo entusiasmo sì ardente al principio, si estinse in un coll'incanto della novità; e quindi guai alla inferma quand'egli avesse potuto anche una sol volta scorgere in lei la minima apparenza di cosa dubbia o sospetta! Egli l'avrebbe con inesorabile durezza condannata. Rare volte trascorse un'intera settimana sino alla di lei morte, senza che egli riempisse i suoi Diari di infinite querimonie, giacchè vi si trova notato ogni passo, ogni parola, ogni gesto del confessore, con infinita prolissità, accompagnata dalle più severe critiche; e nondimeno non potè mai il Pellegrino apporgli altra mancanza, fuor quella che cotesto buon padre mostrava di curarsi ben poco di tutte le scritture e note del Pellegrino, e che gli sarebbe stato assai più caro se la sua figlia spirituale non avesse mai avuto visioni, nè le fosse mai stato imposto il dovere di manifestarle; e che il più delle volte corrispondeva colla più fredda indifferenza ai rapimenti estatici del Pellelegrino circa qualche importante manifestazione della inferma. Ed anche Anna Caterina è trattata in quei fogli in con simile guisa. Ogni sua parola di consolazione ai poveri ed agli afflitti, ogni visibil segno di benevolo ed amichevole interesse con cui ascoltava i bisogni, le preghiere, i lamenti di coloro che la visitavano, e sforzavasi a corrispondervi, ogni apparenza di stanchezza, ogni minimo di lei lamento vien notato a di lei carico siccome una infedeltà commessa contro la sua missione, come una prodiga dilapidazione delle divine grazie, come un furto commesso contro il Pellegrino, il quale sicuramente ben di rado confessa quanta e come grave pena cagionasse alla povera inferma, e quanto le costasse il contentare ed acchetare la di lui smania irrequieta. Quando poi sopraffatto dalla incomparabile dolcezza della paziente monaca, la riconosce e l'ammira, è allora quasi involontariamente forzato a renderle questa testimonianza: « Ella è piena di bontà e di pazienza, ed è il più maraviglioso vaso della grazia del Signore. »