CAPITOLO XXX. - DOLCE RIPOSO

Più tardi il Signore apparve a Geltrude come Colui la cui bellezza
sorpassa infinitamente la bellezza dei figli degli uomini. Pareva
accoglierla con tenerezza fra le sue braccia e prepararle un nido di
riposo sul lato destro presso il suo divin Cuore, sorgente di ogni
beatitudine. Vi poneva, quasi letto di riposo, i crudeli dolori del suo
santissimo Corpo, sofferti sulla Croce per la salvezza del mondo e
l'anima doveva trovarvi la sua eterna salvezza. Poneva sotto il capo, a
modo di guanciale, lo strazio provato sulla Croce a causa
dell'inutilità della sua Passione, per un gran numero di anime. I
candidissimi lenzuoli erano l'estrema desolazione a cui fu ridotto
quando Egli, l'Amico più fedele, si vide abbandonato da tutti gli
amici, arrestato crudelmente come un ladro, legato senza pietà,
condotto a morte ed insultato, beffeggiato, oltraggiato dai suoi
nemici. Il Signore la coperse infine di tutti i frutti della sua morte
preziosa, perchè fosse santificata, secondo il disegno della divina
bontà.
Mentre Geltrude riposava dolcemente sul lato destro dei Figlio di Dio,
rivolta verso il suo amantissimo Cuore, ella vide quel Cuore divino,
sorgente di ogni bene, distendersi davanti a lei come un giardino
celeste, ove sbocciava il grazioso sorriso di tutte le spirituali
bellezze. L'alito che sfuggiva dalle labbra della santa Umanità di Gesù
vi faceva germinare un'erba verdeggiante, mentre i pensieri del suo
santissimo Cuore, sotto la forma di rose, di gigli, di violette e
d'altri fiori magnifici, vi diffondevano delicati profumi.
Le virtù del Signore parevano una vigna feconda, la vigna d'Engaddi i
cui frutti sono squisitamente dolci. Ora gli alberi delle virtù divine
e le vigne delle amabili parole, stendevano intorno all'anima di
Geltrude i rami per colmarla di delizie. Gesù nutriva quell'anima cara
coi frutti di quegli alberi e la dissetava coi vino della vite. Tre
ruscelli di limpidissima acqua sembravano zampillare dal centro del
divin Cuore, ma lungo il loro corso meraviglioso, mescolavano le loro
acque. Le disse il Signore: « All'ora della morte berrai di quest'acqua
e l'anima tua vi attingerà una perfezione così compiuta che non ti sarà
più possibile vivere nella prigione del corpo; intanto contempla questi
ruscelli con delizia, per accrescere i tuoi meriti eterni».
Avendo Geltrude chiesto al Padre di mirarla attraverso l'innocentissima
Umanità di Gesù, che fu pura, illibata, adorna di virtù per l'unione
con l'eccellentissima Divinità, meritò di sentire gli effetti di tale
preghiera. Ella chiese ancora: « Dammi, o Padre amantissimo, la dolce
benedizione della tua tenerezza ». E il Signore, stendendo la Mano
onnipotente, tracciò su di lei il segno della Croce. Tale benedizione,
colma di grazie, parve formare al di sopra del suo letto una tenda
dorata, ove erano sospesi tamburelli, lire, cetre ed altri strumenti di
musica, tutti in finissimo oro essi simboleggiavano i frutti
inestimabili della Passione santissima di Gesù e procuravano a quella
eletta godimenti nuovi, variati, ineffabili.
Mentr'ella riposava fra tante delizie, non era più una malata
trattenuta sul letto del dolore, ma una Sposa diletta che gustava le
gioie delle nozze, o meglio, un'anima assetata di Dio che, dopo d'aver
ricevuto la fecondità di Lia, beveva avidamente la dolcezza degli
amplessi, così a lungo desiderati da Rachele. Dolcemente accarezzata
dal soffio della divina misericordia, ella ricordava la lunga sterilità
degli sforzi passati; quel ricordo non solo era senza amarezza, ma
giocondo per f beni di cui il Signore la colmava. L'abbondanza dei
pingui pascoli, ove Gesù l'aveva posta, le permetteva di riparare le
passate negligenze e d'aumentare la perfezione, il pegno, la bellezza
delle sue opere.
Perciò ella riunì alcune preghierine, altre ne compose più ferventi
ancora, e volle dirle ordinatamente in nome delle membra del suo corpo,
per riparare le negligenze ch'ella credeva d'aver avuto nella recita
delle Ore canoniche, nell'Ufficio della Beata Vergine e dei defunti.
Volle pure riparare l'imperfezione delle sue virtù, perchè le parve di
non aver praticato abbastanza l'amore di Dio e del prossimo, l'umiltà,
l'obbedienza, la castità, la concordia, la riconoscenza, l'unione alle
gioie e alle pene del prossimo. Credeva pure di dover riparare per le
opere di pietà nelle quali le sembrava di essere stata trascurata e
specialmente nella lode divina, nello spirito di riconoscenza, nella
correzione. della vita e nella meditazione; ella estendeva la, sua
intenzione riparatrice alla Chiesa universale.
Geltrude non s'accontentava di recitare, per tali scopi una preghiera
sodisfatoria, ma vi aggiunse duecentoventicinque brevi aspirazioni, in
nome di tutte le membra del suo corpo, e un Pater con un'Ave dopo
ciascuna di esse. Tutte quelle preghiere erano così soavi che, non
solo, portavano i cuori a divozione, ma attraevano col loro incanto il
Cuore di Dio, Re e Sposo di eterne delizie.
In seguito Geltrude si sforzò di pagare tutti i debiti, secondo le
promesse che Gesù, Verità infallibile le aveva fatto. La sua confidenza
era invincibile, pure ella non dimenticava mai la sua miseria e, con le
suddette preghiere, s'applicava a rendersi meno indegna dei favori
ch'ella sperava fermamente di ricevere dalla liberalità di Dio.
Infine Geltrude rilesse, punto per punto la S. Regola, accompagnando
ciascuna parola da suppliche ferventi e da profondi sospiri, che
supplivano alle sue negligenze, e nobilitavano tutti i suoi atti.
Dopo quei ferventi esercizi, ella concentrò le sue forze fisiche e
morali a cose più elevate; ridisse migliaia di volte i versetti che
meglio esprimevano l'ardente fervore delle sue brame, per attrarre fino
nelle profondità dell'anima Colui che la faceva languire d'amore.
Inalzò poi la sua intenzione per quanto le fu possibile, unendosi
all'amore e alla gratitudine che le Persone della SS. Trinità si
tributano fra loro, facendosi con ciò l'interprete dell'intera
creazione.
In seguito ella ridisse ancora, con confidenza, questo versetto che le
ritornava continuamente alla memoria: « Desiderate millies! ». E
aggiungeva: « Veni jestinans propere - Vieni affrettati! ». « Sitivit
anima mea (Sal. XLI). La mia anima è assetata ». « Tuus pi aevalens
amor - Il tuo amore prevale » con la preghiera: « O Padre amantissimo
ti offro la santa vita ecc. (Vedi Libro II, cap. XXIII: ma là comincia
con queste parole: « Tutta penetrata ancora da quel ricordo ecc.).
Questa preghiera le era stata ispirata da Dio stesso e gli effetti
meravigliosi della medesima, dovevano applicarsi anche a tutti coloro
che l'avessero recitata con fede e divozione. Geltrude praticò questo
esercizio durante tutta la malattia, senza che l'estremo esaurimento
delle forze glielo impedissero. Ogni giorno, fedelmente, offriva
riparazioni per i peccati commessi con le membra, del suo corpo, a meno
che l'amore non la portasse ad atti più sublimi.
Nell'abbondanza delle delizie, di cui il suo spirito così spesso si
nutriva, ella si effondeva in preghiere ed esortazioni così dolci, con
le persone che la visitavano, che tutti facevano a gara di servirla,
onde gustare i suoi amabili colloqui. Pu appunto questo motivo che
indusse molti a pregare Dio perchè prolungasse un'esistenza così
preziosa; è fuori di dubbio che Dio, il quale ascolta sempre le
preghiere degli umili, le abbia, conservato la vita per accrescere i
suoi meriti e per favorire la carità delle Monache.
Ecco i passi dell'inno più sopra citato Desiderate millies
Mi Jesu, quando venies? Me laetum quando facies? De Te- quando me
saties? Veni, Veni, Rex optime, Pater immensa¢ gloria¢: Efulge clare
laettus: Jam expectamus saepius. Ut mala nostra superes Ut mala nostra
supereos Partendo et voti compotes Nos tuo vultu saties.
E tu, mille volte desiderato, O mio Gesù, quando vieni? Quando mi farai
felice? Quando potrò in Te saziarmi? Vieni, Vieni o Re dei re, Padre
della gloria infinita: Portami la gioia e la luce Che attendo da tanto
tempo. Il tenero tuo amore ti spinga a trionfare della nostra malizia:
Perdonaci, esaudisci i nostri voti, e saziaci nella vista del tuo Volto.