CAPITOLO LIX. - NELLA DEDICAZIONE DELLA CAPPELLA

La consacrazione della cappella era stata compiuta. Mentre a Mattutino
si cantava il Responsorio: Vidi Civitatem, il Signore apparve in abita
pontificale, seduto sul trono episcopale, addossato al muro, col viso
rivolto verso l'altare. Aveva gli abiti raccolti intorno alla persona,
come se avesse scelto quel luogo per stabilirvi la sua dimora.
Geltrude notò che il Signore era assai lontano dal luogo dove ella
pregava e con ardenti desideri cercava di attirarlo vicino. Ma Egli le
disse: « Io sono Colui
che riempie il cielo e la terra; quanto maggiormente riempirò questa
piccola casa! Non sai tu che l'arcere fissa più attentamente il punto
d'arrivo della freccia, che quello di partenza? Sappi che trovo minor
amore là dove sono corporalmente, che là dove l'occhio della mia
divinità può riposarsi nel tesoro di un'anima amante ».
Allora, meraviglia!, nonostante la distanza, toccò l'altare come se
fosse stato vicino, e disse: « E' qui ed è là! ». « Colui che cerca
sinceramente la grazia mi troverà nei miei benefici; colui che cerca
fedelmente il mio amore, mi riconoscerà nelle profondità della sua
anima! ». Queste parole fecero comprendere a Geltrude che c'è grande
differenza fra coloro che cercano il benessere del corpo, e la salvezza
dell'anima secondo le brame della loro volontà, e quelli che si
abbandonano con fiducia incondizionata alle cure provvidenziali del
divino amore.
Durante la S. Messa, mentre si cantava « Domus mea, domus orationis
vocabitur - La mia casa sarà chiamata casa di preghiera » il Signore
posò la mano sul suo Cuore e disse con tenerezza: « Sì, lo proclamo:
'In mea omnis qui petit, accipit - Tutti coloro che in essa domandano,
riceveranno'». Poi levò le braccia, stese la mano in mezzo al tempio e
stette in quell'atteggiamento, come per mostrare che continue grazie
sarebbero scese da quella Mano benedetta.
Durante la settimana, mentre all'antifona del Benedictus si cantavano
le parole: « Fundamenta templi » gli spiriti celesti apparvero sulle
cornici della Chiesa. Bellissimi, riccamente vestiti, deputati alla
custodia del tempio, per fugarne i nemici. Sfiorandosi a vicenda con le
ali d'oro, facevano risuonare una dolce melodia in onore della
Divinità. Essi discendevano alternativamente dalla sommità al basso
dell'edificio, per mostrare con quale tenerezza occupavano quel luogo,
vigilando i loro futuri concittadini, per preservarli dal male.
Nella festa della dedicazione di quella Cappella, Geltrude, quantunque
obbligata a letto, si sforzò di recitare il Mattutino come aveva fatto
anni addietro, per una speciale grazia del Signore. Bramava che i nove
cori angelici venissero a supplire alle sue deficienze, rendendo a Dio
degne lodi e fervorosi ringraziamenti.
Sarebbe troppo lungo descrivere le delizie gustate dalla Santa. Ella
vide un fiume le cui acque limpide, lievemente increspate, si
diffondevano nell'immensità dei cieli. La luce divina, simile a
fulgentissimo sole, si rispecchiava in quelle acque, sì che le mille
ondulazioni brillavano come astri. Quel fiume simboleggiava la grazia
della divozione, che le era stata elargita dal Signore con tanta
abbondanza; la ondulazione delle acque voleva significare la varietà
dei pensieri ch'ella si sforzava di volgere a Dio.
Il Re della gloria s'inchinò, immerse nel fiume un calice d'oro e lo
ritrasse colmo, per darlo da bere a' suoi Santi. Essi, dopo d'avervi
attinto un rinnovamento di gioie e di delizie, cantarono lodi e
ringraziamenti per i favori accordati a Geltrude dal distributore di
ogni bene. Dal fondo, del calice uscivano delle cannule d'oro, che si
dirigevano verso quelle anime caritatevoli, le quali, con grande bontà,
si erano sacrificate perchè la Santa potesse liberamente servire Dio;
altre cannule si dirigevano verso le anime che, con speciale fervore,
si erano raccomandate alle sue preghiere.
Geltrude disse a Gesù: « A che serve che io veda e comprenda tutte
queste cose, se poi tali care anime non le capiscono affatto? ».
Rispose Gesù: « E' forse
inutile che un previdente padre di famiglia raccolga nelle sue cantine
del buon vino, sotto pretesto che non può berlo ad ogni istante?
Avendolo alla mano quando gli occorre, potrà berne a piacimento. Così
quando, pregato dai miei eletti, accordo grazie ad altre anime, esse
non sentono subito il gusto della divozione; tuttavia è certo che, a
tempo opportuno, esperimenteranno il benefico influsso della mia carità.
Si racconta di una S. Messa che il Signore Gesù celebrò in cielo per
una Santa Vergine chiamata Trude, mentre ella viveva in terra.
Era la domenica Gaudete in Domino, terza d'Avvento Geltrude, dovendo
comunicarsi, lamentava tristemente di non poter assistere alla S.
Messa.. Gesù ebbe compassione della sua Sposa e, consolandola
teneramente, le disse: « Vuoi
tu, o mia diletta, che io stesso canti per te la S. Messa?
». Rispose Geltrude: « Oh, sì, dolcezza suprema dell'anima mia, te ne
supplico, fammi questo immenso favore! ». « E quale Messa desideri ascoltare?
» chiese il Signore. « Quella,
Gesù, che Tu stesso brami cantare ». « Vuoi forse la Messa
in medio Ecclesiae? » (Messa di S. Giovanni evangelista). « No »
rispose Geltrude. E siccome Egli le proponeva parecchie altre Messe che
Geltrude non accettava, le chiese infine se bramasse ascoltare la Messa
Dominus dixit (la Messa di mezzanotte del S. Natale), ma la Santa
rifiutò ancora.
Allora Gesù insistette con dolcezza, dicendole: «Potrei a ogni parola
dell'Introito darti illustrazioni interiori che ti consolerebbero
meravigliosamente ».
Mentre Geltrude chiedeva come mai ciò sarebbe avvenuto, essendo le
parole di quell'introito adatte solo al Figlio di Dio, il Signore, con
i suoi Santi, intonò ad alta voce l'Introito della domenica corrente,
dicendo: « Gaudete in Domino, semper - Rallegratevi sempre nel Signore
», eccitandola a rallegrarsi ed a porre in Lui ogni sua gioia. Poi
s'assise sul trono della sua maestà regale, e la vergine, prostrandosi,
baciò con tenerezza i suoi piedi.
Intonò poi a voce chiara: Kyrie eleison e due principi illustri,
dell'ordine dei Troni, vennero a prendere la Vergine per condurla
davanti al Padre celeste. Ella si prostrò con la faccia e terra,
adorandolo profondamente. Il Padre, al primo kyrie, le rimise
misericordiosamente ogni peccato commesso: per fragilità. Dopo di che
due Angeli la rialzarono sulle ginocchia, e col secondo kyrie meritò di
ricevere il perdono delle colpe d'ignoranza. Gli Angeli la rizzarono
quindi completamente in piedi; ma ella si chinò per baciare le orme dei
passi di Gesù, e ricevette la remissione di tutti i peccati commessi
con malizia. Ed ecco giungerei due dignitari dell'ordine dei Serafini,
i quali, ponendosi si fianchi della Vergine, le fecero scorta fino al
Salvatore Gesù, che l'accolse con teneri amplessi, serrandola al suo
divin Cuore.
Geltrude allora con fervente desiderio, attrasse a sè tutti i diletti
prodotti dalle tenerezze degli uomini, e al primo Christe eleison li
prese nel suo cuore, per poi deporli nel Cuore divino, come nella vera
sorgente da cui procedono tutte le delizie create. Allora avvenne come
una mirabile fusione di Dio nell'anima e dell'anima in Dio, in modo
che, durante il suono delle note discendenti, il Cuore divino scorrever
nell'anima, e durante quello delle note ascendenti, l'anima risaliva
deliziosamente verso Dio.
Al secondo Christe eleison la Vergine raccolse in sè tutte le dolcezze
gustate negli umani amplessi, e le offrì al suo unico Diletto, con un
soave bacio, deposto su quelle sacre labbra che distillano il miele. Al
terzo Chriate eleison, il Figlio di Dio, estendendo le mani, unì il
frutto della sua santissima vita alle opere della sua diletta sposa.
Infine due principi elevatissimi del coro dei Serafini s'avvicinarono
per prendere Geltrude e presentarla, con riverenza, allo Spirito Santo
che penetrò tosto nelle sue tre potenze.
Col primo Kyrie eleison, diffuse nell'intelligenza lo splendore della
Divinità, perché conoscesse in tutte le cose la sua adorabile Volontà.
Al secondo Kyrie eleison, fortificò l'appetito irascibile perchè
resistesse agli agguati del nemico, trionfando da ogni male. All'ultimo
Kyrie eleison, infiammò l'appetito concupiscibile per farle amare
ardentemente Dia con tutta il cuore, con tutta l'anima, con tutta le
forze,
I Serafini, cioè gli Angeli del primo coro, condussero quell'anima
dallo Spirito Santo, i Troni, la guidarono a Dio Padre, i Cherubini al
Figlio, per dimostrare che una è la Divinità del Padre, del Figlio,
dello Spirito Santo, uguale la loro gloria, coeterna la, loro maestà, e
che in una Trinità perfetta, Dio vive e regna nei secoli de' secoli.
Il Figlio di Dio, alzandosi allora dal suo trono regale, si volse verso
Dio Padre, e intonò con voce soavissima: Gloria in excelsis Deo. Con la
parola Gloria esaltava l'immensa e incomprensibile onnipotenza di Dio
Padre. Con le parole in excelsis, (che parve assorbire in se stesso),
lodava la sua inesauribile e inenarrabile sapienza. Infine, alla parola
Deo, rese omaggio all'infinita bontà dello Spirito Santo. Tutta la
Corte celeste continuò, con voce melodiosa: et in terra pax hominibus
bonae voluntatis.
:Il Figlio di Dio s'assise nuovamente sul trono. L'anima, prostata ai
suoi piedi, era tutta immersa nella cognizione del suo nulla e nel
disprezzo di se stessa, il Signore s'inchinò verso di lei con bontà e
l'attrasse con un gesto delicatissimo della sua venerabile mano.
Geltrude allora si levò e, ritta davanti a Gesù, venne illuminata dal
riflesso del divino splendore. Due principi dell'ordine dei Troni
portarono un seggio squisitamente adorno, lo deposero davanti al
Signore e stettero con somma riverenza. Due principi del coro dei
Serafini collocarono l'anima su quel trono, e si diressero uno a
destra, l'altro a sinistra.
Due gloriosi Cherubini, con fiaccole accese, stettero dar vanti
all'anima gloriosamente assisa di fronte al suo Diletto, brillante
sotto la porpora regale, del suo stesso splendore.
Quando la Corte celeste, continuando il canto, giunse alle parole che
si rivolgono e Dio Padre: Domine Deus, Rex Coelestis, tacque, e il
Figlio di Dio cantò solo la lode e la gloria del Padre.
Dopo il Gloria in excelsis Deo, Gesù, Sommo Sacerdote, si alzò e,
salutando l'anima le cantò questa dolce melodia: « Dominus vobiscum,
diletta ». Ella rispose: « Et spiritus meus tecum, Praedilecte! ».
Il Salvatore fece un inchino di riconoscenza, e felicitò la sua
amatissima; Sposa così ben preparata, tanto che il suo spirito aveva
acquistato la capacità di unirsi alla Divinità, le cui delizie sono di
stare coi figli degli uomini.
In seguito il Signore lesse la Colletta: « Deus qui hanc sacratissimam
noctem veri luminis illustrazione fecisti etc. - O Dio che hai
illuminato questa sacratissima notte » (Colletta della S. Messa
natalizia di mezzanotte), che concluse così: « per Jesum Christum
Filium tuum » come per ringraziare Dio Padre della luce che aveva fatto
brillare in Geltrude la cui miseria - espressa nella parola noctem -
era chiamata tuttavia sacratissima notte, perchè nobilitata e
santificata dalla conoscenza della propria infermità.
Allora il discepolo S. Giovanni si levò, raggiante di grazia e di
giovinezza, glorificandosi di essersi riposato sul petto di Cristo. I
suoi abiti erano gialli, cosparsi di aquile d'oro. Ponendosi fra lo
Sposo e la Sposa, cioè fra Dio e l'anima, sì che da una parte aveva
Gesù, dall'altra Geltrude, cantò l'Epistola dicendo: « Haec est sponsa
». L'assemblea dei Santi concluse: « ipsi gloria in saecula ».
Cantarono poi tutti insieme il Graduale: Specie tua et pulchritudine
tua col versetto Audi, Filia, et vide (Comune delle Vergini).
All'intonarsi dell'Alleluia, Paolo, l'illustre dottore, segnò a dito
Geltrude esclamando: « Aemulor enim vos », il corteo dei Santi continuò
il testo e cantò in seguito la sequenza: Exultent iliae Sion (festa
delle Vergini), in onore di Geltrude, che, da quei canti, ritrasse
meravigliose e consolanti illustrazioni interiori.
Mentre si cantava nella sequenza: « Dum non consentiret, sed illi
resisterei, vincere qui solei tentatos, si non repugnet », Geltrude si
ricordò delle sue negligenze nel resistere alle tentazioni, e voleva
nascondere il volto, per sentimento di vergogna, ma Gesù, castissimo
Amante, non potè sopportare la confusione della sua Sposa, e nascose
lei sue negligenze sotto un gioiello d'oro, meravigliosamente
cesellato, per significare la trionfante vittoria riportata negli
attacchi del nemico. In seguito un altro Evangelista si avanzò per
cantare il Vangelo: « Exultavit Dominus Jesus in Spiritu Saneto - Il
Signore Gesù esultò nello Spirito Santo » (Luc. X, 21). A quelle parole
Dio che è carità, eccitato dagli slanci di un amore senza misura e
venendo meno, per così dire, sotto i torrenti delle sue divine voluttà,
si alzò e con le mani tese, cantò melodiosamente le parole seguenti: «
Con f teor tibi, Pater coeli et terrae », per ricordare all'Eterno
Genitore con qual fervore riconoscente Egli aveva su la terra
pronunciato le stesse parole. Ad ogni motto Egli ringraziava per i
benefici passati e futuri, accordati a Geltrude, che assisteva alla S.
Messa.
Terminato il Vangelo, Gesù fece cenno alla Santa di fare professione
pubblica della sua fede cattolica, in nome della Chiesa, cantando: «
Credo in unum Deum ». Poi, il coro dei Santi intonò l'Offertorio: «
Domine Deus in simplicitate - Signore Dio, nella semplicità, ecc. »
(Offertorio della Dedicazione della Chiesa) aggiungendo: «
Sanctificavit Moyses » (Offertorio della XVIII Domenica dopo
Pentecoste). Durante quel canto, il Cuore di Gesù, parve uscire dal
petto, simile ad un altare d'oro, che brillava come fuoco ardente.
Allora gli Angeli, incaricati di custodire gli uomini, in volo vennero
ad offrire, con gaudio immenso, sull'altare di quell'adorabile Cuore,
degli uccelli vivi che simboleggiavano tutte le buone opere e le
preghiero di coloro di cui erano i custodi.
I Santi offrirono i loro meriti al Signore su quell'altare, per la sua
eterna gloria e la salvezza di Geltrude. Infine giunse un principe
magnifico: era l'angelo custode della Santa. Portava un calice d'oro
che offerse sull'altare del divin Cuore: quel calice conteneva le
tribolazioni, le avversità, i dolori che Geltrude aveva sopportato fin
dall'infanzia, nel corpo e nell'anima. Il Signore benedisse quel calice
col segno della croce, come fa il Sacerdote quando consacra l'Ostia.
Poi intonò, con voce melodiosa: « Sursum cordai ». Tutti i Santi,
animati da quell'invito, s'avvicinarono e inalzarono i cuori sotto
forma di tubi dorati fino all'altare del Cuore divino per raccogliere,
ad aumento delle loro gioie, dei loro meriti e della loro gloria,
qualche goccia del calice traboccante, benedetto dal Signore con tanto
amore.
In seguito, il Figlio dell'Altissimo, cantò con intenso fervore, e con
tutta la potenza della sua Divinità: Gratias agamus e: Vere dignum - a
lode e gloria di Dio Padre, ed in ringraziamento di tutti i benefici
passati e futuri accordati alla sua eletta. Dopo le parole del
Prefazio: per Jesum Christum, Egli tacque; la Corte celeste proseguì
con riverente giubilo: Dominum nostrum, come se avesse voluto
giocondamente proclamare che Lui solo era il Signore Dio, Creatore e
Redentore, generoso distributore di tutti i beni, a cui solo appartiene
onore, gloria, lode, giubilo, potenza, impero e l'obbedienza di tutte
le creature.
Quando cantò: per quem majestatem tuam laudant angeli, gli spiriti
angelici agitarono le ali in un sussulto di felicità e batterono le
mani, quasi per provocare la Corte celeste alla lode divina. Alle
parole: adorant Dominationes, il coro cadde in ginocchio, adorò il
Signore, confessando che davanti a Lui deve inchinarsi tutto quanto si
trova in cielo, in terra e negli inferni,
Alle parole: tremunt Potestates, l'ordine delle potestà si prostrò
tosto, col volto ai terra, per attestare che solo Dio deve essere
adorato da tutte le creature. Dicendo: a Coeli, coelorumque Virtutes ac
beata seraphim », i Serafini si unirono ai cori degli Angeli per
celebrare il Signore con canti di dolcezza e melodia incomparabili. La
milizia dei Sati aggiunse con soave letizia: Cum quibus et nostras
voces ut admitti jubeas deprecamur.
In seguito la fulgida rosa della celeste aiuola, la Vergine Maria,
benedetta al di sopra di tutte le creature, s'avanzò intonando con voce
dolcissima: Sanctus, Sanctus, Sanctus, per esaltare con riconoscenza"
con questa parola ripetuta tre volte, l'Onnipotenza incomprensibile,
l'inesauribile Sapienza e la dolcissima Bontà della suprema,
indivisibile Trinità. Ella provocava, in un certo senso, la Corte
celeste a felicitarla perché, essendo l'immagine perfettissima di Dio,
era dopo il Padre, il riflesso della sua Onnipotenza, dopo il Figlio,
il riflesso della sua Sapienza, dopo lo Spirito Santo, quello della sua
Bontà.
I Santi continuarono ancora: Dominus Deus Sabaoth: allora il Signore
Gesù, vero Sacerdote e Pontefice supremo, si alzò dal suo regale trono
e presentò con le mani aperte, a Dio Padre, il suo sacratissimo Cuore,
sotto la forma di aureo altare, come più sopra abbiamo detto. Egli
s'immolò per la sua Chiesa, in un modo così ineffabile e così nobile,
da non poter essere compreso e penetrato da nessuna creatura.
Mentre il Figlio di Dia offriva al Padre il suo Cuore, 1a campana della
chiesa squillava per annunciare l'Elevazione dell'Ostia; fu quindi
nello stesso istante che il Salvatore operò in cielo quello che si
verificava in terra, per mezzo del Sacerdote. Geltrude però ignorava
quale ora fosse come pure quello che si cantava alla S. Messa in quel
momento.
Mentre ella si deliziava nell'ammirazione di quanto avveniva davanti a
lei, il Signore le fece segno di recitare il Pater noster, unendosi
alla lunga preparazione d'amore che questa preghiera aveva subito nel
suo Cuore, prima che fosse palesata al mondo con tanta tenerezza.
Il Salvatore accolse favorevolmente quei Pater, e lo diede agli Angeli
e ai Santi per disporlo secondo il loro desiderio e procurare per suo
mezzo, alla Chiesa ed ai defunti quanto una preghiera ha possibilità di
ottenere.
Il Signore invitò nuovamente Geltrude a pregarlo per la Chiesa, e
siccome ella lo supplicava per tutti gli uomini in generale e ciascuno
in particolare, Egli unì tale preghiera alle azioni della sua Umanità e
la comunicò alla Chiesa universale; dicendo: « Le suppliche che tu mi hai
offerte con l'intenzione che portino vantaggio a tutta lai Chiesa,
saranno per essa la salvezza delle salvezze, cioè la più abbondante
salvezza che si possa immaginare, così come si dice nel Cantico dei
cantici.
Geltrude chiese: « O Signore, come sarà ora il banchetto? ». E Gesù con
tenerezza: « Non solo le
orecchie del cuore te lo faranno comprendere, ma lo gusterai
nell'intimo dell'anima tua ». E chiamandola a sè, la
serrò al suo Cuore vino, accordandole parecchie volte il suo bacio
celestiale, colmandola talmente delle effusioni della sua Divinità da
formare come una sola cosa con lei, con tutto il cumulo di felicità che
è possibile gustare in questa vita. Fu appunto in tale ineffabile
unione, che gli si diede in cibo alla sua diletta Sposa.
Quando l'ebbe comunicata, il Cantore sommo, o meglio l'Amante, geloso
di coloro che gli predilige, cantò con voce penetrante: a Ecce quod
concupivi, jam video: quod speravi, lam terreo; illi sum junctus in
spiritu, quam in terris, positus toto devoti dilexi - Ecco che vedo
quanto ho desiderato, tengo quanto ho sperato, sono unito a colui che
sulla terra ho amato senza riserva» (Antifona del Pontificale romano,
lievemente modificata).
Con quelle parole a in terris positus,» affermò altamente che tutte le
fatiche, le tribolazioni, le sofferenze che aveva sopportate in terra
le avrebbe sofferte volentieri anche per quella sola anima e sarebbe
stato felice che la sua santa Vita, Passione, Morte, non avessero
prodotto altro risultato, tanto era deliziosa l'unione che aveva
gustato con quell'anima.
O dolcezza incomparabile della divina accondiscendenza che brama così
ardentemente di trovare le sue delizie nell'anima, tanto che l'unione
con una sola creatura sembra ripagare gli atroci tormenti della
Passione e morte di un Dio, quantunque una sola goccia del divin Sangue
basterebbe per salvare il mondo intero!
In seguito il Signore intonò: Gaudete justi (Comune dei Martiri), e
tutta la corte celeste continue il canto per congratularsi con
Geltrude. Dopo l'antifona, Gesù recitò l'ultima orazione in nome della
Chiesa militante: « Refecti cibo potuque coelesti, Deus noster, te
supplices exoramus, ut in cujus haec commemoratione percepimus, ejus
maniamur et precibus. Per Jesum Christum. - Saziati da cibo e bevanda
celesti, noi ti supplichiamo, o Dio, di permettere che siamo protetti
dalle preghiere di colui, in memoria del quale abbiamo ricevuto questo
nutrimento divino ».
Il Signore salutò allora tutti i Santi, cantò Dominus vobiscum e, in
vista della perfetta unione contratta con la Santa, mise il colmo ai
meriti, alla gioia, alla gloria dei beati del cielo.
Invece dell'Ite Missa est, i cori dei santi Angeli cantaròno, con voce
sonora, in lode e gloria della SS. Trinità, risplendente e ognora
tranquilla, l'inno: Te decet laus ei honor Domine.
Il Figlio di Dio stese la mano regale e benedisse Geltrude, dicendo : «
Io ti benedico, figlia dell'eterna luce, in modo che tutti coloro ai
quali tu implorerai per speciale affetto, un bene qualunque, saranno
più felici degli altri; come Giacobbe ebbe una felicità più grande di
quella dei fratelli, per la benedizione del suo padre Isacco ».
Geltrude, ritornata in sè, si senti unita al suo Diletto, nelle
profondità dell'essere, in modo indissolubile.