CAPITOLO LVIII. - FESTA DELLA DEDICAZIONE DELLA CHIESA

Nella festa della Dedicazione della Chiesa, mentre si recitavano a
Mattutino quelle parole: « Regina Saba venit ad Regem Salomonem - La
regina Saba andò a trovare il re Salomone » e « cum gemmis virtutum -
con perle di virtù », Geltrude fu tocca di compunzione e disse al
Signore: « O Gesù, infinitamente buono, come potrei io, così piccola e
senza virtù, giungere fino a Te? ». Le rispose il Salvatore: « Dimmi, non sei stata mai ferita da
lingue maldicenti? ». Ed ella: « Eh sì, caro Gesù! Le mie
colpe; purtroppo, hanno dato sovente al prossimo motivo di scandalo ». « Ebbene - aggiunge il Salvatore -
adornati delle parole dei tuoi detrattori, come di altrettante virtù.
Allora verrai a me, e la mia compassionevole tenerezza ti riceverà con
bontà. Più si biasimerà senza motivo la tua condotta, più il mio Cuore
ti darà prove d'amore, perchè sarai somigliante a me, che fui duramente
colpito dai calunniatori ».
Durante il Responsorio Benedic, il Signore la introdusse in un luogo
d'incomparabile splendore: era lo stesso suo Cuore, disposto in forma
di casa, dove ella doveva celebrare la festa della Dedicazione. Entrata
che fu, si sentì venir meno per le delizie che ivi gustava. Disse a
Gesù: « Mio dolcissimo Sposo, se tu avessi introdotto l'anima mia in un
luogo calpestato dai tuoi piedi sacratissimi, sarebbe stata assai dolce
cosa per me. Ma come posso ringraziarti dello stupendo favore che mi
accordi in questo momento? ». Rispose il buon Maestro: « Poichè tu cerchi spesso di
offrirmi la più nobile parte di te stessa, cioè il cuore, così trova
giusto che tu abbia a godere gioie ineffabili nel mio, perchè io sono
per te il Dio che si fa tutto a tutti, in ogni cosa. Io sono forza,
vita, scienza, nutrimento, vestito e tutto quanto un'anima amante può
desiderare ». Ed ella: « O mio Dio, se il mio cuore si è totalmente
abbandonato ai desiderii del tuo, è ancora un puro effetto della grazia
». « E' naturale - rispose, Gesù - che colmi delle mie ricompense
l'anima che ho prevenuta con le benedizioni della mia dolcezza; se poi
l'anima si abbandona a me perchè compia ogni volere del mio Cuore, a
mia volta mi conformerò ai desideri del suo ».
Mentre gustava in quella divina casa gaudio celestiale, le parve che
fosse costruita con pietre quadrate di vario colore; esse erano
congiunte non col cemento, ma con legami d'oro; e luci stupende
brillavano in ciascuna. Geltrude allora comprese che le grazie speciali
accordate a ciascun eletto, procuravano a tutti i beati dolcezze piene
d'incanto. La disposizione delle varie gemme nel divin Cuore,
simboleggiava la predestinazione di ciascun eletto, e la necessità che
essi hanno di sostenersi a vicenda, come fanno le pietre di un muro
maestro. La Santa capì anche che l'oro che teneva unite quelle gemme
era la carità, con la quale i fedeli devono sorreggersi gli uni cogli
altri, unicamente per amore di Dio.
In altra occasione, nella stessa festa della Dedicazione, Geltrude
comparve davanti al Signore, Re dei re, simile alla regìna Ester,
vestita regalmente da fervorose opere spirituali.
Ella voleva pregarlo per il suo popolo, cioè per la Chiesa; il vero
Assuero la ricevette con infinita tenerezza, ammettendola nel santuario
del suo Cuore dolcissimo.
Il Signore le disse con bontà: « Io ti dono tutta la dolcezza del mio
Cuore divino, perchè tu possa distribuirla ad ognuno con generosa
larghezza ». Allora Geltrude attinse con la mano nel divin Cuore tesori
immensi, e ne asperse i numerosi nemici del Monastero che, in quei
giorni, con le loro minacce turbavano la pace della Comunità. Ella
conobbe poi che coloro i quali avevano ricevuto anche una sola goccia
attinta a quel sacratissimo Cuore, dovevano ben presto pentirsi e
giungere, con sincera penitenza, a salvarsi.
Mentre stava pregando per una certa persona con slancio d'amore ancor
più intenso, vide che in quell'anima venivano riversati i tesori del
Cuore divino: però, più tardi, essi sembravano mutarsi in acque amare.
Sorpresa chiese spiegazione a Gesù che le disse: « Non turbarti, figlia mia. Quando
si regala del danaro a un amico, egli può spenderlo come vuole; può
comperare mele mature o acerbe, ma alcuni preferiscono queste ultime,
perchè si possono conservare più a lungo. Così quando, pregato dai miei
eletti, concedo grazie ad un'anima, faccio in modo che esse tornino a
suo vantaggio. Se è meglio per certuni la sofferenza invece della
gioia, tali grazie si mutano in tribulazioni, e perfezionano di più
l'anima, secondo il gusto del mio divin Cuore. L'uomo al presente
ignora il segreto della mia condotta, ma un giorno lo conoscerà; allora
gli sarà dato gustare tante delizie, quanti furono i dolori sofferti
per amor mio ».
A Mattutino, mentre Geltrude volgeva la sua attenzione a Dio ed a se
stessa, durante il Responsorio: « Vidi civitatem - Ho visto la città »,
il Signore le ricordò una parola ch'ella ripeteva sovente per animare
il prossimo alla confidenza in Dio; e le disse: « Affichè tu sappia con
certezza come io amo la confidenza, voglio mostrarti la bontà con la
quale ricevo l'anima che, dopo d'aver errato, ritorna a me, piange le
sue colpe, proponendo, con la mia grazia, di mai più ricadere ».
Dicendo queste parole il Figlio del Re supremo, rivestito con le
insegne della sua dignità regale, si avanzò davanti al trono del Padre,
e cantò, con voce dolce e sonora il Responsorio: « Vidi civitatem
sanctam Jerusaiem ». A tali melodie ella comprese l'ineffabile
consolazione che prova il Cuore di Dio quando un'anima propone di
evitare colpe e imperfezioni, memore dei benefici di cui Egli l'ha
colmata, confusa di essersi da Lui allontanata per mancanza di
vigilanza sugli affetti, sulle parole, come riguardo alla perdita del
tempo. Ogni volta che l'anima prova tali rimpianti, Gesù, con nuovo
trasporto di felicità. e di gioia, canta a Dio Padre le parole di
questo Responsorio, o altre analoghe. Parve ancora a Geltrude che il
Figlio di Dio fra le parole: « Et audivi vocem magnam de thronos
dicentem - Intesi una voce forte che partiva dal trono e diceva », e
quelle che seguono, intercalasse il gemito del peccatore che, nella
compunzione del cuore, esclamava: « Ahimè, come sono miserabile! Quanto
tempo ho passato senza pensare a Colui che mi ama ! » ecc. Il Figlio di
Dio, in qualità d'uomo, cantava tali parole su corde basse, in perfetto
accordo con la voce del Padre, che sulle corde elevate, proprie della
Divinità diceva: « Ecce tabernaculum Dei cum homínibus - Ecco il
tabernacolo di Dio tra gli uomini ». Gli spiriti beati ascoltavano tale
melodia con profonda ammirazione. Questa visione rivelava che l'anima
pentita, che vuole sinceramente fuggire il male e praticare il bene,
diventa realmente il tabernacolo nel quale degna abitare, come in casa
propria, il Dio di Maestà, lo Sposo dell'anima amante, sempre benedetto
nei secoli dei secoli.
In quel momento Dio Padre, con la sua venerabile Mano, diede la
benedizione, dicendo: « Ecce nova facio omnia - Rinnoverò tutte le cose
» (Apoc. XXI, 5) per far capire che tutto si trova supplito e rinnovato
nell'anima fedele per mezzo della contrizione, della divina
benedizione, della vita santissima del Figlio di Dio. Appunto perciò è
scritto che « si fa più festa in cielo per un peccatore che fa
penitenza, che per novantanove giusti non bisognosi di tale penitenza »
(Luc. XV, 10), giacchè l'infinita bontà di Dio si degna di riversare le
sue delizie nell'anima contrita.
Continuò Gesù: « Quando
faccio passare l'anima fedele dalla vita presente a quella del cielo,
la colmo di delizie e le canto con dolcezza: « Ho visto la Città Santa,
la nuova Gerusalemme », che s'inalza dalla terra. Alle parole «
Rinnoverò tutte le cose » la colmo delle stesse delizie che la Corte
celeste gusta con me, tutte le volte che un peccatore fa penitenza
».