CAPITOLO XXIII. - COME SI PREPARA L'ARRIVO DEL SIGNORE E COME GLI SI DA' OSPITALITA' IN NOI

DOMENICA DELLE PALME
La domenica delle Palme, mentre Geltrude era immersa nella dolcezza dei
divino godimento, disse al Signore: « Insegnami, mio Diletto, come
potrei glorificarti, venendoti incontro nelle vie di Gerusalemme, oggi
in cui Tu vieni per soffrire la Passione a mia eterna salvezza». Gesù
le rispose: «Dammi una
cavalcatura, una folla che venga gioiosamente davanti a me, una folla
che mi segua cantando le mie lodi, una folla che m'accompagni e mi
serva. La contrizione del tuo cuore sarà la mia cavalcatura, se tu
confesserai che hai sovente trascurato di seguire la mia voce, e che
proprio come un animale non hai saputo capire tutto quello che io ho
fatto per la tua salvezza. Tale negligenza ha turbato la mia calma e
serenità: mentre non avrei dovuto gustare in te che gioie spirituali,
mi vedo costretto, per giustizia, a purificartí con pene corporali ed
interne; in tal modo soffro, per così dire, in te, perchè l'amore della
divina bontà mi obbliga a compatire i tuoi dolori. Quando mi avrai
fornito tale cavalcatura, potrò comodamente riposarmi.
« Mi darai poi una folla
gioconda che mi preceda quando mi riceverai con l'amore di tutte le
creature, in unione alla tenerezza che provai, andando a Gerusalemme,
per la salute di tutti; supplirai in tal modo, alle lodi, ai
ringraziamenti, all'amore, agli omaggi che il mondo ha omesso di
tributarmi per questo grande beneficio.
« Dammi anche una folla
che mi segua cantando le mie lodi; per fare ciò devi confessare che non
ti sei sforzata di seguire gli esempi della mia santissima vita.
Offrimi una volontà così generosa che, se tu potessi impegnare tutti
gli uomini a imitare nel modo più perfetto la mia vita e le mie
sofferenze, tu c'impiegheresti volontieri, per la mia gloria, tutte le
forze. Domanda nello stesso tempo, la grazia che ti sia data, per
quanto è possibile ad umana creatura, d'imitare con zelo ardente,
specialmente la vera mia umiltà, pazienza e carità, virtù che ho
praticato al sommo durante la Passione.
« Dammi infine una folla
che m'accompagni e m'assista, confessando che non mi hai servito con la
fedeltà dovuta quando si trattava di difendere la verità e la
giustizia. Sforzati di far trionfare queste due grandi cause, per
quanto ti è possibile con parole ed atti: chiedimi di possedere sempre
tale buona volontà per la mia gloria ».
Il Signore aggiunse: « Se
alcuno in nome di tutto l'universo, si dà a me nei quattro suddetti
modi, verrò a lui con tanta bontà, da raccoglierne il prezioso frutto
dell'eterna salvezza ».
Nel tempo della S. Comunione, mentre Geltrude offriva il cuore al
Signore, esso parve dilatarsi nella carità, come se Gerusalemme si
fosse aperta all'arrivo del suo Dio. Gesù vi entrò, sotto l'aspetto di
un uomo nello splendore della giovinezza, ma parve preparare una sferza
con tre corde: rappresentava l'opera di Redenzione. La prima corda si
componeva delle opere del suo innocentissimo Corpo; la seconda del
generoso amore della sua santissima Anima; la terza, della sublime
perfezione della sua altissima Divinità. Tre qualità che si riscontrano
in ogni opera del Salvatore. Egli toccò leggermente con quello staffile
il più intimo dell'anima di Geltrude per scuotere la polvere dell'umana
fragilità e negligenza che poteva trovarvisi; poi lo depose in mezzo al
suo cuore.
Ed ecco che quelle tre corde si disposero in modo da formare a Gesù un
comodissimo trono. Quando Egli vi si assise, da ogni corda sbocciò un
flore pieno di vita; il primo era la sublime perfezione della Divinità
che, innalzandosi dietro al Signore si curvava bellamente sul suo Capo,
quasi per procurargli un'ombra di gradita frescura; due altri fiori
s'innalzavano a destra e a sinistra, esalando squisite fragranze.
All'inno di Terza, mentre si cantavano quelle parole « O Crux, ave spes
unica » Geltrude offerse al Signore la divozione di tutti coloro che lo
saluterebbero con quel versetto, durante le sette ore canoniche. Allora
il Signore, prendendo il fiore del fervido amore della sua santissima
Anima, lo presentò a tutte le persone di cui Geltrude aveva offerto la
devozione; al contatto di quel fiore, ognuno riceveva luce e gioia
spirituale. Geltrude chiese: « Mio Signore, se queste persone
ritraggono sì grande frutto da questa divozione, cosa darete loro dopo
la processione, durante la quale vi serviranno con amore ancora più
grande e vi saluteranno con desideri più ferventi? ». Il Signore
rispose: « Io darò loro
la grazia e il fascino di questi tre fiori, poichè devono presentarmi
le loro divozioni in tre modi differenti: coloro che sono prive del
dono della divozione e che bramano ottenerlo, mi presenteranno i loro
valori, le loro fatiche esteriori e io li solleverò, dando loro il
fiore germogliato per il laborioso esercizio del mio santissimo Corpo.
Altri, che gustano con abbondanza la dolcezza della divozione, mi
presenteranno l'affezione dei loro desideri e io li rallegrerò col
flore che spunta, dall'ardente amore dell'anima mia. Altri infine, la
cui volontà è unita alla mia e che perciò formano un solo spirito con
me nel completo abbandono al mio piacere, saranno imbalsamati nel flore
della mia altissima Divinità ».
Dopo la processione, la Comunità s'inchinò al canto del Gloria laus,
prostrandosi alle parole Fulgentibus palmis. Il Signore le presentò
allora il fiore dei laboriosi esercizi del suo santo Corpo. Il suo
scopo era di rallegrare le Monache, di fortificarle e di conservarle al
suo servizio; voleva pure far capire che i lavori manuali sono
nobilitati dai santi lavori che lui stesso ha compiuto.
Una persona aveva invitato Geltrude a ristorarsi con un po' di cibo,
essendo ella afflitta da una debolezza estrema; ma la Santa respinse
con energia tale invito, non volendo rompere il digiuno prima di avere
ascoltato la recita della Passione. Volle però chiedere consiglio a
Nostro Signore, il quale le rispose: « Prendi questa refezione, mia
diletta, in unione all'amore col quale io, tuo Amante, sospeso alla
Croce, ho rifiutato di bere, dopo d'averlo assaggiato, il vino
mescolato con mirra e fiele, che mi presentarono ».
A queste parole Geltrude sottomise docilmente la sua volontà, e
ringraziò il Signore che, presentandole il Cuore, le disse: « Ecco la
coppa ove si conserva il ricordo di quelle parole « cum gustasset,
noluit bibere - poichè l'ebbe gustato, non volle berne (Matt. XXVII,
34). In questa coppa ti presento il desiderio che mi impedì di bere
quella pozione per riservarla a te. Tu puoi gustarla con sicurezza,
perchè, da medico esperimentato, l'ho assaggiata, trasformandola per te
in bevanda salutare. Questa miscela aveva per iscopo da accelerare la
mia morte, ma avendo io il desiderio di soffrire a lungo per gli
uomini, non volli pigliarla. Tu invece, animata da uno stesso amore,
prendi tutto quello che ti è necessario e vantaggioso, per vivere a
lungo nel mio servizio: « In questa coppa che mi fu offerta, considera
tre cose. Essa conteneva vino: compi tutti i tuoi atti con gioia e per
la mia maggior gloria. Vi era pure mescolata della mirra: ricevi ogni
ristoro con l'intenzione di poter soffrire più a lungo per mio onore;
questo è il simbolo recondito della mirra, che preserva dalla
corruzione. Infine il fiele vi era pure aggiunto, per insegnarti a
dimorare volentieri sulla terra, senza le gioie della mia presenza, per
tutto il tempo che mi piacerà. Quando i ristori sono presi con
quest'intenzione mi recano lo stesso omaggio d'un amico il quale,
ritenendo per sè il fiele presentato al suo amico, gli dà in cambio
nettare squisito ».
Geltrude, ad ogni boccone di cibo, ripeteva in cuore questo versetto: «
La virtù del tuo divino amore m'incorpori interamente a Te, o
amabilissimo Gesù ». Bevendo diceva: « Diffondi e conserva in me,
amabilissimo Gesù, l'effetto di quella carità che dominava in Te così
perfettamente da farti rifiutare la bevanda che doveva affrettare la
tua morte, per maggiormente soffrire per noi; penetri essa tutta la mia
sostanza e s'insinui vigorosamente nelle potenze, nei sentimenti, nei
movimenti della mia anima e del mio corpo, per la tua gloria eterna ».
Ella chiese al Signore come accetterebbe questa pratica se fosse fatta
da altra persona. Il Signore rispose: « A ogni boccone che mangerà,
riterrò d'averlo io pure preso con lei, per nutrirmi e saziarmi; quando
berrà, berrò con essa una bevanda d'amore, che infiammerà la nostra
reciproca tenerezza; quando poi l'ora opportuna sarà giunta, le farò
sentire la forza dell'amor mio, secondo la mia onnipotenza »,
In seguito, leggendosi nella Passione: «emisit spiritum - rese lo
spirito » (Mat. XXVII, 50) ella, prostrandosi a terra, in atto di
grande amore disse: « Eccomi, Signore, prostrata. col corpo; io ti
domando per quell'amore che ha condotto alla morte Te, che sei la vita
di tutte le creature, di far morire nella mia anima tutto quanto possa
dispiacerti». Il Signore rispose: « Esala in questo momento con un
soffio, tutti i vizi e le negligenze di cui vuoi essere mondata, e
aspira coi mio soffio divino, tutto quanto brami possedere delle mie
virtù e perfezioni. Quello che avrai esalato ti sarà rimesso, e inoltre
otterrai i benefici effetti dell'aspirazione del mio soffio. Quando ti
sforzerai di vincere i difetti che hai allontanato da te, o di ottenere
la virtù che ho posto in germe nell'anima tua, raccoglierai il doppio
frutto della Passione che Io ho sofferto e della vittoria che tu hai
riportato ».
Dopo pranzo ella si era stesa sul letto per riposare le membra
affrante, meno però per dormire che per evitare la noia di numerose
visite; disse quindi al Signore: « Ecco, o mio Diletto, che in memoria
della salutare predicazione che tu hai fatto al tempio in questo
giorno, mi allontano da tutte le creature, per essere occupata solo di
Te, affinchè tu possa liberamente parlare al mio cuore ». E Gesù di
rimando: « Come la
Divinità si è riposata nella mia Umanità, così essa trova le sue
delizie a riposarsi nella tua stanchezza ». Siccome poi
Geltrude si accorse che non venivano a disturbarla perchè la credevano
addormentata, domandò al Signore se era cosa più perfetta far capire
che era sveglia, per dare loro, maggiore libertà. Rispose il Signore: « No, lascia loro questa occasione
di meritare per la loro carità, che sarò poi felice di ricompensare »,
e aggiunse: « Ecco due punti che bramo presentare alla tua meditazione:
esercitandoti in essi, sarai eccitata a cercare cose ancora più grandi.
Ricorda che utilissimo all'uomo è l'affaticarsi in lavori che possono
procurare alla mia Divinità le delizie del riposo; inoltre mi è assai
caro vedere le anime prodigarsi per i fratelli in opere di carità ».
Verso sera ella si ricordò dell'accondiscendenza di Gesù che, alla fine
di quel giorno, si era recato a Betania, presso Marta e Maria; ella
medesima si sentì ardere dal desiderio di dare ospitalità al suo divino
Sposo.
Prostrandosi allora amorosamente ai piedi del Crocifisso, baciò con
tenerezza la Piaga del Costato, con l'intenzione di attrarre tutti i
desideri del Cuore amantissimo del Figlio di Dio; indi lo supplicò, per
l'ardore delle preghiere sgorgate dal suo dolcissimo Cuore, di scendere
nel misero domicilio del suo cuore. Il Signore, pieno di bontà, sempre
pronto ad accogliere le nostre preghiere, la favorì della sua dolce
presenza, e le disse teneramente: « Eccomi, sono qua, cosa mi dai? ». E
Geltrude: « Oh, sii il benvenuto, Tu che sei l'unica mia salute, il mio
tutto, il mio solo vero tesoro! ». E aggiunse: « Ohimè! Indegna come
sono, non ho preparato nulla che possa convenire alla tua maestà; ma ti
offro tutto ciò che sono, pregandoti e scongiurandoti di volere
preparare Tu stesso in me! ciò che può maggiormente piacere alla tua
divina bontà ». Gesù le rispose: « Se
tu mi accordi tanta libertà, dammi la chiave che mi permetta di
prendere e di rimettere tutto quanto converrà al mio benessere ed alla
mia refezione. « Signore - chiese Geltrude - cos'è questa
chiave? ». « E' la tua
propria volontà », concluse il Signore.
Questa parola le fece comprendere che, se un'anima desidera offrire
ospitalità a Gesù, deve rimettergli la chiave della propria volontà,
abbandonarsi interamente a Lui e credere fermamente che la divina bontà
opererà la sua salute, con tutti i mezzi; quando l'anima è così
disposta, il Signore entra e vi compie operazioni d'amore. Guidata poi
dall'ispirazione divina Geltrude recitò, da parte di ciascuno de' suoi
membri, trecento sessantacinque volte, la parola del Vangelo: « Non mea
sed tua voluntas fiat - Si faccia la tua, non la mia volontà (Luc.
XXII, 42) amabilissimo Gesù! » e comprese che questa preghiera era
graditissima al Signore.
Volle poi chiedergli in che modo riceverebbe la divozione di un'anima
che celebri la festa di quel giorno, con pratiche identiche alle sue
basandosi sul libro di Ester, e su quelle parole della Cantica: «
Egredimini, flliae Jerusalem - Uscite, figlie di Gerusalemme » (Cant.
III, 11). Il Signore rispose: « Il mio divin Cuore accetta con grande
sodisfazione questo modo di celebrare la festa, tanto che, nell'eterna
vita, colui che l'avrà praticato riceverà grande ricompensa. Gli
preparerò nella mia regale munificenza, un banchetto nuziale dove
otterrà maggior onore, gioie, delizie di tutti gli altri invitati,
appunto come la sposa, alla mensa nuziale, gode maggiormente di quanto
le è offerto, benchè il re, per suo riguardo, prodighi anche agli altri
invitati i regali della sua gefierosità ».