CAPITOLO XV. - CONFORTO DELLE PENE

DOMENICA DI QUINQUAGESIMA
Alla vigilia della domenica Esto mihi, Geltrude, essendosi allontanata
dalle cose esteriori per raccogliersi profondamente nell'intimo
dell'anima sua, venne trasportata nel seno della divina bontà, dove
gustò tali delizie da sembrarle di governare, con il suo Dio, tutti i
regni del cielo e della terra.
Ma dopo d'aver passata tutta la giornata nel gaudio spirituale, venne
assalita verso sera, da un turbamento che la gettò in grande angoscia.
Ella si sforzò di superarsi, riflettendo che quella pena era una
minuzia trascurabile, ma non potè vincersi e dovette rassegnarsi a
restare priva della calma serena che le era abituale.
Dopo d'aver passato l'intera notte insonne, supplicò il Signore di
sciogliere quell'ostacolo e di accordarle, per la sua gloria, la gioia
delle passate delizie. Il Signore le rispose: « Se tu vuoi alleggerire il mio
fardello devi portare il tuo e metterti alla mia sinistra, affinchè io
possa riposare sui tuo seno. Infatti quando mi adagio sul lato
sinistro, riposo sul cuore, ciò che mi è di grande ristoro nella
fatica. Di più in tale positura, posso guardare direttamente nel cuor
tuo, e raccogliere le vibrazioni melodiose dei tuoi desideri che mi
rapiscono. L'amabile varietà dei suoi sentimenti mi affascina, vi
respiro, assoluta confidenza che ti fa tendere verso di me con tanto
slancio, e sono dolcemente commosso dall'ardente carità che ti fa
bramare la salvezza eterna di tutti gli uomini. Il ricco tesoro dei tuo
cuore rimane aperto davanti a me, così che posso distribuirne le
ricchezze al mondo intero, in modo che tutti i bisognosi abbiano da
risentirne beneficio. Se tu invece ti ponessi alla mia destra, cioè se
l'anima tua non conoscesse che la consolazione, rimarrei privo di tutte
queste dolcezze, perchè la mia testa riposerebbe sul tua cuore e tu ben
sai che gli oggetti che stanno sotto il capo non possono essere nè
visti dagli occhi, nè percepiti con l'odorato, nè toccati con le mani
senza difficoltà ».
Geltrude, nei tre ultimi giorni di carnevale durante i quali i mondani
commettono tante colpe con crescente insolenza, bramava offrire al
Signore un omaggio gradito. Gesù le disse: « La cosa che maggiormente bramo è
che tu soffra con pazienza, in unione alla mia Passione, le pene
interne ed esterne che potranno capitarti e faccia quello che
maggiormente ripugna alla natura, mediante la vigilanza ed il dominio
dei sensi; tutto si può sperare dalla mia divina bontà, se si compiono
questi sacrifici in memoria della mia Passione ». Ella
disse ancora: « Vorrei, o amatissimo Gesù, che m'insegnassi le
preghiere più efficaci per placare la tua collera in questi giorni, nei
quali il mondo ti offende con maggiore insolenza ». Rispose il Signore:
« Mi sarebbe gradito che
si dicesse tre volte il Pater noster, oppure il Laudate Dominum omnes
gentes, offrendo al Padre tutte le affezioni del mio santissimo Cuore
nelle quali mi esercitai, con tanta fatica, stilla terra per la salute
del genere umano, le miei lodi, i miei ringraziamenti, i miei gemiti,
le mie opere; i miei desideri ed il mio amore, per espiare tutti i
delitti terrestri e carnali, tutte le perverse volontà con le quali il
cuore umano si è lasciato sedurre.
« Col secondo Laudate
bramo che si offrano al Padre tutti i movimenti della mia santissima
bocca, la mia astinenza e temperanza, sia nel vitto, sia nelle
conversazioni, sia nelle predicazioni, le mie continue preghiere e
tutti gli esercizi nei quali mi consumai per la salvezza dei mondo.
Tutto va offerto in espiazione dei peccati commessi nella Chiesa
universale con l'intemperanza nel mangiare, nel bere, nelle
conversazioni inutili.
« In terzo luogo desidero
che si offrano a Dio Padre tutti i movimenti del mio santissimo Corpo e
di ciascuno dei miei membri, la serie delle mie opere perfette, tutta
l'amarezza della mia Passione atroce e della morte che tollerai per la
salvezza delle anime: tale immenso tesoro sia offerto in espiazione di
tutti i peccati commessi in questo tempo, con atti e procedimenti
contrari alla salute ed alla virtù ».
Verso l'ora di Terza, Gesù apparve a Geltrude, com'era quando venne
legato alla colonna per la flagellazione: due carnefici erano al suoi
fianchi, uno lo colpiva con acute spine, l'altro con un flagello
nodoso. Entrambi flagellavano il Volto di Gesù, riducendo quel santo
Viso in uno stato compassionevole, tanto che Geltrude ne fu straziata
nell'intimo del cuore. Commossa e piangente andava riandando, durante
il giorno, quello spettacolo angoscioso; ella era persuasa che nessuna
persona al mondo ebbe mai a subire uno scempio così atroce. Infatti la
parte del viso colpita, dalle spine, le parve talmente contusa che
perfino la pupilla degli occhi non venne risparmiata; l'altra parte,
colpita dal flagello nodoso, era orribilmente gonfia e livida.
Nell'eccesso dello spasimo il Signore cercava di parare i colpi, ma se
si piegava da una parte, il carnefice lo colpiva crudelmente
dall'altra. Volgendosi allora come ombra sanguinante a Geltrude, le
disse: « Ricordi le parole che di me furono scritte! Vidimus eum
tamquam leprosum - Noi l'abbiamo visto come un lebbroso? » (Isaia LIII,
2, 4). « Ah, mio Gesù - rispose la Santa - come potremo calmare gli
orrendi strazi del tuo dolcissimo Volto? ». Rispose il Signore: « Se qualche anima, commossa e
amante, mediterà la mia Passione, pregando per i peccatori, mi offrirà
un farmaco prodigioso che placherà ogni mia sofferenza ».
Nei due carnefici Geltrude vide rappresentati i laici che peccano
pubblicamente, colpendo così il Signore con fasci di spine, ed i
Religiosi che lo flagellano, mancando alla Regola; gli uni e gli altri
martoriano il santo Volto, perchè non arrossiscono di disonorare lo
sguardo di Dio, che regna nei cieli. Ella inoltre comprese che la
Passione del Signore è descritta nel Vangelo, perché gli eletti la
meditino con amore, per la gloria di Dio e per il vantaggio della
Chiesa. La penosissima flagellazione del Signore, come la vide in quel
giorno, è descritta due volte nei sacro testo.
Nell'epistola di quella domenica la carità è particolarmente
raccomandata, affinchè c'impegnamo ad amare Dio ed il prossimo. Dio,
deplorando gli oltraggi che a Lui si recano, il prossimo pensando con
compassione al tremendo giudizio che si prepara coi suoi disordini. Il
miglior mezzo per riparare l'onore di Dio e per soccorrere i fratelli,
è il ricordo della Passione del Signore; lo ringrazieremo di quanto per
noi ha sofferto, supplicandolo di risparmiare coloro per i quali si è
sacrificato.
Alla S. Messa, mentre Geltrude rivolgeva a Dio le parole dell'Introito,
attribuendole a se stessa in quel tempo di carnevale, sentì la divina
voce dirle: « Sii la mia
protettrice, o Sposa diletta, difendimi, per quanto puoi, dagli insulti
dei quali sono vittima, specialmente in questo periodo. Respinto da
tutti e bisognoso di riposo, vengo a rifugiarmi nel tuo cuore ».
Geltrude lo accolse teneramente, cercando d'introdurlo nel più intimo
del suo essere.
Ma, rapita fuori dei sensi e immersa in Dio, non poté uniformarsi alle
cerimonie del coro, nel levarsi e nel sedersi. Avvertita benevolmente
da una Consorella e accortasi dello sbaglio, supplicò il Signore di
aiutarla nella direzione dei movimenti, per evitare incresciose
singolarità. Gesù buono le rispose: « Confidami, o figlia, quella
qualità affettiva che si chiama amore, perchè tenga il tuo posto presso
di me, mentre tu sorveglierai i movimenti del tuo corpo ».
« O amabilissimo Signore - replicò la Santa - se uno dei miei affetti
può supplirmi, preferisco abbandonare il corpo alla guida della
ragione, per essere poi tutta a tua disposizione». Da quel punto ella
ottenne da Dio la grazia di non essere mai attratta interiormente, in
modo di mancare ai suoi obblighi esteriori.