CAPITOLO LXIII. - FEDELTA' DEL SIGNORE VERSO LE ANIME

E' un fatto innegabile che generalmente siamo più sensibili alle
ingiurie di un amico, che a quelle di un nemico, secondo il detto dei
salmi: « Se un nemico mi maledicesse, lo avrei sopportato, ecc. Quoniam
si inimicus mens maledixisset mihi, sustinuissem utique, etc. » (Sal.
LIV, 13). Geltrude si era turbata vedendo che una persona, per la
salvezza della quale si era spesa con tanto zelo, non corrispondeva
alle sue sollecitudini, anzi pareva che si studiasse di mostrarle astio
e disprezzo.
Il Signore, al quale ella aveva confidato il suo cruccio, la consolò
dicendole: « Non rattristarti, figlia mia, io ho permesso questa cosa
per la tua santificazione. Trovo grandi delizie a conversare teco, e
così ho voluto godere più a lungo di questa gioia. La madre di un
fanciulletto teneramente amato, lo vuole sempre a sè vicino, e quando
lo vede allontanarsi per andare a divertirsi co' suoi compagni, pone
nelle vicinanze qualche spauracchio per incutergli timore. E questi
impaurito, corre tosto a rifugiarsi nel suo grembo. Io, che sempre ti
desidero a me vicino, permetto che le creature ti rechino pena;
constatando la loro infedeltà corri allora con maggior ardore verso di
me, sicura di trovare nel mio Cuore fedeltà perfetta».
Il Signore la raccolse allora, come una pargoletta, nelle sue braccia e
divinamente accarezzandola, le sussurrò all'orecchio queste parole: «
Una tenera madre sa bene addoicire co' suoi baci, ì crucci del suo
bambino; così io voglio calmare le tue pene ed i tuoi dolori con soavi
parole d'amore ». Dopo d'averle fatto gustare sul suo Costato le
infinite dolcezze delle divine consolazioni, Gesù le presentò il suo
Cuore, dicendole: «
Considera, o mia diletta figlia, le profondità del mio Cuore; guarda
con quanta diligenza vi ho deposto tutte le azioni che hai compiuto per
piacermi, e considera a quale punto le ho arricchite, per il maggior
profitto dell'anima tua. Dimmi se puoi rimproverarmi di averti mancato
di fedeltà, anche con una sola parola ». Dopo ciò ella
vide il Signore intesserle una corona di fiori dorati, di splendore
ineffabile, premio della pena testé sofferta.
Geltrude, ricordandosi allora di alcune persone, oppresse da gravi
dolori, disse a Gesù: « O Padre misericordioso, chissà quale premio e
quale magnifico ornamento preparerai a quelle anime che soffrono
immensamente più di me, senza essere ristorate da quelle consolazioni
che Tu prodighi all'indegnissimo cuor mio! Eppure neanche con tale
soccorso, so soffrire pazientemente le varie contrarietà che m'accadono
in giornata! ». Le rispose l'amabile Maestro: « In questa, come in ogni altra
circostanza, ti mostro la tenerezza della mia predilezione. Una madre,
nell'immenso amor suo, vorrebbe pure rivestire il suo bambino di stoffe
d'oro e d'argento; ma, considerando che non potrebbe sopportarne il
peso, gli prepara una guarnizione di vaghi fiori che danno risalto alla
sua infantile leggiadria, senza opprimerlo soverchiamente. Così io,
addolcendo le tue pene perchè non abbia a soccombere, non ti privo del
merito della pazienza ».
Queste parole mostrarono a Geltrude la grandezza della divina bontà.
Ella ne fu profondamente commossa e cercò di mostrare la sua
riconoscenza con fervide lodi. Man mano che ringraziava Gesù delle
sofferenze che le aveva inviate, si accorse che i vaghi fiori della sua
corona si trasformavano in oro massiccio. Il Signore infatti le fece
capire che il ringraziamento per le pene, anche leggere, che l'amore
suo ci manda, supplisce a quello che manca in peso a tali sofferenze,
dando loro un valore tutto speciale, così come un vaso di puro oro
sorpassa in valore un vaso d'argento, semplicemente dorato all'esterno.