CAPITOLO LXI. - MERITO DI UN'ACCONDISCENDENZA CARITATEVOLE

Geltrude malgrado le sue sofferenze, erasi alzata per recitare il
Mattutino e già ne aveva terminato un notturno, quando una sorella
ammalata giunse anch'essa presso di lei. L'amabile Santa si offerse di
ricominciare il Mattutino e lo fece con maggior divozione.
Durante la S. Messa, che venne in seguito celebrata, mentre era intenta
a lodare il Signore, vide l'anima sua adorna di splendidi diamanti che
avevano fulgori meravigliosi. Era stato Gesù a ricompensarla della
carità verso la Consorella inferma; la tunica aveva tante gemme quante
parole contava il Notturno, da essa ripetuto per compiacenza.
La vista di quel magnifico ornamento, ravvivò in Geltrude il sentimento
della sua indegnità. Ella si ricordò di varie mancanze che non aveva
potuto scoprire al confessore, (allora lungi dal Monastero),
affliggendosi di non poterle accusare prima di comunicarsi. Le confidò
allora a Nostro Signore, il quale le rispose : « Perchè ti occupi di queste
negligenze, mentre ti vedi avvolta nel ricco paludamento della carità?
Non sai tu che questa virtù cancella la moltitudine dei peccati?
(I Pietro IV, 8). Riprese ella: « Come posso essere confortata pensando
che la carità dissimula le mie colpe, poichè so che di esse la mia
anima è tuttora offuscata? ». Ma il Signore affermò: « Sappi, o figlia, che la carità
non solo copre i peccati, ma li distrugge e li annienta; come il sole
penetra il cristallo, così essa fa risplendere l'anima e l'arricchisce
di nuovi tesori ».