CAPITOLO LVIII. - A COSA POSSONO SERVIRE I NOSTRI DIFETTI

Geltrude, scrutando durante una notte insonne l'anima sua, si
rimproverava amaramente come di una colpa, dell'abitudine da essa
contratta di dire, senza riflettere e senza necessità « Deus scii! -
Dio lo sa! ». Ella scongiurò il Signore dì perdonarle il passato e di
accordarle in avvenire la grazia di non pronunciare invano l'adorabile
suo Nome.
Il Signore le disse con tenerezza: « E che! Perchè vuoi privare me
della gioia che sento e te della ricompensa che meriti, quando,
ricadendo in questo fallo, ti umilii e proponi di non commetterlo più?
Un re non è forse sodisfatto, quando vede uno dei suoi soldati
impegnato a lottare eroicamente contro i suoi nemici? Tale è la mia
soddisfazione e tu d'altronde aumenti il tesoro dei tuoi meriti,
rendendo più bella la tua corona eterna »,
Gesù la fece allora riposare dolcemente sul suo petto, dandole un
sentimento profondo della sua indegnità: « Ecco, o mio Signore » gli
disse « che ti offro il mio miserabile cuore, perché tu vi prenda le
tue delizie, secondo l'amabile tuo volere ». « Provo più gioia a ricevere il
debole cuor tuo, - rispose il Signore, - offerto con tanto amore, che
se ricevessi un cuore pieno di energia e di fortezza; così appunto
avviene quando, sulla tavola imbandita di un grande signore, si serve
non un animale domestico, ma selvaggina a lungo inseguita dal
cacciatore, perchè le sue carni sono più tenere e hanno gusto più
delicato ».