CAPITOLO XLIV. - COME LA SOAVITA' DIVINA ATTRAE L'ANIMA

Una notte Geltrude, meditando divotamente la Passione, si lasciò
trasportare dall'ardore de' suoi desideri, tanto da sentirsene il cuore
bruciato come da fiamma: « O mio amorosissimo Gesù, - diss'ella - se
gli uomini sapessero quello cha provo, mi consiglierebbero di moderare
tali fervori per non nuocere alla salute; ma Tu, che penetri
nell'intimo del mio essere, sai bene che nessuno sforzo delle mie
potenze potrebbe impedirmi di sentire l'intima dolcezza della tua
visita divina ». Rispose il Salvatore: « Chi dunque, a meno che non sia
folle, può ignorare che la soavità infinitamente potente della mia
divinità supera in misura incomprensibile tutti i diletti umani? Le
consolazioni terrestri, paragonate alle celesti, sono come goccie di
rugiada di fronte all'immensità dell'oceano. Se gli uomini spesso si
lasciano talmente sedurre dai piaceri sensibili da mettere talora in
pericolo, non solo la salute del corpo, ma perfino l'eterna salvezza, a
più forte ragione un cuore, penetrato dalla soavità divina, si trova
nell'impossibilità di reprimere le fiamme di un amore che deve
procurargli una felicità senza tramonto».
Ella obbiettò: « Forse gli uomini potrebbero dire che, avendo io fatta
la Professione in un ordine cenobitico, debba moderare l'intensità
della divozione, per poter praticare tutte le austerità della Regola».
Il Signore si degnò d'istruirla con questo paragone «Immaginati, figlia mia, che alla
mensa reale presiedano parecchi ciambellani, pronti a servire con zelo
e riverenza il loro Signore. Supponi che il re, stanco ed indebolito
per l'età, desideri aver vicino uno di quei servitori per appoggiarsi a
lui: non ti sembrerebbe cosa disdicevole, che il ciambellano lasciasse
cadere il re, levandosi di scatto, col pretesto che è stato proposto al
servizio della tavola? Così non è opportuno che un'anima, chiamata
gratuitamente alle delizie della contemplazione, si sottragga sotto
pretesto di seguire più perfettamente la Regola. Io sono il Creatore,
il riformatore dell'universo, e mi compiaccio infinitamente più di
un'anima amante che di altri esercizi, o lavori materiali, che possono
anche compiersi senza amore e retta intenzione ».
Il Signore completò il suo insegnamento con queste parole: « Se però alcuno, non attratto
dallo Spirito Santo al riposo della contemplazione, facesse sforzi
personali per raggiungere tale privilegio, trascurando così la Regola,
assomiglierebbe al servitore invadente che, invece di stare in piedi,
aspettando gli ordini del padrone, si sedesse a fianco del re, senza
esservi invitato: naturalmente si attirerebbe il disprezzo; così colui
che aspirasse alla contemplazione divina, che è un favore che nessuno
può ottenere senza una grazia specialissima, ne avrebbe più detrimento
che profitto pcrchè, da una parte non progredirebbe nella
contemplazione, dall'altra sodisferebbe con tiepidezza alle osservanze
regolari.
Il Religioso poi che
cercasse distrazioni piacevoli, trascurando la Regola senza necessità e
per fare i suoi comodi, si potrebbe paragonare al valletto che,
destinato a servire il suo signore, se ne andasse come un mozzo di
stalla ad insudiciarsi nel riordino delle scuderie ».