CAPITOLO XII. - MISTICA TRASFIGURAZIONE COMPIUTA DALLA GRAZIA

Mentre si cantava l'antifona: In lectulo meo etc. (Cantic. III) ove si
trovano ripetute quattro volte queste parole: « Quem diligit anima mea
- Colui che la mia anima predilige » ella comprese che l'anima fedele
può cercare Dio in quattro modi diversi: Con le parole: « In lectulo
meo per noctem quaesiiri quem diligit anima mea - Nel mio giaciglio,
durante la notte, ho cercato Colui che amo» (Cant. III) ella comprese
la prima via con cui si cerca Dio, che consiste nell'offrirgli continue
lodi nel sacro riposo della contemplazione. L'antifona continua: «
Quaesivi illum et non inveni - L'ho cercato e non l'ho trovato». Perché
l'anima prigioniera nella carne mortale, non riesce a lodare Dio
perfettamente.
La seconda maniera di cercare Dio le fu svelata in questo versetto: «
Surgam et circuibo civitatem, per vicos et plateas, quaerens quem
diligit anima mea » « Mi leverò, girerò intorno alla città, cercherò
nelle vie e nelle piazze pubbliche colui che l'anima mia ama». Perchè
l'anima percorre le vie e le piazze, cioè che studia con ringraziamenti
di compensare i benefici divini prodigati alle sue creature; ma, non
riuscendo a livellare i benefici con la gratitudine, aggiunge con
ragione: « Quaesivi illum et non inveni ».
Nel terzo versetto: « Invenerunt me vigiles qui custodiunt civttatem -
Coloro che vegliano per custodire la città, mi hanno incontrato», le
diede modo di comprendere che gli avvisi della giustizia e della
tenerezza di Dio, portano l'anima a concentrarsi in se stessa.
La sposa dei cantici dopo d'aver paragonato la bontà di Dio con la sua
indegnità, incomincia a gemere, a fare penitenza de' suoi peccati e a
sospirare la divina misericordia, dicendo: « Num quem diligit anima mea
vidistis? » « Non avete visto colui che la mia anima ama? ». Non avendo
nessuna fiducia ne' suoi meriti, si rivolge a Dio in atto di piena
confidenza e trova il Diletto dell'anima sua, sia per fervente
supplica, come per la luce della grazia.
Dopo il canto di quest'antifona, durante la quale aveva gustato
consolazioni ineffabili, ella senti il cuore e tutte le sue membra così
scosse dalla virtù divina, che le parve di venir meno: « O mio diletto
Gesù, - disse Geltrude - ora posso proprio affermare che le profondità
del mio essere, e tutte le mie membra hanno trasalito alla tua dolce
venuta ». Rispose il Signore: « Conosco l'unzione divina che scorre da
me e che in me ritorna, ma mentre vivi in carne mortale, non puoi
capire la tenerezza di Dio che in te si è riversata. Desidero che tu
sappia che, in forza di tale grazia, hai ricevuto una gloria che
potrebbe paragonarsi a quella che rifulse nel mio Corpo al Monte Tabor.
Nella dolcezza del mio amore posso quindi dire di te: « Hic est filius
meus dilectus in quo miht bene complacui » (Matt. XVII, 5). « Costui è
il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto »; perché la
caratteristica di questa grazia è d'investire il corpo e l'anima del
mio stesso meraviglioso splendore ».