CAPITOLO IV. - DISPREZZO DELLE CONSOLAZIONI TEMPORALI

Nei giorni che seguirono la festa di S. Bartolomeo, Geltrude fu
oppressa da una profonda melanconia che le fece perdere la pazienza. A
causa di tale fragilità l'anima sua fu immersa in tenebre così
profonde, da sembrarle d'aver perduto per sempre la divina presenza. Ma
il sabato seguente, mentre si cantava l'antifona « Stella Maris, Maria»
riebbe la gioia spirituale per intercessione della gran Madre di Dio.
La domenica successiva, felice di gustare le ineffabili dolcezze del
suo Dio, si risovvenne della passata impazienza e di altre sue colpe,
concependo di se stessa il più sincero disprezzo.
Allora domandò al Signore la grazia di correggersi, ma lo fece con tale
abbattimento, per la vista delle sue numerose miserie, che concluse con
accento quasi disperato: « O Padre delle misericordie, poni termine a
questi mali, giacché io non so mettervi nè limiti, nè misura « Libera
me Doratine et pone me juxta te, et cujusvis manus sit contra me.
Liberami, Signore, mettimi vicino a Te e che nessuna mano possa
elevarsi contro di te » (Giob. XVII, 2). Il Signore, che desiderava
consolarla ed istruirla, le mostrò un giardinetta ricco di vari fiori,
cinto d'una siepe di spine ed inaffíato da un ruscello di miele.
« Consentiresti
- chiese il Signore alla sua Sposa - d'abbandonarmi per godere la
vista di questi fiori, e per gustare il sapore di questo miele?
» « No, certo mio Signore! » rispose vivacemente Geltrude.
Gesù mostrò poscia a' suoi sguardi un altro giardinetto dal suolo
paludoso, dove cresceva a stento una magra verzura, e spuntavano alcuni
fiori senza profumo, nè vaghezza. « E
quest'altro giardino - chiese Gesù - lo preferiresti al tuo Dio?
» « Ah, esclamò Geltrude con indignazione, coprendosi inorridita il
volto: - Come potrei fissare la mia scelta su ciò che è vile e
perituro, mentre posseggo in Te, mio Dio, il solo tesoro vero, durevole
ed eterno?
« Aggiunse il Signore: «
I doni di cui ho arricchito l'anima tua sono la prova sicura che
possiedi la carità: perché dunque ti lasci opprimere dal turbamento e
dalla disperazione alla vista dei tuoi peccati? Non è forse scritto
"Charitas operit multitudinem peccatorum" "La carità copre la
moltitudine dei peccati?". Col giardino paludoso ed arido che tu hai
disprezzato, ho voluto simboleggiare la vita carnale: con quello
fiorito, la vita dolce, piacevole, esente d'avversità, quella vita che
tu avresti potuto godere comodamente, usufruendo del favore degli
uomini e di una riputazione di santità, se non avessi preferito la mia
divina volontà
« Oh, mio amatissimo Gesù - rispose Geltrude - fosse vero che io avessi
rinunciato alla mia propria volontà, disprezzando il giardino fiorito!
Ma temo d'averlo abbandonato a causa de' suoi angusti confini » « Infatti - riprese il
Signore - quando vedo le
anime dei miei eletti immerse nelle gioie della vita, la delicatezza
della mia infinita bontà mi suggerisce di eccitare in esse il rimorso
di coscienza, affinchè quella spina interiore loro manifesti il poco
valore dei beni terreni, ed essi li disprezzino più facilmente».
Geltrude, con atto generoso e spontaneo, rinunciò allora a tutte le
gioie terrene e persino alle celesti consolazioni, abbandonandosi
ciecamente alla volontà del suo Dio. Cinta dalle braccia del suo divin
Sposo, fiduciosamente appoggiata al suo sacro petto, le sembrava che
gli sforzi di tutte le creature riunite insieme non sarebbero più
riuscite a strapparla da quel domicilio di pace, dove attingeva dalla
Piaga del divino Costato un liquore vivificante più squisito del
balsamo.