14-2 Febbraio 9, 1922 Il corpo straziato di Gesù è il vero ritratto dell’uomo che commette peccato. Gesù nella flagellazione si fece strappare a brandelli le carni, si ridusse tutto una piaga per ridonare di nuovo la vita all’uomo.

(1) Trovandomi nel solito mio stato, stavo seguendo le ore della Passione ed il mio dolce Gesù, mentre lo accompagnavo nel mistero della sua dolorosa flagellazione, si faceva vedere tutto scarnificato, il suo corpo denudato non solo delle sue vesti, ma anche delle sue carni, le sue ossa si potevano numerare uno per uno; il suo aspetto era non solo straziante ma orribile a vedersi, che incuteva timore, spavento, riverenza ed amore insieme. Io mi sentivo muta innanzi ad una scena sì straziante, avrei voluto far chi sa che cosa per sollevare il mio Gesù, ma non sapevo far nulla, la vista delle sue pene mi dava la morte e Gesù tutto bontà mi ha detto:
(2) “Diletta figlia mia, guardami bene per conoscere a fondo le mie pene. Il mio corpo è il vero ritratto dell’uomo che commette il peccato; il peccato lo spoglia delle vesti della mia grazia, ed Io per ridonarla di nuovo mi feci spogliare delle mie vesti. Il peccato lo deforma e mentre è la più bella creatura che uscì dalle mie mani, si rende la più brutta e fa schivo e ribrezzo; Io ero il più bello degli uomini, e per ridonare la bellezza all’uomo, posso dire che la mia Umanità prese la forma, la più brutta, guardami come sono orrido, mi feci a via di sferzate scorticare la pelle, da non più conoscermi. Il peccato non solo toglie la bellezza, ma forma piaghe profonde, marciose e cancrenose che rodono le parti più intime, gli consumano gli umori vitali, sicché tutto ciò che fa sono opere morte, scheletrite, gli strappano la nobiltà della sua origine, la luce della sua ragione e diventa cieco, ed Io, per riempire la profondità delle sue piaghe, mi feci strappare a brandelli le carni, mi ridussi tutto una piaga, e col versare a fiumi il sangue feci scorrere gli umori vitali nella sua anima, per ridonargli di nuovo la vita. Ah! se non avessi in Me la fonte della vita della mia Divinità, che come ad ogni pena che mi davano la mia Umanità moriva, essa mi sostituiva la vita, Io sarei morto fin dal principio della mia Passione.
(3) Ora, le mie pene, il mio sangue, le mie carni cadute a brandelli stanno sempre in atto di dar vita all’uomo, e l’uomo respinge il mio sangue per non ricevere la vita, calpesta le mie carni per restare piagato, oh! come sento il peso dell’ingratitudine”.
(4) E gettandosi nelle mie braccia ha rotto in pianto. Io me l’ho stretto al mio cuore, ma Lui piangeva forte, che strazio veder piangere Gesù! Avrei voluto soffrire qualunque pena per non farlo piangere. Onde l’ho compatito, l’ho baciato le piaghe, l’ho rasciugato le lacrime, e Lui come riconfortato ha soggiunto:
(5) “Sai come faccio Io? Come un padre che ama molto suo figlio, e questo figlio è cieco, deforme, zoppo; ed il padre che lo ama fino alla follia, che fa? Si cava gli occhi, si strappa le gambe, si scortica la pelle, e glieli dà al figlio e dice: “Sono più contento di restare io cieco, zoppo, deforme, purché vegga te, mio figlio, che vedi, che cammini, che sei bello”. Oh! come è contento quel padre ché vede suo figlio guardare coi suoi occhi, camminare con le sue gambe e coperto con la sua bellezza; ma quale sarebbe il dolore del padre se vedesse che il suo figlio, ingrato gli getta via gli occhi, le gambe, la pelle, e si contenta di restare brutto qual è? Tale sono Io, a tutto ci ho pensato, ma essi, ingrati formano il mio più acerbo dolore”.