18 - La riunione del consiglio per la conclusione del processo contro il salvatore Gesù.

La riunione del consiglio per la conclusione del processo contro il salvatore Gesù; la decisione di rimetterlo a Pilato; l’accorrere di Maria santissima verso il Figlio con san Giovanni evangelista e le tre Marie.
1297. Gli evangelisti narrano che gli anziani, i sommi sacerdoti e gli
scribi - molto rispettati dal popolo per la conoscenza che avevano della
legge - si riunirono all'alba del venerdì mattina in casa di Caifa,
dove sua Maestà si trovava imprigionato. I membri del sinedrio di comune
accordo volevano concludere il processo di Gesù con la condanna a
morte, come tutti bramavano, pennellando a tal fine la causa del colore
della giustizia per soddisfare la gente. Ordinarono allora che egli
fosse condotto davanti a loro allo scopo di interrogarlo nuovamente. I
soldati subito scesero alla cella e, accostatisi a lui per scioglierlo
dalla roccia, con grandi risa e beffe dissero: «Ehi, Nazareno, quanto
poco ti sono giovati i miracoli per difenderti! Non ti tornerebbero ora a
vantaggio, per fuggire, quelle arti con le quali raccontavi che in tre
giorni avresti riedificato il tempio? Vieni, ti aspetta l'intero
consiglio per mettere fine ai tuoi inganni e darti in potere a Pilato,
in modo che la finisca con te in un solo colpo». Il Signore si lasciò
slegare e portare di fronte ai sommi sacerdoti senza aprire bocca e, pur
essendo sfigurato ed indebolito dai tormenti, dagli schiaffi e dagli
sputi, dai quali avendo le mani incatenate non si era potuto pulire, non
suscitò in loro compassione; tanta era l'ira che nutrivano contro di
lui!
1298. Gli fu chiesto per la seconda volta se egli fosse il
Cristo, cioè l'Unto, con intenzione maliziosa, quindi non per sentire ed
accettare la sua affermazione, ma per denigrarla ed imputargliela come
accusa. Tuttavia, egli non volle negare la verità per la quale
desiderava morire, ma nemmeno confessarla, affinché non la
disprezzassero e la calunnia non apparisse realtà. Moderò, perciò, la
risposta offrendo la possibilità ai farisei, se avessero avuto ancora un
briciolo di pietà, d'investigare con zelo il mistero nascosto nelle sue
parole; se non l'avessero avuto si sarebbe capito che la colpa stava
nel loro malvagio intento e non già nella sua dichiarazione. Dunque
proferì: «Anche se ve lo dicessi, non mi credereste; se vi interrogassi
non mi rispondereste e non mi sleghereste. Vi dico, però, che da questo
momento il Figlio dell'uomo starà seduto alla destra della potenza di
Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed
egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono». E ciò corrispose a
dir loro: è ben legittima la conseguenza da voi tirata, che io sono il
Figlio di Dio, perché le mie azioni e la mia dottrina, le vostre
Scritture e tutto ciò che adesso operate con me attestano che io sono il
Messia promesso.
1299. Ma siccome quell'assemblea di maligni non era
disposta ad accogliere la verità divina - benché, se avesse voluto
ragionare, avrebbe ben potuto ravvisarla e crederla - non la comprese né
le diede importanza, anzi la ritenne un'asserzione blasfema e degna di
condanna. Vedendo che l'Unigenito confermava ciò che prima aveva
rivelato, tutti urlarono: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza?
L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». E subito, concordemente,
decretarono che fosse presentato a Ponzio Pilato, che governava la
provincia della Giudea in nome dell'imperatore romano come signore della
Palestina. In effetti, secondo le leggi che vigevano allora, le cause
di sangue o di morte erano riservate al senato o all'imperatore, oppure
ai suoi ministri, che reggevano le province lontane, senza essere
lasciate al giudizio degli stessi abitanti. Difatti, i romani avevano
stabilito che questioni così gravi, quali erano quelle di togliere la
vita, si discutessero con maggiore attenzione, affinché nessun reo fosse
punito senza essere stato prima ascoltato, e senza che gli fosse stato
concesso del tempo e un luogo per la sua difesa, giacché in quest'ordine
di giustizia essi si conformavano, molto più delle altre nazioni, alla
legge naturale della ragione. Nella causa del Redentore i sommi
sacerdoti e gli scribi vollero che un pagano come Pilato emettesse la
sentenza da loro agognata, al fine di poter proclamare che sua Maestà
era stato condannato dal governatore, il quale non lo avrebbe fatto se
l'accusato non lo avesse meritato. Sino a tal punto i membri del
sinedrio erano ottenebrati dal peccato e dall'ipocrisia, quasi non
fossero stati essi stessi più sacrileghi del giudice gentile ed autori
di tanta scelleratezza! Ma l'Altissimo dispose che ciò si manifestasse a
tutti mediante quello che operarono con Pilato, come ora vedremo.
1300. Quegli empi condussero il nostro Salvatore dal
palazzo di Caifa a quello del governatore, per presentarglielo come un
malfattore, legato con le catene e le corde con le quali lo avevano
catturato. Allora Gerusalemme era piena di gente proveniente da tutte le
parti della Palestina per celebrare la Pasqua dell'agnello e degli
azzimi. A causa del clamore che già si era sparso, e per la notizia che
tutti avevano del Maestro, una innumerevole moltitudine si precipitò a
vederlo flagellato e trascinato lungo le strade. Dinanzi ad uno
spettacolo così osceno e raggelante la folla si divise in varie
opinioni. Alcuni gridavano: «Muoia, muoia questo malvagio ed impostore,
che ha ingannato il mondo»; altri sostenevano che la sua dottrina e le
sue opere non sembravano tanto cattive, perché aveva fatto molto bene a
tutti; altri ancora, quelli che avevano creduto in lui, si affliggevano e
piangevano. L'intera città era pervasa dalla confusione e
dall'agitazione. Lucifero con i suoi demoni stava molto attento a quanto
succedeva e, scoprendosi misteriosamente sopraffatto e tormentato
dall'invincibile pazienza del mansuetissimo Agnello, con insaziabile
furore impazziva nella rabbia e nella sua stessa superbia: sospettava
che quelle virtù, tanto sublimi da sorprenderlo, non potessero
appartenere ad un semplice uomo. D'altra parte presumeva che il
lasciarsi maltrattare e disprezzare in maniera così eccessiva ed il
patire tanta debolezza nel corpo non potessero concordare con l'identità
di vero Dio. «Se lo fosse - pensava - la natura divina nel comunicarsi a
quella umana avrebbe trasmesso effetti così grandi e potenti da non
farla venir meno e da non permettere ciò che in essa si sta compiendo».
Il dragone congetturava in questo modo perché era all'oscuro del segreto
superno: Gesù aveva sospeso gli effetti che avrebbero potuto ridondare
dalla divinità all'umanità, affinché le sue sofferenze potessero
raggiungere il sommo grado. Con questi dubbi si inviperiva ancor più
contro il Messia e, vedendolo tollerare all'inverosimile quelle
atrocità, si ostinava a perseguitarlo volendo conoscere chi realmente
fosse.
1301. Era già spuntato il sole quando si verificarono tali
eventi. L’afflitta Madre, che osservava ogni cosa, decise di abbandonare
il luogo del suo ritiro per seguire direttamente le vicende del Figlio
ed accompagnarlo alla croce; ma mentre usciva dal cenacolo, san
Giovanni, ignorando la visione che ella aveva, sopraggiunse a riferirle
l'accaduto. Dopo il rinnegamento di Pietro, egli si era messo un po' da
parte interessandosi solo da lontano di ciò che avveniva. Ammetteva di
essere colpevole per essere fuggito dall'orto degli Ulivi e non appena
si trovò dinanzi alla Regina la venerò, chiedendole perdono tra le
lacrime; quindi le confessò il suo rammarico e tutto quello che aveva
fatto e sperimentato stando con Cristo. Gli parve opportuno prevenire
Maria affinché, alla vista del suo diletto, non restasse tanto trafitta e
addolorata dall'insolito e straziante spettacolo. E, per descriverlo al
più presto, le rivolse queste parole: «Oh, mia Signora, quanto è
tribolato il nostro Redentore! Non è possibile guardarlo senza che il
cuore si spezzi. Il suo bellissimo volto è tanto deturpato e sfigurato
dagli schiaffi, dai colpi, dagli sputi che a malapena lo
riconoscereste». La prudentissima sovrana, dopo aver ascoltato con tanta
premura quanto le era stato riferito - come se non fosse stata al
corrente di quelle vicende -, si angustiò sciogliendosi in un amarissimo
pianto. Le sante discepole che erano con lei la udirono gemere ed
anch'esse rimasero con l'intimo trapassato dal cordoglio e dallo stupore
nell'apprendere la triste notizia. La Principessa impose all'Apostolo
di seguirla con le devote donne, alle quali suggerì: «Affrettiamo il
passo, perché gli occhi miei vedano il Verbo del Padre che nel mio seno
prese sembianze umane. E voi vi accorgerete, o carissime, di quanto
possa sul mio Dio l'amore che porta ai discendenti di Adamo e di quanto
gli costi redimerli dal peccato e dalla morte e aprir loro le porte del
cielo».
1302. La Vergine si incamminò per le strade di Gerusalemme,
insieme a Giovanni e ad alcune sante compagne, tra cui le tre Marie ed
altre fedelissime che l'assistevano sempre. Pregò i divini messaggeri
addetti alla sua custodia di fare in modo che la calca non le impedisse
di raggiungere il suo Unigenito ed essi ubbidirono subito, vigilando su
di lei con somma diligenza. Lungo le vie per le quali passava,
l'Addolorata sentiva i vari discorsi che la folla faceva e le opinioni
che ciascuno esternava nel raccontare quanto era accaduto al Nazareno. I
pochi uomini pii presenti si rammaricavano, alcuni asserivano che lo
volevano crocifiggere, altri riferivano in quale luogo lo stessero
portando e con quale brutale legatura lo conducessero, come un
facinoroso, ricoprendolo d'infamia. C'era anche chi domandava quali
delitti avesse commesso perché gli fosse inflitto un castigo tanto
crudele. Infine molti, con ammirazione, ma con poca fede, si chiedevano:
«A questo sono valsi i suoi miracoli? Senza dubbio i prodigi compiuti
erano furberie, perché non si è saputo né difendere né liberare». Ogni
parte della città si riempiva di piccoli assembramenti e mormorazioni,
ma l'invincibile Signora in mezzo a tanta agitazione - benché colma
d'incomparabile amarezza - non si turbava, mantenendo l'equilibrio e
intercedendo per i non credenti e i malfattori, come se non avesse avuto
altra preoccupazione che quella di sollecitare in loro favore la grazia
ed il perdono. Ella amava quegli iniqui con una carità talmente
longanime che sembrava aver ricevuto da questi innumerevoli benefici.
Non si sdegnò né si adirò contro i sacrileghi esecutori della passione
del Salvatore, né mostrò indizio di avversione, ma anzi li guardava con
dolcezza, facendo a tutti del bene.
1303. Alcuni di quelli che la incontravano la riconoscevano
e mossi a compassione le dicevano: «Oh, afflitta Madre! Quale sventura
ti è sopraggiunta! Quanto deve essere ferito il tuo cuore!». Altri con
arroganza le rinfacciavano: «Come hai cresciuto male tuo Figlio! Perché
gli permettevi di insinuare nel popolo tante novità? Sarebbe stato
meglio se l'avessi rinchiuso e tenuto a freno, comunque un simile
avvenimento servirà d'esempio alle altre donne, perché apprendano dalla
tua sventura come educare i propri figli». La candidissima colomba udiva
anche discorsi ancor più terribili di questi e nel suo ardente amore
dava il giusto posto ad ogni cosa: accettava la comprensione dei
pietosi, soffriva l'empietà degli increduli, non si meravigliava degli
ingrati e degli insipienti, e implorava l'Altissimo per ciascuno.
1304. In mezzo a questa gran confusione, l'Imperatrice
dell'universo fu guidata dagli spiriti celesti verso il posto in cui
incontrò il Maestro, dinanzi al quale si prostrò con profonda riverenza,
rendendogli culto di fervida adorazione qual mai gli diedero né gli
daranno le creature. Il Figlio e la Madre, che nel frattempo si era
alzata in piedi, si guardarono con incomparabile tenerezza e, trapassati
da ineffabile dolore, si parlarono. Ella si fece poi da parte per
andargli dietro, e mentre camminava si rivolgeva a lui ed
all'Onnipotente pronunciando nel suo intimo parole così sublimi che non
possono essere articolate da lingua mortale. Oppressa dalle pene
esclamava: «Dio immenso, mio Gesù, ben conosco il fuoco della vostra
carità verso il genere umano, che vi obbliga a celare l'infinita potenza
della divinità nella carne corruttibile, ricevuta nel mio seno.
Confesso la vostra sapienza incomprensibile nell'accettare tali
ignominie e tormenti, e nel consegnare voi stesso, Signore di tutto ciò
che esiste, per il riscatto dell'uomo, servo, polvere e cenere. Voi
siete degno che ogni essere vi lodi, vi benedica e vi esalti per la
vostra sconfinata bontà; ma io come potrò mettere in atto il desiderio
che queste obbrobriose azioni si eseguano solo in me invece che nella
vostra divina persona, gioia degli angeli e splendore della gloria
dell'Eterno? Come non aspirare al vostro sollievo in tali atrocità? Come
potrò sopportare di vedere il vostro bellissimo volto afflitto e
sfigurato, e di rendermi conto che soltanto per il Creatore e redentore
del mondo non c'è pietà in una passione così violenta ed amara? Ma se
non è possibile che io vi conforti come madre, accettate almeno la mia
angoscia ed il dispiacere di non poter fare di più».
1305. Nella Regina restò talmente impressa l'immagine del
suo diletto, maltrattato, deturpato e incatenato, che durante la vita
non si cancellò mai più dalla sua mente e sempre lo rimirò in quella
forma. Cristo nostro bene giunse, frattanto, alla casa del governatore,
seguito da diversa gente, tra cui molti del consiglio dei giudei, che
rimasero fuori del pretorio fingendosi fervidi religiosi, pieni del
timore di contaminarsi e di non poter mangiare la Pasqua degli azzimi.
E, come stoltissimi ipocriti, questi non riflettevano sull'immondo
sacrilegio che macchiava le loro anime, assassine dell'innocente
Agnello. Pilato, benché fosse un gentile, condiscese al cerimoniale
degli ebrei e, accorgendosi che essi avevano difficoltà ad entrare, uscì
fuori. Conformemente allo stile dei romani domandò: «Che accusa
presentate contro costui?». Gli risposero: «Se non fosse un malfattore,
non l'avremmo condotto legato nel modo in cui lo rimettiamo nelle tue
mani». E ciò fu come dirgli: noi abbiamo verificato le sue malvagità e
siamo così attenti al senso della giustizia ed ai nostri doveri che se
non fosse un facinoroso non avremmo proceduto contro di lui. Il
governatore riprese: «Quali delitti sono dunque quelli che egli ha
commesso?». «Si ostina - ribatterono i giudei - a sobillare il nostro
popolo, vuol farsi re, proibisce che si paghino a Cesare i tributi, si
dichiara Figlio di Dio e ha predicato una nuova dottrina incominciando
dalla Galilea e proseguendo per tutta la Giudea sino a Gerusalemme».
«Dunque, prendetelo voi - disse Pilato - e giudicatelo secondo le vostre
leggi, perché io non trovo in lui nessuna colpa». Essi replicarono: «A
noi non è consentito di infliggere a nessuno la pena di morte, e tanto
meno di uccidere».
1306. Gli angeli avevano fatto in modo che la beata
Vergine, con san Giovanni e le donne, si avvicinasse al luogo
dell'interrogatorio per poter osservare ed udire tutto. Ella stava
coperta con il manto per lo strazio del dolore che trafiggeva il suo
purissimo cuore; piangeva versando lacrime di sangue e negli atti di
virtù era un limpidissimo specchio che riproduceva l'anima santissima
dell'Unigenito, le cui pene riviveva nelle proprie membra. Pregò allora
il Padre perché le concedesse di non perdere di vista Gesù fino alla
crocifissione, per quanto fosse possibile, e ciò le fu accordato durante
il tempo in cui egli non stette rinchiuso in prigione. Inoltre, poiché
riteneva opportuno che tra le false accuse e le diffamazioni si
conoscesse l'innocenza del Salvatore e si venisse a sapere che lo
condannavano a morte senza alcun reato, elevò una fervorosa orazione.
Supplicò l'Onnipotente che il giudice non rimanesse ingannato e
prendesse coscienza che il Messia gli era stato portato per il rancore
dei sacerdoti e degli scribi. E difatti, grazie alle sante parole di
Maria, egli ebbe chiara cognizione della realtà e comprese che il
Maestro non era colpevole, ma gli era stato consegnato solo per invidia,
come narra l'evangelista Matteo. Per tale ragione sua Maestà si aprì di
più con Pilato, benché non cooperasse con la verità ammessa; e così
questa non fu di profitto per lui bensì per noi, e servì anche per
mettere in luce la perfidia dei sommi sacerdoti e dei farisei.
1307. La folla, talmente presa dalla rabbia, bramava di
trovare il governatore propizio a pronunziare subito la sentenza
capitale e, allorché si accorse che egli titubava, incominciò ad alzare
con furore la voce, ribadendo che il Nazareno si voleva impadronire del
regno della Giudea e si ostinava ad ingannare ed a convincere tutti,
sostenendo di essere il Cristo, il re unto. Questa maliziosa
incriminazione fu proposta a Pilato affinché egli, mosso dallo zelo per
il potere temporale esercitato sotto l'impero romano, si determinasse ad
emettere al più presto il verdetto. Gli ebrei, i cui re venivano unti,
soggiunsero allora che costui asseriva di essere il Cristo, perché
volevano indurre il governatore, appartenente alla classe dei gentili
che non avevano questa usanza, a capire che farsi chiamare con
quell'appellativo corrispondeva ad affermare di essere re. Il giudice
interpellò nuovamente l'imputato: «Che cosa rispondi alle accuse che ti
muovono contro?». Ma il Verbo di Dio in presenza dei suoi calunniatori
non aprì bocca, sicché Pilato, meravigliato di tale silenzio e pazienza,
desiderando esaminare meglio se fosse veramente re, si ritirò con lui
dentro il pretorio per allontanarsi dalle grida della calca. Quando
furono soli gli domandò: «Tu sei il re dei giudei?». Non poteva pensare
che egli fosse re di fatto, perché sapeva bene che non regnava, e così
lo interrogava per conoscere se lo fosse di diritto e se avesse un
regno. Il mansuetissimo Agnello replicò: «Questo che mi chiedi procede
da te stesso o te lo ha detto qualcuno parlandoti di me?». Gli fu
obiettato: «Sono io forse giudeo, per cui debba esserne al corrente? La
tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno condotto al mio tribunale;
spiegami allora che cosa tu abbia fatto e che cosa significhi questo
titolo». Riprese: «Il mio regno non è di quaggiù, ma se lo fosse è certo
che i miei servitori mi avrebbero difeso, affinché non venissi dato in
potere ai giudei». Il governatore credette in parte a questa
attestazione e perciò proseguì: «Dunque tu sei re mentre garantisci di
avere il regno?». Ed egli non lo negò: «Tu dici che sono re e per
rendere testimonianza alla verità sono venuto nel mondo; e tutti coloro
che sono nati dalla verità mi ascoltano». Pilato si stupì e tornò a
domandargli: «Che cos'è la verità?»; e senza attendere ulteriore
risposta, uscì un'altra volta dal pretorio e dichiarò: «Io non trovo in
lui nessuna colpa per farlo uccidere. Tuttavia, vi è già nota la
tradizione che vi è tra voi di donare la libertà ad un detenuto per la
festività della Pasqua. Chi volete dunque che sia costui, Gesù o
Barabba?». Quest'ultimo era un ladro ed omicida, che in quel tempo si
trovava in carcere per aver ucciso un uomo durante una rissa. Allora
tutti gridarono: «Vogliamo che rilasci Barabba e crocifigga Gesù». I
membri di quella malvagia schiera rimasero saldi in tale petizione fin
quando videro esaudito il loro proposito.
1308. Per il dialogo con il Redentore e l'ostinazione del
popolo, il giudice restò molto turbato. Difatti, da una parte non voleva
deludere i giudei - anche se difficilmente avrebbe potuto farlo,
ravvisandoli tanto determinati a far perire il Maestro, qualora non vi
avesse accondisceso -, dall'altra però aveva ben chiaro che lo
perseguitavano per l'invidia mortale nutrita contro di lui, e che
l'accusa di sovvertitore era falsa e ridicola. Quanto all'imputazione
che il Signore ribadiva di essere re, era rimasto soddisfatto della
risposta ricevuta e sbalordito nel trovarlo tanto povero, umile e
sofferente di fronte alle calunnie lanciategli. Illuminato dall'alto
comprese la sua innocenza, anche se confusamente, perché ignorava il
mistero e la dignità della persona divina. E benché fosse mosso dalla
forza delle sue parole ad avere un'elevata opinione di lui e a pensare
che in lui si racchiudesse un segreto particolare - perciò desiderava
liberarlo e a tal fine lo inviò da Erode, come dirò nel capitolo
seguente -, non si aprì al flusso della grazia celeste. A causa del
peccato non meritò di essere penetrato dall'eccelsa sapienza e fu
indotto a ponderare i fini temporali, invece che ad agire secondo
giustizia: procedette da malvagio giudice, consultando ancora coloro che
incriminavano ingiustamente il candidissimo Agnello essendo suoi
nemici. Operò allora contro la propria coscienza e accrebbe il suo
delitto perché lo fece condannare e, ancor prima, flagellare
disumanamente, senza nessun altro motivo che quello di accontentare la
folla.
1309. Quantunque il governatore fosse tanto iniquo da
infliggere la pena capitale a sua Maestà, che riteneva un semplice uomo,
innocente e buono, la sua colpa fu minore a paragone di quella dei
sacerdoti e dei farisei. Difatti, questi non solo agivano con gelosia,
crudeltà ed altri esecrabili fini, ma anche con l'accanimento a non
riconoscere il Nazareno come il vero Messia promesso nella legge che
professavano. E per loro castigo l'Eterno permise che, quando lo
incriminavano, lo chiamassero Cristo, ossia re unto, confessando così la
stessa verità che negavano. Quanto nominavano invece avrebbero dovuto
crederlo, intendendo che egli era unto non con la consacrazione
figurativa dei re e dei sacerdoti antichi, ma con quella di cui parlò
Davide, diversa da tutte le altre, quale era l'unzione della divinità
unita all'umanità innalzata dal Salvatore nell'essere vero Dio e vero
uomo. La sua anima santissima era perciò unta con i doni di grazia e di
gloria, conseguenti all'unione ipostatica. L'accusa dei presenti
esprimeva tutta questa misteriosa verità, che essi per la loro perfidia
rigettavano e per invidia interpretavano falsamente, incolpandolo di
proclamarsi re senza esserlo. Era invece vero l'opposto, sebbene egli
non volesse dimostrarlo: non aveva intenzione di usare il potere di un
sovrano temporale, pur essendo Signore di ogni cosa, poiché non era
venuto nel mondo per comandare, ma per ubbidire. La cecità giudaica era
però molto grande, perché la gente aspettava il Messia come un
liberatore e un guerriero tanto potente da doverlo accettare per forza e
non con la pia volontà che l'Altissimo ricercava. Arroccati su questa
attesa gli ebrei lo calunniavano di farsi re, mentre non lo era.
1310. La Principessa del cielo capiva profondamente tali
arcani, meditandoli nel suo purissimo e sapientissimo cuore ed
esercitando eroici atti di tutte le virtù. E mentre gli altri
discendenti di Adamo, concepiti nel peccato e macchiati da esso, quanto
più vedono crescere le tribolazioni tanto più sono soliti turbarsi e
restarne oppressi, risvegliando in sé l'ira con altre disordinate
passioni, Maria era soggetta a tutto il contrario: né il peccato né i
suoi effetti la sfioravano, né la natura operava come poteva fare la
grazia. Le persecuzioni e le molte acque dei dolori e delle angosce non
estinguevano in lei la fiamma ardente del divino amore, ma come fomenti
l'alimentavano ulteriormente, spronandola a pregare per i rei, quando la
necessità era suprema poiché la malizia degli uomini era arrivata al
sommo grado. Oh, Regina delle virtù, signora delle creature, dolcissima
madre di misericordia! Tardo ed insensibile è il mio intimo: non lo
spezza e non lo strazia ciò che il mio intelletto conosce delle vostre
pene e di quelle del vostro amantissimo Unigenito! Se dinanzi a quanto
mi è stato rivelato rimango in vita, è ben a ragione che io mi umilii
sino alla morte. È delitto contro la carità e la pietà vedere
l'Innocente patire tormenti e nel contempo chiedergli grazia senza
essere partecipe delle sue sofferenze. In che modo noi possiamo
affermare che abbiamo affetto per Dio, per il Verbo incarnato e per voi,
se davanti al calice amarissimo dell'acerba passione ci ricreiamo
bevendo a quello dei diletti di Babilonia? Oh, potessi io comprendere
questa verità! Oh, potessi sentirla e approfondirla, ed essa potesse
raggiungere la parte più nascosta di me stessa vedendo Gesù e la Vergine
che stanno subendo tante disumane atrocità! Come potrò mai pensare che
mi facciano ingiustizia nel perseguitarmi, che mi sovraccarichino nel
disprezzarmi, che mi offendano nell'aborrirmi? Come potrò mai lamentarmi
di ciò che sopporto, anche se sono insultata dal mondo? O Madre dei
martiri, regina dei coraggiosi, maestra di coloro che si mettono alla
sequela di vostro Figlio! Se io sono vostra figlia e discepola, secondo
quanto la vostra benignità mi assicura e il mio sposo mi volle meritare,
non disdegnate il mio desiderio di ricalcare le vostre orme sul cammino
della croce. E se per fragilità sono venuta meno, ottenetemi voi lo
spirito di fortezza, ed un cuore contrito e umiliato per la mia
ingratitudine. Guadagnatemi dal Padre l'amore, dono tanto prezioso, che
solo la vostra potente intercessione mi può acquistare ed il mio
Salvatore elargire.
Insegnamento della Regina del cielo
1311. Carissima, grande è la negligenza degli uomini nel
considerare le opere di Cristo e nel penetrare con umile riverenza i
misteri che egli racchiuse in esse, per il riscatto di tutti. A questo
riguardo molti non sanno, ed altri si meravigliano, che sua Maestà abbia
permesso di essere condotto come reo dinanzi a giudici iniqui, di farsi
esaminare da loro come malfattore, e di farsi trattare e reputare come
persona ignorante, del tutto disinteressata a rispondere con somma
sapienza per dimostrare la sua innocenza, e a persuadere i maliziosi
giudei e tutti i suoi avversari. In questa straordinarietà,
primariamente, si devono venerare i suoi altissimi giudizi giacché
dispose la redenzione umana con equità, bontà e rettitudine. Egli non
negò a ciascuno dei suoi nemici gli aiuti sufficienti per agire
giustamente - se avessero voluto collaborare - usando del privilegio
della loro libertà al fine di conseguire il proprio bene. Difatti, è
volontà dell'Onnipotente che tutti siano salvi, se ciò non viene
ostacolato da noi stessi; e quindi nessuno ha motivo di lamentarsi della
divina pietà, che è sempre sovrabbondante.
1312. Inoltre, anelo che tu apprenda l'insegnamento
contenuto in queste opere, perché nessuna fu messa in atto dal mio
diletto se non come redentore. Nel silenzio e nella pazienza che
conservò durante la passione, tollerando di essere ritenuto empio ed
insensato, diede ai mortali un esempio tanto sublime quanto poco
considerato e messo in pratica. Essi, poiché non riflettono sul contagio
che Lucifero trasmette loro per mezzo del peccato e sempre continua a
spargere nel mondo, non cercano nel Medico il farmaco che curi la loro
malattia, ma sua Maestà, per la sua immensa carità, ha lasciato il
rimedio nelle sue parole e nelle sue azioni; ciascuno, dunque, si
consideri concepito nella colpa, e veda quanto sia piantata nel proprio
cuore la semente, gettata dal dragone, della superbia, della
presunzione, della vanità, dell'autostima, dell'avidità, dell'ipocrisia,
della menzogna e di altri vizi. Tutti, solitamente, vogliono avanzare
nell'onore e nella vanagloria, desiderando essere apprezzati; i dotti e
coloro che si reputano saggi, pavoneggiandosi della scienza, bramano di
essere applauditi ed elogiati; quelli che sono ignoranti, invece,
tentano di mostrarsi sapienti; i facoltosi si gloriano dei loro averi,
per i quali amano essere ossequiati; i poveri vogliono essere ricchi,
comparire tali e guadagnarsi la stima; i potenti vogliono essere temuti,
adorati ed obbediti. Tutti si affannano a correre attratti da un
abbaglio e cercano di apparire come non sono, e non sono ciò che cercano
di apparire; giustificano facilmente i loro errori, si sforzano di
ingrandire le loro qualità, si attribuiscono beni e favori come se non
li avessero ricevuti, e li ricevono come se fossero loro dovuti e non
fossero stati dispensati per grazia. E così di questi doni ognuno non
solo non è riconoscente, ma ne fa armi contro Dio e contro se stesso; e
generalmente si ritrova pieno del veleno letale dell'antico serpente, e
tanto più assetato di berlo quanto più viene ferito e indebolito dal
deplorevole malore. La via della croce, che porta all'imitazione di Gesù
per mezzo dell'umiltà e della sincerità cristiana, è deserta, perché
pochi sono quelli che camminano su di essa.
1313. A schiacciare il capo di satana ed a vincere la sua
tracotante arroganza servì la mitezza che il mio Unigenito ebbe anche
nel suo supplizio, permettendo che lo trattassero da stolto e
delinquente. Come maestro di questa divina filosofia e medico che veniva
a curare l'infermità del peccato, egli non volle discolparsi, né
difendersi, né giustificarsi, né smentire coloro che lo accusavano,
lasciando un vivo modello per procedere contro gli intenti del demonio.
Mise allora in pratica l'insegnamento del Saggio: «Più preziosa è a suo
tempo la piccola ignoranza che la scienza e la gloria». Difatti, per la
fragilità umana, in determinati momenti è più conveniente apparire
semplici e inesperti, piuttosto che fare vano sfoggio di virtù e di
saggezza. Tu conserva nell'intimo i precetti del Salvatore e miei, ed
aborrisci ogni ostentazione: soffri, taci, e fa' che il mondo ti reputi
ignorante, perché esso non conosce in quale luogo dimori la vera
sapienza.